Idrogeno, l’equivoco continua

Benedetta CappelliniArticoli

Alla Fiera di Milano-Rho si è tenuta, dal 25 al 28 Novembre 2008, l’esposizione denominata HITECH EXPO 2008 dedicata ad alcune tecnologie innovative ed emergenti (fotovoltaico, vuoto e coatings, nanotecnologie, idrogeno, fotonica, superconduttività e accumulo di energia).

La manifestazione, che ci è sembrata tutta in tono minore rispetto agli standard consueti della Fiera di Milano, era in realtà dominata dal fotovoltaico, con scarse partecipazioni negli altri comparti, in particolari degli enti e delle aziende coinvolte nel settore dell’idrogeno, che pure dovevano dar vita ad un evento ampiamente pubblicizzato con il nome di “Hydrogen Show 2008”.

A lato della deludente esposizione fieristica si è svolto nel pomeriggio del 26 novembre un piccolo convegno sull’idrogeno, incentrato su due sessioni, la prima intitolata “Verso una economia all’idrogeno: prime esperienze”, la seconda “La produzione di idrogeno da fonti rinnovabili” che ci sembra abbia riproposto l’equivoco in cui da ormai molti anni si dibattono le attività di ricerca e sviluppo relative a quello che col passare degli anni appare sempre di più come un mito tecnologico.

La possibilità di sviluppare una economia dell’idrogeno appare infatti ancora molto lontana e le varie iniziative di ricerca e sviluppo in corso, sia a livello italiano che europeo, non vanno al di là delle azioni dimostrative, che sono interessanti per mettere a punto alcuni dettagli della tecnologia, ma che hanno uno scarso significato strategico. Il problema fondamentale non é infatti quello di dimostrare che si possono alimentare a idrogeno le automobili o qualsiasi altro dispositivo: su questo sono già state date ampie dimostrazioni di fattibilità tecnologica, anche se i problemi tecnologici da risolvere sono ancora tanti e non è stato ancora dimostrato che le celle a combustibile, i dispositivi principali per l’utilizzo dell’idrogeno, siano producibili a livelli di costo competitivi.

Il problema fondamentale resta tuttora quello di trovare delle tecnologie energeticamente efficienti di produrre quantità industriali di idrogeno, diverse dalle uniche che potremmo a breve utilizzare, partendo dai combustibili fossili. Ma un eventuale utilizzo di idrogeno di derivazione fossile, se é tollerabile in una fase dimostrativa di messa a punto del “sistema”, costituirebbe una totale assurdità, dal punto di vista energetico, se dovesse costituire la base di una vera economia all’idrogeno (come è stato del resto riconosciuto nel corso del convegno).

E se anche l’idrogeno venisse ricavato da fonti energetiche rinnovabili, per esempio tramite energia eolica o fotovoltaica, sarebbe tutta da dimostrare la convenienza energetica ed economica di utilizzare l’idrogeno, quanto non piuttosto direttamente l’energia elettrica producibile con queste fonti.

Ritornando un attimo indietro ai temi del convegno, alcuni dei segni evidenti delle difficoltà di passare alla realtà industriale che il tema dell’idrogeno continua incontrare, dopo gli entusiasmi e la pubblicità di qualche anno fa, ci sono sembrate le ricorrenti segnalazioni delle vischiosità degli apparati pubblici a derogare dalle norme vigenti anche solo per le attività dimostrative. Per esempio, una delle attività più emblematiche dell’Hydrogen Park di Venezia-Marghera, un’iniziativa di ampio respiro che si propone di utilizzare le buone potenzialità produttive di un polo petrolchimico che produce da decenni grandi quantità di idrogeno, cioè quella di mettere in servizio nei canali di Venezia dei vaporetti alimentati ad idrogeno, si è arenata contro le opposizioni del RINA (registro navale italiano) che non sa come inquadrare nei suoi regolamenti una imbarcazione alimentata a idrogeno, e non rilascia quindi le necessarie autorizzazioni.

Un altro degli equivoci su cui a volte sembrano giocare i promotori di iniziative “all’idrogeno” ci è anche sembrato quello del polo industriale di san Zeno ad Arezzo, presentato come esempio del primo “idrogenodotto” realizzato in Italia. In realtà si tratta di una modesta rete di distribuzione locale di idrogeno prodotto localmente (per il momento da metano, in seguito da elettricità fotovoltaica) ad un gruppo di aziende specializzate che già utilizzavano l’idrogeno nei processi di saldatura e fusione della loro produzione orafa, in precedenza approvvigionandosi ognuna per conto suo tramite pacchi di bombole o carri bombolai. Quale sia il contenuto innovativo di questa iniziativa, e come essa possa rappresentare un esempio delle futura economia all’idrogeno, francamente non l’abbiamo capito.

Più interessanti ci sono sembrati gli interventi, nella seconda parte del convegno, di due rappresenti di Hydrolab (CNR-ICCOM di Firenze) e dell’ENEA (progetto TEPSI) che hanno descritto le ricerche in corso per la messa punto di processi termochimici e biologici di produzione dell’idrogeno. Si tratta in questo caso di utilizzare il calore solare (ma eventualmente anche il calore residuo della combustione di carbone abbinando la produzione di idrogeno al processo di depurazione dei fumi) e i residui organici provenienti da produzioni agricole o dal ciclo dei rifiuti, facendo produrre idrogeno da ceppi batterici naturali o geneticamente modificati.

Questi processi hanno il vantaggio di non configurare un potenziale conflitto fra produzione di energia elettrica e di idrogeno, ma sono comunque ad uno stadio molto iniziale di sviluppo, ed è quindi assai difficile stimarne il vero potenziale industriale.

In sostanza quindi, quello dell’idrogeno è un campo di ricerca difficile ed in lenta evoluzione, in cui non c’è motivo di indulgere ai facili trionfalismi nei quali  specie alcuni poteri politici, locali e nazionali, ci sembra si siano lasciati trascinare negli scorsi anni.