L’incentivazione delle energie rinnovabili in Italia

Benedetta CappelliniArticoli

Premessa
Nell’intenso dibattito tecno-politico che è in corso nel nostro paese sugli obbiettivi di risparmio ed efficienza energetica, e di penetrazione delle fonti energetiche rinnovabili, fissati per l’anno 2020 dalla Unione Europea, si sente parlare spesso di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e molto meno di risparmio e di efficienza energetica. Queste due tematiche sono in realtà fortemente correlate, ed è evidente che le emissioni potranno diminuire, a pari servizio reso, solo tramite un deciso aumento di efficienza di tutti i processi energetici che utilizzano combustibili fossili e tramite il ricorso a fonti di energia alternativa a quelle fossili (dall’energia nucleare a tutte le forme di energia di derivazione solare).
Non a caso, già da qualche anno il legislatore ha introdotto nell’ordinamento italiano con i cosiddetti “certificati verdi” e “certificati bianchi”, due importanti forme di incentivazione del risparmio, dell’efficienza e dell’utilizzo di energie rinnovabili. Si tratta peraltro di strumenti non molto noti e di non facile comprensione, ed anche di non immediato impatto per il grande pubblico. Questa scarsa conoscenza ingenera spesso dubbi e illazioni sulla effettiva natura e sulla validità di questi incentivi, e ci è quindi sembrato di far cosa utile al dibattito in corso sul Protocollo di Kyoto e sul 20-20-20 nel descriverne sinteticamente (anche se necessariamente in maniera semplificata) le caratteristiche fondamentali, riportando anche qualche valutazione sulla loro efficacia in base ai risultati fin qui conseguiti.

I certificati verdi e il conto energia
Come è noto, il decreto legislativo 16 marzo 1999 n. 79 (il cosiddetto decreto Bersani) ha liberalizzato il settore elettrico in Italia in ottemperanza alla direttiva europea 96/92/CE che recava norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica in Europa. L’emissione di questo decreto si legava in qualche modo anche agli impegni presi dall’Italia a riguardo del Protocollo di Kyoto e delle politiche energetiche europee, ed ha quindi introdotto anche l’obbligo per le aziende produttrici ed importatrici di energia elettrica (quelle che ne producono almeno 100 GWh, cioè 100 milioni di kWh all’anno, da fonti fossili) di generare una quota parte dell’energia con impianti IAFR (Impianti Alimentati da Fonti energetiche Rinnovabili) cioè impianti che sfruttano l’energia solare, eolica, idrica, marina, geotermica o da biomasse[I]. Tale quota deve essere prodotta da impianti entrati in servizio, o ammodernati, dopo il 1 aprile 1999 e viene calcolata come una percentuale del totale dell’energia immessa in rete da ciascun produttore nell’anno precedente, crescente di anno in anno: era circa il 2% nel 2002, è attualmente pari al 3,75%, ed arriverà attorno al 7,5% nel 2012.

In parziale analogia con meccanismi operanti con il protocollo di Kyoto[II], quest’obbligo può essere assolto dalle aziende sia producendo in proprio l’energia da fonti rinnovabili, sia acquistando le relative quote da altri produttori o dal GSE (il Gestore dei Servizi Elettrici) che è l’ente pubblico delegato, fra le varie cose, a regolare e sorvegliare l’ottemperanza a tali disposizioni.

In sostanza, per far decollare il mercato delle energie rinnovabili, e la relativa industria, lo Stato italiano (lo stesso accade in tutti gli stati della UE) da un lato obbliga i produttori di energia elettrica a installare impianti ed a produrre quote crescenti di energia elettrica con tecnologie che utilizzano fonti di energia rinnovabili (FER), che in genere hanno un costo superiore a quello degli impianti convenzionali, ma concede al contempo, per un periodo di 15 anni, un incentivo per l’energia elettrica così prodotta. Tale incentivo, definito appunto “certificato verde” (CV), viene attualmente riconosciuto per ogni quota di produzione pari a 1 MWh (equivalente a 1.000 kWh), e ad esso viene attribuito, tramite il GSE, un valore di base che é pari a 180 Euro, meno il prezzo di cessione dell’energia elettrica nell’anno precedente; questo valore oscilla in ogni caso secondo la legge della domanda e dell’offerta, in quanto le aziende possono commerciare i CV[III]. In alternativa, per gli impianti di potenza inferiore a 1 MW, le aziende elettriche possono scegliere di farsi pagare ad una tariffa incentivata l’energia prodotta da fonte rinnovabile (in questo caso la tariffa è fissa, e non soggetta a variazioni di mercato). In ogni caso l’energia prodotta da fonti rinnovabili ha priorità per la cessione alla rete, e viene quindi “ritirata” in qualsiasi momento viene prodotta.

I fondi per remunerare i certificati verdi o l’energia “verde” ritirata a tariffa agevolata, vengono gestiti dal GSE che li ottiene tramite una piccola quota di prelievo dalle bollette elettriche pagate dai privati o dalle aziende: il costo dei CV ricade quindi, alla fine, su tutti gli utenti.

In sintesi, il concetto è tale per cui le aziende elettriche non sono formalmente obbligate a fare investimenti nel campo delle rinnovabili, ma se non lo fanno sono costrette ad acquistare dei CV in quantità tale da coprire la percentuale loro assegnata di produzione “rinnovabile”; l’acquisto può essere fatto rivolgendosi al GSE oppure, con contrattazione diretta, presso altre società. In molti casi si tratta proprio di aziende che si specializzano nella produzione di energia rinnovabile approfittando degli incentivi esistenti. In alternativa le aziende elettriche possono esse stesse investire in impianti da fonti rinnovabili, e ricevere in contraccambio degli incentivi sotto forma di CV.

Aggiungiamo, ad ulteriore precisazione, che il valore unitario del CV viene in realtà corretto tramite un coefficiente correttivo che può essere maggiore o minore dell’unità, in funzione della tipologia di impianto utilizzato per la produzione dell’energia elettrica. Per esempio tale coefficiente vale 1,1 per gli impianti eolici offshore (realizzati cioè in mare aperto), 0,9 per gli impianti geotermici, 1,8 per la produzione di biogas da attività agricole/forestali, eccetera. E’ chiaro che in tal modo il legislatore incentiva in misura un po’ diversa i vari tipi di impianto, in maniera da favorire l’installazione anche di quelli che pur essendo particolarmente vantaggiosi dal punto di vista energetico, hanno costi elevati, o presentano altre difficoltà di realizzazione.

Il sistema può sembrare un po’ macchinoso, ma in maniera abbastanza simile ai meccanismi del Protocollo di Kyoto è stato concepito per lasciare alle aziende, pur costrette a produrre energia “verde”, una certa libertà di valutare caso per caso la convenienza economica, i tempi e le modalità dei loro investimenti nel campo delle rinnovabili. Il sistema dei CV é evidentemente un tentativo del potere politico di orientare il mercato, in quanto le aziende elettriche tenderebber naturalmente a scegliere le forme più economiche di produzione, e difficilmente si orienterebbero, nella situazione attuale, verso le energie rinnovabili, a causa del loro maggior costo.

Ma, è anche un modo di salvaguardare le regole di mercato, che il potere politico della UE deve necessariamente rispettare, per coerenza col forte impegno che è stato dedicato a liberalizzare il mercato elettrico, il quale, come è noto, era in precedenza per la gran parte sotto controllo statale.

Accenniamo brevemente anche alla ulteriore forma di incentivazione, riconosciuta in particolare agli impianti fotovoltaici, che va sotto il nome di “conto energia”.

A differenza dei certificati verdi si tratta di una forma di incentivo che non riguarda solo gli “addetti ai lavori”, ma che può essere utilizzata anche dai privati cittadini.

Chiunque installi impianti fotovoltaici, con una potenza minore di 20 kW, può immettere sulla rete elettrica l’energia elettrica prodotta, ricevendo una remunerazione dei kWh ad una tariffa incentivata, dell’ordine di 0,40 €/kWh, che rimarrà costante e garantita per i prossimi 20 anni. Questo valore varia leggermente in funzione della taglia dell’impianto e del fatto che i pannelli possano essere considerati integrati architettonicamente nell’edificio; può inoltre essere aumentata significativamente nel caso si tratti di edifici pubblici o nel caso in cui l’edificio sia stato sottoposto a interventi di miglioramento delle prestazioni energetiche.

E’ in alternativa possibile, invece di vendere l’energia elettrica prodotta, procedere al cosiddetto “scambio sul posto”, che è una forma di compensazione fra quanto si produce e quanto si consuma in un anno, tale per cui un utente pagherà al distributore locale solo l’energia che avrà consumato in più rispetto a quella prodotta, oppure gli verrà pagata quella non consumata.

Le tariffe incentivate sono sufficienti a garantire un discreto ritorno dell’investimento ai costi attuali degli impianti fotovoltaici (costi per altro gradualmente in calo); inoltre le incombenze burocratiche per accedere al conto energia sono relativamente semplici. Gli utenti vengono attualmente stimolati a installare impianti FV sui loro edifici o terreni anche dall’interesse che le banche o gli enti pubblici (ad esempio la Regione Toscana e la regione Marche) stanno manifestando a farsi carico completamente degli oneri finanziari e burocratici delle installazioni, godendo loro i vantaggi  dei vantaggi del conto nergia ed offrendo in cambio agli utenti dei ritorni economici quali il dimezzamento delle bollette elettriche.

Anche per questo il conto energia sta riscuotendo un notevole successo.

I certificati bianchi
Mentre i certificati verdi, che si propongono di intervenire sulle fonti di energia, hanno introdotto l’obbligo per i produttori di generare una certa quota di elettricità da fonti rinnovabili, il sistema dei “certificati bianchi” (CB), detti anche TEE (titoli di efficienza energetica), si propone di intervenire sull’uso dell’energia, introducendo una serie di obblighi e di incentivazioni per il miglioramento dell’efficienza energetica, che fanno leva sulle aziende di distribuzione dell’energia, e non solo quelle dell’elettricità, ma anche quelle del gas. Il meccanismo dei TEE é stato definito nei Decreti congiunti del Ministero dell’Ambiente e delle Attività Produttive del 20 luglio 2004, ed é entrato in vigore nel gennaio del 2005[IV].

 Un CB rappresenta una quota di energia primaria risparmiata pari a una tep (tonnellata equivalente di petrolio), e corrisponde di conseguenza ad un risparmio di 11.628 kWh in termini di consumo di combustibili fossili, oppure di circa 4.545 kWh in termini di consumo di energia elettrica[V]. Gli interventi di risparmio possono essere effettuati sia a monte del processo produttivo, sia presso l’utente finale, ad esempio favorendo la sostituzione di elettrodomestici o apparecchi per il riscaldamento con altre di migliore efficienza. Il TEE non viene in ogni caso riconosciuto agli utenti finali retail (cioè al singolo privato consumatore o alla singola azienda), ma ai distributori di elettricità o di gas, ai quali viene assegnato un contributo per ogni tep risparmiata; inoltre fra i distributori esistenti sul mercato italiano il provvedimento non obbliga tutti, ma solo quelli che abbiano un numero di utenti finali superiore alle 100.000 unità[VI]. Il distributore deve peraltro dimostrare di aver conseguito il risparmio presso l’utente finale, per esempio fornendogli delle lampadine a basso consumo, o concedendogli un incentivo per installare una caldaia a gas a condensazione, o per isolare termicamente la sua abitazione.
 Il meccanismo, similmente a quello dei certificati verdi, viene anch’esso finanziato con una piccola quota di prelievo sulle bollette dell’elettricità e del gas, e il suo onere ricade quindi sulle spalle di tutti i consumatori finali
 I TEE possono essere riconosciuti anche ai distributori non obbligati che aderiscano volontariamente all’iniziativa, ed anche a produttori e impiantisti accreditati, in particolare alle cosiddette ESCO (energy service company). Si tratta tipicamente di società che forniscono un servizio calore/energia agli edifici o alle imprese, e che partecipano volontariamente al sistema, investendo in interventi di efficienza energetica. Tali interventi[VII], che danno di per sé un intrinseco vantaggio di costo alla ESCO ed ai suoi clienti, ma hanno spesso dei tempi di ritorno dell’investimento un po’ troppo lunghi, vengono così incentivati tramite i CB. Quest’ultimi possono essere scambiati fra le aziende distributrici, le ESCO e gli altri soggetti abilitati. Il valore economico dei TEE è stato inizialmente fissato a 100€ per tep, ma il valore di mercato è successivamente variato in funzione delle dinamiche del mercato stesso, la cui gestione è affidata allo stesso GME (Gestore del Mercato Elettrico) che controlla il mercato dell’energia elettrica.
L’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas (AEEG) è l’ente nazionale che autorizza l’emissione dei certificati bianchi, gestisce la valutazione economica dei TEE, e si occupa anche del controllo dell’effettivo risparmio energetico ottenuto (per quest’ultimo compito con l’aiuto di ENEA). A questo scopo la AEEG ha predisposto delle “schede” che standardizzano e semplificano le procedure di calcolo dei risparmi conseguiti per i casi più frequenti che si presentano nella pratica[VIII].
Anche in questo caso si osservi che la logica del provvedimento è tale per cui, da un lato il legislatore “stimola o forza” le normali tendenze del mercato (un distributore non avrebbe in effetti nessun interesse economico a ridurre la quantità di energia elettrica o di gas vendute), ma dall’altro lascia ampia libertà alle aziende su come raggiungere il risultato atteso.
 Da notare, infine, che il sistema dei certificati bianchi pur obbligando le aziende energetiche e non i privati, fornisce peraltro degli strumenti per interagire col privato, essenzialmente nel settore residenziale, utilizzando un meccanismo di controllo della domanda di energia di tipo cosiddetto “pull”, che vuole superare i risultati poco lusinghieri conseguiti da altri meccanismi di tipo “push” (basati cioè su vincoli assoluti) utilizzati nel passato.

Strumenti efficaci o pezzi di carta?
Sperando di avere chiarito almeno un po’ quali sono le caratteristiche ed il funzionamento dei certificati verdi e bianchi, vorremmo ora concludere con qualche commento sulla efficacia e la rispondenza del mercato a tali strumenti.
 Un primo modo di valutarne l’efficacia può essere quello di osservare come è cambiato il valore di mercato, di questi che sono a tutti gli effetti dei titoli di credito assimilabili a quelli finanziari.
 Il valore di mercato dei CV ha subito delle notevoli fluttuazione nel corso degli anni; dopo che il loro valore era progressivamente salito negli anni 2002-2006 fino a livelli dell’ordine dei 125 Euro/MWh, nel 2007 e soprattutto nel 2008 c’è stata una notevole flessione (il valore attuale é pari a circa 74 Euro/MWh), tanto che per sostenerne il mercato è stata invocata l’emissione di un apposito decreto governativo d’emergenza, che dovrebbe essere promulgato prima della fine dell’anno in corso, che ne forzerebbe il valore attorno ai 123 Euro/MWh.
Sembra tuttavia che tale decreto non potrà risolvere il problema strutturale che si è evidenziato nel mercato dei CV, che cioè la quota d’obbligo di certificati, e dunque la corrispondente domanda di CV da parte dei produttori di energia elettrica, è troppo bassa rispetto alle capacità di crescita del settore delle rinnovabili. A ciò si potrebbe porre rimedio, come viene (interessatamente) suggerito dalla APER (l’associazione dei produttori di energia da fonti rinnovabili, spalleggiata in questo da associazioni ambientaliste come il WWF) aumentando la quota d’obbligo a carico dei produttori (con le clausole dell’attuale legge non più del 60% del volume complessivo di energia prodotta contribuisce all’obbligo) oppure aumentando l’attuale percentuale (0,75%) di incremento annuo della quota di rinnovabili.
Ma ciò sembra in sostanza indicare, che nonostante sia pesantemente sovvenzionato tramite meccanismi quali i CV, il mercato delle rinnovabili ancora non si sostiene da solo senza incentivi più sostanziosi degli attuali, e non è difficile rendersi conto che questo in qualche modo cozza con le esigenze di liberalizzazione dei mercati dell’energia che per altro verso la UE persegue[IX]. Alcuni sottolineano, a questo proposito, che il meccanismo dei CV distorce ulteriormente il mercato, favorendo eccessivamente tecnologie già sufficientemente mature, quali l’eolico, a sfavore di altre che avrebbero bisogno di più sostegno.
 Per quanto riguarda i certificati bianchi, i decreti del 2004 fissavano gli obbiettivi di risparmio per il quinquennio 2005-2009, con valori che tendono a raddoppiare annualmente: in tal modo partendo per esempio da 0,10 Mtep (milioni di tep) per il settore elettrico nel 2005, si arriva a 1,6 Mtep anno nel 2009. Per il 2005-2006 l’obbiettivo era relativamente “facile”, specie per il settore elettrico, e secondo le stime ufficiali esso è stato ampiamente superato. Il meccanismo sembrerebbe quindi aver avuto successo. Che il risparmio conseguito sia stato effettivo sono peraltro in diversi a dubitarne, visti i “trucchetti” adottati da molte aziende elettriche, che hanno per esempio contabilizzato il risparmio in base al numero di lampadine a basso consumo regalate ai loro clienti, che non si ha poi nessun modo di controllare se siano state effettivamente installate al posto di quelle a incandescenza.

Il rovescio della medaglia era però rappresentato dal valore di mercato dei TEE di tipo I, cioè quelli del settore elettrico, che è calato fino a livelli attorno a 30-40 €/tep, ben inferiori al contributo di 100€/tep che viene riconosciuto ai distributori obbligati. Ciò a grande vantaggio di quest’ultimi, ed a danno dei soggetti non obbligati, quali le ESCO, che sono le aziende che potrebbero effettuare gli interventi tecnologici maggiormente in grado di produrre effettivi e consistenti risparmi energetici.

 Anche i questo campo sono stati quindi invocati provvedimenti correttivi, in primis un innalzamento del livello degli obblighi annuali di risparmio per i distributori, il che avrebbe l’effetto di rivitalizzare la domanda di certificati bianchi e di conseguenza il loro valore, oltre che di aiutare il paese ad avvicinarsi al conseguimento degli obbiettivi di Kyoto e del 20-20-20.

 In ogni caso un primo provvedimento adottato, verso la fine del 2007, è stato quello di consentire l’interscambio fra TEE di tipo I (settore elettrico) e TEE di tipo II (settore gas). Dei primi esisteva una offerta eccessiva, mentre dei secondi una certa carenza; il provvedimento ha avuto successo, facendo convergere il prezzo dei due tipo di TEE a valori un po’ meno depressi, attorno a 60-70 €/tep.
 Concludiamo con l’osservare che con i certificati verdi e bianchi, i legislatori hanno rivolto la loro attenzione in prima istanza ai soggetti che non solo appartengono a settori industriali fortemente energivori, ma che sono anche più facilmente individuabili e controllabili, e nei quali lo stimolo ad una maggior efficienza energetica dovrebbe più facilmente produrre dei buoni ritorni economici.
Quantità di energia circa uguali a quelle del settore industriale, vengono peraltro consumate in tutti i paesi europei, compresa l’Italia, anche nel settore residenziale e dei trasporti, che sono però estremamente più parcellizzati e variegati, ponendo di conseguenza più problemi per la loro incentivazione ed il loro controllo.

Anche in questi settori non sono comunque mancate le iniziative legislative. Nel campo dei trasporti individuali ricordiamo per esempio l’introduzione di limiti sempre più stringenti al livello di emissioni specifiche delle automobili (che sono indirettamente un modo di migliorarne l’efficienza energetica), spesso accompagnanti da incentivi per la rottamazione dei veicoli più vecchi (che hanno anche lo scopo di sostenere un mercato ormai da molti anni in ciclica crisi). Nel campo degli edifici ricordiamo l’introduzione di norme sempre più esigenti per l’isolamento termico e l’efficienza degli impianti di riscaldamento e condizionamento degli edifici di nuova costruzione, accompagnata da forti incentivi alla ristrutturazione degli edifici esistenti (detrazione fiscale del 55% introdotta per questi interventi dalle leggi finanziare 2007 e 2008).
 In generale è necessario essere consapevoli che gli strumenti di cui abbiamo discusso sono solo una delle tante facce di un enorme sforzo  per indurre un’ epocale trasformazione del sistema energetico mondiale, guidandone la transizione dalle fonti energetiche fossili ad altre forme di energia. Questo sforzo, che è solo agli inizi, sta cercando di mettere a punto non solo le tecnologie, ma anche gli strumenti normativi e legislativi in grado di sostenere il difficile compito di mantenere un ragionevole tasso di crescita dell’economia mondiale, cioè di non deprimere le normali dinamiche di mercato, già molto provate da tensioni e contraddizioni, pur adottando concetti di sviluppo sostenibile. 

Uno sforzo sul quale sicuramente si gioca buona parte del futuro benessere dell’umanità.

 Riferimenti
 A. Marroni, Certificati verdi, certificati bianchi e mercato delle emissioni: strumenti di incentivazione per l’energia sostenibile, a cura di Legacoop
E. Tedeschi, Dal CIP 6/1992 ai certificati verdi, a cura di AmbienteDiritto
A.Vertucci, Il mercato italiano dei certificati bianchi: un’altra opportunità sprecata?, a cura di NuovaEconomia Nuova Società
M Pigni, I certificati verdi puntano a 123 euro/MWh, in L’Informatore Agrario, 40/2008
Atti del IEA-DSM-CESI RICERCA Workshop on White Certificates, CESI RICERCA, Milano, 22/10/2008
C. Lato, L’incentivazione delle fonti rinnovabili. Quadro normativo e risultati, Atti del Workshop sullo sviluppo delle fonti rinnovabili in Italia, CESI RICERCA Milano, 20/11/2008

[I Un’ulteriore sistemazione della materia è stata introdotta con il Decreto Legislativo 387/2003, con la legge 23 agosto 2004 n. 239 e con il Decreto 24/10/2005 di “Aggiornamento delle direttive per l’incentivazione dell’energia elettrica prodotta da Fonti Rinnovabili ai sensi dell’art. 11, comma 5 , del dlgs 16/3/99 n. 79”. Altre disposizioni sono state anche incluse nelle leggi finanziarie del 2007 e 2008.

Si ricorda inoltre che un precedente importante passo a favore delle energie rinnovabili, erano state la legge 9 del 1991 e la delibera CIP 6 del 1992 , che avevano completamente liberalizzato il mercato della produzione di energia da fonti rinnovabili ed assimilate. Peraltro questi provvedimenti sono stati anche oggetto di pesanti critiche, in quanto nella definizione di “rinnovabili” sono rientrate fonti che hanno ben poco a vedere con quelle realmente rinnovabili, quali i residui della raffinazione del petrolio.

[II Si veda anche, su questo stesso sito, l’articolo “Quello che avreste voluto sapere su Kyoto e il 20-20-20 e non avete mai osato chiedere”

 

[III Si è in effetti creato un mercato dei CV, che vengono scambiati, con meccanismi simili a quelli dei titoli di credito finanziari, nella stessa “borsa” che è stata creata per l’energia elettrica. I CV sono di fatto dei titoli al portatore il cui valore finale risulta determinato dalla contrattazione bilaterale fra soggetti detentori, e soggetti obbligati.

 

[IV] Il sistema dei TEE è stato concepito originariamente in Italia e pur suscitando molto interesse non è stato adottato da tutti i paesi europei (ce l’hanno in maniera simile solo la Francia e l’Inghilterra), ma è comunque stato introdotto anche in altri parti del mondo, ad esempio l’Australia.

 

[V] Questa differenza deriva dal fatto che nel primo caso si fa semplicemente l’equivalenza fra il contenuto energetico del combustibile, espresso usualmente in kcal/kg, e quello espresso in kWh; nel secondo caso si tiene conto del rendimento medio del sistema elettrico nazionale che viene assunto attualmente pari a 0,187×10-3 tep/kWh. Per questo ad un mancato consumo elettrico viene riconosciuto un maggiore risparmio in tep a confronto di un analogo mancato consumo termico.

 

[VI] Restano quindi esclusi un certo numero di piccoli distributori locali di energia elettrica e gas; tipicamente si tratta di aziende gestite dai comuni.

 

[VII] Può trattarsi per esempio, nei casi più semplici, della sostituzione delle caldaie di un impianto di riscaldamento con altre a maggiore efficienza, oppure nella istallazione di un sistema cogenerativa che produca contemporaneamente calore ed energia elettrica. In questo caso non è l’utente finale, ma è la ESCO che si fa carico della progettazione, esecuzione e finanziamento dell’intervento. I vantaggi economici sono reciproci, in quanto l’utente pagherà un po’ meno il servizio e la ESCO guadagnerà un po’ di più, ma soprattutto ne guadagnerà l’ambiente con la riduzione delle emissioni, e la collettività per la riduzione della dipendenza dalle fonti energetiche fossili.

 

[VIII Per esempio l’effetto delle sostituzione di una caldaia, della coibentazione di un edificio, della sostituzione di apparecchi illuminati, ecc. viene definito in maniera standardizzata in modo che si possano calcolare in modo semplice ed uniforme le tep risparmiate.

 

[IX] Si veda a questo proposito, su questo stesso sito, anche l’articolo “Più stato o più mercato nel mondo dell’energia?”.

Non è difficile capire che la richiesta di incentivi da parte di altri settori, come quello dell’energia nucleare, possa entrare in forte conflitto con le esigenze di efficienza e di promozioni delle rinnovabili. Si vedano a questo proposito le conclusioni dell’articolo “Passato e futuro dell’energia nucleare in Italia”, sempre su questo stesso sito.