Alla Maturità 2008, ben più gravi degli errori “tecnici” presenti nei “temi” e nelle “tracce” ci sono sembrati i contenuti e la stessa impostazione del tema di ambito tecnico-scientifico. Ne ha parlato Giorgio Israel sul n. 27 di Tempi e ne ha proposto una attenta analisi Lorenzo Mazzoni sul n° 33 di Emmeciquadro in distribuzione da Agosto, che anticipiamo.Così venerdì 20 giugno titolava in prima pagina il Corriere della sera: «Latino e Greco, la maturità degli errori»; come gli altri quotidiani, riportava poi la notizia della rimozione della responsabile organizzativa degli Esami di Stato, Caterina Petruzzi. Grave è stata senz’altro la superficialità con cui sono state predisposte le prove incriminate, ma tuttavia si tratta pur sempre di errori a livello tecnico, non storture di contenuto.
Nessuno invece si è soffermato, così sembra, a leggere la traccia della prima prova di ambito tecnico-scientifico, che proponeva l’argomento: «Quale idea di scienza nello sviluppo tecnologico della società umana». A parte il titolo alquanto discutibile, la gravità e la rozzezza dell’assunto da sviluppare, in qualche modo suggerito attraverso i brani proposti, dovrebbe forse costituire il vero scandalo di questa maturità.
Infatti si propone una concezione di scienza che ha due valori: da una parte liberare l’uomo da qualsiasi forma di «soprannaturale» (religione, dogmi della Chiesa eccetera), conducendolo all’unica forma possibile di soddisfazione dello spirito; dall’altra quello di permettergli la risoluzione di tutti i suoi problemi attraverso la tecnologia, che anzi alla fine dovrebbe sostituire la scienza stessa diventando autonoma nel suo sviluppo. Nessuna questione è segnalata a proposito della validità del progresso umano; per esempio i problemi dell’inquinamento o della bioetica conseguente alle biotecnologie sono completamente assenti.
Il clima è quello di un ottimismo positivista (ma a un livello di banalizzazione che offende questo riferimento storico) tardo ottocentesco, un misto di scientismo (ma in realtà cosa sia davvero la scienza non emerge mai dai brani citati!) e di esaltazione della tecnologia come panacea universale a tutti i mali e i bisogni dell’uomo.
Come avviene questo «indottrinamento» implicito?
Esaminiamo alcuni brani più significativi (altri sembrano quasi collocati come riempitivo).
Si parte dal De Rerum Natura: cosa c’entra quest’opera latina con la tecnologia? Forse serve a mostrare la diversa concezione scientifica degli antichi? No, ma a suggerire che la scienza distrugge la «religione»: «Quando la nostra vita umana giaceva per terra/turpemente schiacciata da una pesante religione/che mostrava dal cielo l’orribile faccia/sopra i mortali, per la prima volta un uomo mortale,/un Greco, osò contro di quella alzare lo sguardo/e per primo resisterle contro; né la fama dei Numi/né il fulmine lo distrusse né la minaccia del cielo/strepitoso lo spaventò; ché anzi il desiderio/gli crebbe più forte e più acre lo strinse,/di rompere egli per primo/le porte serrate della natura. E vinse/la forza dell’animo; e andò lontano, solo,/di là dalle fiammanti barriere dell’universo/e tutto l’immenso attraversò con la mente/illesa, e a noi vittorioso ritorna e ci svela/il segreto dei corpi che nascono e come alle cose/è fisso un termine e limitato il potere./Così la religione fu calpestata/sotto i piedi mortali/e quella vittoria ci solleva alle stelle./»
In questa esaltazione di Epicuro nella sua lotta contro la religio non si tiene presente che il termine in latino indica ogni forma di credenza negli dei, quindi anche forme di superstizione, in ogni caso qualcosa di irragionevole; la traduzione in «religione» introduce surrettiziamente una contrapposizione con ogni religione, anche quella cristiana.
Si può obiettare: questa è solo una supposizione, ma basta leggere un pezzo del secondo brano per capire che non è così:
«[…] Fu senza dubbio questo il caso che si verificò alla fine del Seicento, quando gli scienziati e i filosofi razionalisti – Isaac Newton, John Locke, René Descartes e altri – misero in discussione alcuni dogmi della Chiesa, fra i quali anche una dottrina fondamentale: quella che considerava la terra come una creazione di Dio e, quindi, dotata di valore intrinseco. I nuovi pensatori propendevano per una visione più materialistica dell’esistenza, fondata sulla matematica e sulla ‘ragione’».
Si suggerisce che la scienza libera anche dalla religione cristiana (come la scienza di Lucrezio liberava dalle religioni antiche) e i suoi dogmi (ma ci risulta che Newton contestasse i dogmi, per la sua adesione a dottrine eretiche, non in quanto scienziato).
Una volta liberato l’uomo dalla religione, qual è lo scopo della scienza? Lo svela il seguente brano: «Francesco Bacone concepì l’intera scienza come operante in vista del benessere dell’uomo e diretta a produrre, in ultima analisi, ritrovati che rendessero più facile la vita dell’uomo sulla terra. Quando nella Nuova Atlantide volle dare l’immagine di una città ideale, non si fermò a vagheggiare forme perfette di vita sociale o politica ma immaginò un paradiso della tecnica dove fossero portati a compimento le invenzioni e i ritrovati di tutto il mondo.»
La scienza quindi intesa come produttrice di tecnologia, che non solo «rende più facile la vita dell’uomo», ma determina anche lo sviluppo sociale «[…] la società e la tecnologia sono […] riflessi l’una dell’altra».
Dulcis in fundo, l’apoteosi della tecnologia, che sembra non aver più bisogno neanche della scienza: «A cominciare dalla metà del Novecento la tecnologia ha assunto una velocità tale da non permettere a volte alla scienza di giustificare e spiegare teoricamente, neppure a posteriori, il funzionamento dei ritrovati tecnologici. La scienza si è così ridotta a difendere posizioni via via più difficili, tanto più che le radici dell’accelerazione tecnologica non sono da ricercarsi all’interno dello sviluppo scientifico, bensì nell’ambito della tecnologia stessa.»
Il futuro è quindi dell’homo tecnologicus, manca solo la marcetta finale: ma è questo il modo di aiutare la riflessione delle giovani generazioni sulla concezione di scienza e dei suoi complessi rapporti con la tecnologia e il progresso? Ci sembra proprio di no.© Pubblicato sul n° 33 di EMMECIquadro
Nessuno invece si è soffermato, così sembra, a leggere la traccia della prima prova di ambito tecnico-scientifico, che proponeva l’argomento: «Quale idea di scienza nello sviluppo tecnologico della società umana». A parte il titolo alquanto discutibile, la gravità e la rozzezza dell’assunto da sviluppare, in qualche modo suggerito attraverso i brani proposti, dovrebbe forse costituire il vero scandalo di questa maturità.
Infatti si propone una concezione di scienza che ha due valori: da una parte liberare l’uomo da qualsiasi forma di «soprannaturale» (religione, dogmi della Chiesa eccetera), conducendolo all’unica forma possibile di soddisfazione dello spirito; dall’altra quello di permettergli la risoluzione di tutti i suoi problemi attraverso la tecnologia, che anzi alla fine dovrebbe sostituire la scienza stessa diventando autonoma nel suo sviluppo. Nessuna questione è segnalata a proposito della validità del progresso umano; per esempio i problemi dell’inquinamento o della bioetica conseguente alle biotecnologie sono completamente assenti.
Il clima è quello di un ottimismo positivista (ma a un livello di banalizzazione che offende questo riferimento storico) tardo ottocentesco, un misto di scientismo (ma in realtà cosa sia davvero la scienza non emerge mai dai brani citati!) e di esaltazione della tecnologia come panacea universale a tutti i mali e i bisogni dell’uomo.
Come avviene questo «indottrinamento» implicito?
Esaminiamo alcuni brani più significativi (altri sembrano quasi collocati come riempitivo).
Si parte dal De Rerum Natura: cosa c’entra quest’opera latina con la tecnologia? Forse serve a mostrare la diversa concezione scientifica degli antichi? No, ma a suggerire che la scienza distrugge la «religione»: «Quando la nostra vita umana giaceva per terra/turpemente schiacciata da una pesante religione/che mostrava dal cielo l’orribile faccia/sopra i mortali, per la prima volta un uomo mortale,/un Greco, osò contro di quella alzare lo sguardo/e per primo resisterle contro; né la fama dei Numi/né il fulmine lo distrusse né la minaccia del cielo/strepitoso lo spaventò; ché anzi il desiderio/gli crebbe più forte e più acre lo strinse,/di rompere egli per primo/le porte serrate della natura. E vinse/la forza dell’animo; e andò lontano, solo,/di là dalle fiammanti barriere dell’universo/e tutto l’immenso attraversò con la mente/illesa, e a noi vittorioso ritorna e ci svela/il segreto dei corpi che nascono e come alle cose/è fisso un termine e limitato il potere./Così la religione fu calpestata/sotto i piedi mortali/e quella vittoria ci solleva alle stelle./»
In questa esaltazione di Epicuro nella sua lotta contro la religio non si tiene presente che il termine in latino indica ogni forma di credenza negli dei, quindi anche forme di superstizione, in ogni caso qualcosa di irragionevole; la traduzione in «religione» introduce surrettiziamente una contrapposizione con ogni religione, anche quella cristiana.
Si può obiettare: questa è solo una supposizione, ma basta leggere un pezzo del secondo brano per capire che non è così:
«[…] Fu senza dubbio questo il caso che si verificò alla fine del Seicento, quando gli scienziati e i filosofi razionalisti – Isaac Newton, John Locke, René Descartes e altri – misero in discussione alcuni dogmi della Chiesa, fra i quali anche una dottrina fondamentale: quella che considerava la terra come una creazione di Dio e, quindi, dotata di valore intrinseco. I nuovi pensatori propendevano per una visione più materialistica dell’esistenza, fondata sulla matematica e sulla ‘ragione’».
Si suggerisce che la scienza libera anche dalla religione cristiana (come la scienza di Lucrezio liberava dalle religioni antiche) e i suoi dogmi (ma ci risulta che Newton contestasse i dogmi, per la sua adesione a dottrine eretiche, non in quanto scienziato).
Una volta liberato l’uomo dalla religione, qual è lo scopo della scienza? Lo svela il seguente brano: «Francesco Bacone concepì l’intera scienza come operante in vista del benessere dell’uomo e diretta a produrre, in ultima analisi, ritrovati che rendessero più facile la vita dell’uomo sulla terra. Quando nella Nuova Atlantide volle dare l’immagine di una città ideale, non si fermò a vagheggiare forme perfette di vita sociale o politica ma immaginò un paradiso della tecnica dove fossero portati a compimento le invenzioni e i ritrovati di tutto il mondo.»
La scienza quindi intesa come produttrice di tecnologia, che non solo «rende più facile la vita dell’uomo», ma determina anche lo sviluppo sociale «[…] la società e la tecnologia sono […] riflessi l’una dell’altra».
Dulcis in fundo, l’apoteosi della tecnologia, che sembra non aver più bisogno neanche della scienza: «A cominciare dalla metà del Novecento la tecnologia ha assunto una velocità tale da non permettere a volte alla scienza di giustificare e spiegare teoricamente, neppure a posteriori, il funzionamento dei ritrovati tecnologici. La scienza si è così ridotta a difendere posizioni via via più difficili, tanto più che le radici dell’accelerazione tecnologica non sono da ricercarsi all’interno dello sviluppo scientifico, bensì nell’ambito della tecnologia stessa.»
Il futuro è quindi dell’homo tecnologicus, manca solo la marcetta finale: ma è questo il modo di aiutare la riflessione delle giovani generazioni sulla concezione di scienza e dei suoi complessi rapporti con la tecnologia e il progresso? Ci sembra proprio di no.© Pubblicato sul n° 33 di EMMECIquadro