I programmi statali faranno aumentare, invece che diminuire, il prezzo dell’energie rinnovabili?

Benedetta CappelliniArticoli

Questo breve commento di due noti esperti legali americani, Steven F. Greenwald e Jeffrey P. Gray, comparso di recente su POWER che è una delle più vecchie e autorevoli riviste di tecnologia energetica, ci  è sembrato interessante in quanto si inserisce nel grosso dibattito in corso anche in Europa sul sostegno legislativo degli Stati  alla  penetrazione delle energie rinnovabili nell’attuale sistema energetico. La domanda che si fanno gli articolisti, se un eccessivo interventismo statale non rischi di essere controproducente, è infatti tutt’altro che peregrina.

Finora il buon senso e l’esperienza facevano pensare che il prezzo dell’energia da fonti rinnovabili sarebbe continuamente diminuito in concomitanza con l’aumento della loro domanda a lungo termine garantita dai provvedimenti legislativi degli stati. La conseguente crescita delle vendite e delle forniture avrebbe stimolato gli investimenti in questo campo, avrebbe creato economie di scala e accelerato i progressi nelle curve di apprendimento delle varie tecnologie impiegate.

Strada facendo è però successo, almeno negli USA, qualcosa di inatteso. Infatti sebbene più della metà degli stati americani abbiano adottato dei provvedimenti legislativi  che prevedono degli specifici obbiettivi di generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili, e nonostante siano aumentati significativamente  gli investimenti e gli sviluppi di tecnologie “verdi”, i dati più recenti suggeriscono che il prezzo dell’energia elettrica verde è aumentato, e continuerà a spiralare verso l’alto. Cosa è successo?

La maledizione della mano visibile
Il tallone d’Achille degli attuali programmi statali a favore delle energie rinnovabili consiste nel fatto che essi ritagliano una fetta dell’attuale mercato dell’energia e lo sbilanciano, imponendo una domanda definita per legge. Nell’era precedente le aziende elettriche allineavano la pianificazione di nuovi impianti con una previsione di incremento della domanda che era in larga parte sganciata dalle tecnologie di generazione. Le decisioni di approvvigionamento di nuovi impianti erano principalmente basate sui fabbisogni, i prezzi e la adattabilità alle esigenze di rete (dispacciabilità e capacità di partenza da freddo). Di conseguenza gli impianti a carbone, a gas, nucleari, idroelettrici e quelli a energie rinnovabili competevano l’uno con l’altro per una fetta della torta costituita dalla domanda complessiva di energia elettrica.
Il mercato nel suo complesso ha  beneficiato della crescente concorrenza fra produttori, che ha pure fornito, entro certi limite, un argine alla crescita dei prezzi dei combustibili. Ma in netto contrasto con ciò, le nuove disposizioni legislative, impongono alle aziende elettriche delle quote fisse di impianti a energia rinnovabile, in genere una percentuale della loro capacità complessiva. Tali obbiettivi imposti di capacità produttiva, e le conseguenti penali da pagare se gli obbiettivi non vengono raggiunti, obbligano spesso i partecipanti al mercato dell’energia elettrica a subordinare il loro interesse economico (ed anche quello dei loro clienti) ai voleri degli stati. Le aziende elettriche sono pertanto obbligate ad acquistare delle quote di potenza rinnovabile anche se il suo prezzo non è altrimenti giustificabile. Per le aziende che si conformano alle direttive statali, le conseguenze economiche di ciò sono maggiori costi per i siti produttivi, per i combustibili e per i macchinari di generazione.
Inoltre, sebbene in teoria ci sia competizione fra le differenti tecnologie rinnovabili, ci sono  forze esterne (ad esempio il problema del reperimento dei siti e i vincoli di rete) che limitano in pratica la disponibilità delle risorse che possono soddisfare i bisogni delle aziende, così come i benefici che la concorrenza può procurare ai consumatori. Nel caso in cui la produzione non riesca a stare al passo, le disposizioni legislative che incrementano artificialmente la domanda fanno anche aumentare i prezzi. Il risultato netto è un mercato distorto nel quale l’elettricità prodotta da fonte rinnovabile spunta un prezzo più favorevole per il solo fatto di essere “verde”, senza riguardo ai vantaggi del progetto che l’ha generata. La spinta verso l’alto dei prezzi dell’elettricità verde viene ulteriormente sostenuta dall’avvicinarsi delle scadenze fissate dagli stati per la realizzazione dei relativi impianti. In California, per esempio, le aziende elettriche si stanno dando molto da fare per acquisire delle quote significative di risorse rinnovabili allo scopo di rispettare la quota del 20% fissata per il 2010. In un simile mercato,  prezzi in salita non sarebbero affatto una sorpresa: i prezzi crescono quando la domanda supera l’offerta, indipendentemente dalla ragione dello squilibrio.
Nella teoria economica, la concorrenza abilita i mercati a rispondere con una “mano invisibile”. Invece quando le tendenze  del mercato sono accellerate dal “fiat” dei governi,  esse sono soggette ad una mano ben visibile e molto pesante.

Torniamo alla realtà
Le centrali eoliche sono fattibili solo in luoghi ventosi e i pannelli fotovoltaici funzionano solo quando c’è il sole. L’accesso alle fonti, similmente limita il ricorso all’energia geotermica ed alle biomasse. Sebbene questi limiti geografici dovrebbero essere evidenti, programmi statali troppo ambiziosi come quello della California indicano un fallimento della programmazione politica  nel valutare correttamente se le riserve di energie rinnovabili di una regione sono effettivamente sufficienti a coprire la quota di domanda stabilita per decreto.
La carenza di risorse locali facilmente accessibili ha spinto le società elettriche a cercare negli stati vicini ciò che serviva a soddisfare le quote imposte. Ma la ricerca di fonti rinnovabili oltre i confini di stato può avere conseguenze negative sia per lo stato consumatore (costi più alti a causa dei maggiori costi di trasporto), sia per quello produttore (energia che potrebbe essere distribuita localmente a basso costo, viene invece esportata).
Alla fine della fiera, sebbene gli editti governativi per incrementare la domanda promettano qualche beneficio a breve termine, i guadagni a lungo termine non saranno possibili a meno che  gli obbiettivi imposti dagli stati non siano basati su stime realistiche di quanto è effettivamente disponibile, e non semplicemente sulla “correttezza politica” delle intenzioni.

Non tutto è perduto… però
Il sostegno allo sviluppo ed uso delle risorse energetiche rinnovabili è una buona politica che deve essere proseguita per diverse ragioni. Se implementati con saggezza i programmi governativi di incentivo possono produrre  vantaggi sia per consumatori che per l’ambiente, riducendo la dipendenza dal petrolio importato, diversificando le fonti energetiche usate per la generazione di energia elettrica, riducendo le emissioni di gas serra, e riducendo in prospettiva anche il costo dell’elettricità.
Se invece  sono mal concepiti i programmi governativi creano una domanda  artificiosa che non riflette i limiti e le difficoltà che nel mondo reale si incontrano per lo sviluppo di progetti basati su energie rinnovabili. Il risultato netto potrebbero essere tariffe elettriche molto più alte ed un probabile contraccolpo sulla credibilità pubblica. Se i decisori politici non considerano accuratamente i possibili aspetti negativi del loro fervore a far diminuire fin da oggi oggi, costi quel che costi, l’impatto al riscaldamento globale  della CO2 emessa degli impianti di produzione elettrica, la storia potrebbe ricordare i progetti di incentivo come nient’altro che un ennesimo e dispendioso, se pur  verde, “progetto di facciata”.

(C)  POWER, Maggio 2008, pag. 18

(traduzione a cura di Gianluca Lapini)