“Non faremo l’apocalisse a colpi di buchi neri”

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Nell’edificio numero 4, in austero stile Anni 50, il fisico del CERN Michelangelo Mangano alza gli occhi azzurri dal laptop e lascia che le dita riposino sulla tastiera. «Ho scambiato alcune e-mail con Lisa Randall, la famosa studiosa di particelle e cosmologia della Harvard University: lei è sicura che non si possano nemmeno produrre i buchi neri!».
È in una di queste stanze, dominate dalle formule che corrono su grandi lavagne, che si prepara l’ultimo – e definitivo – rapporto: non ci sarà l’Apocalisse a base di protoni, scatenata da scienziati pasticcioni, perché l’LHC, il maxi-acceleratore di particelle che sta per entrare in funzione nel sottosuolo di Ginevra, è tutto tranne l’equivalente della «Macchina Fine del Mondo» del Dottor Stranamore. La più impressionante apparecchiatura scientifica mai realizzata proverà a indagare alcuni segreti della realtà, non ad annichilirla, come pretendono due americani, Walter Wagner e Luis Sancho, che hanno citato in giudizio il CERN, in quanto «possibile causa di catastrofi cosmiche».
Il loro scenario peggiore prevede un ingestibile effetto a catena: le altissime energie nell’anello di 27 chilometri in cui si scontreranno le particelle potrebbero generare mini-buchi neri, i quali, unendosi, risucchierebbero la materia, vale a dire la pacifica Ginevra e, chissà, la Terra stessa. Un incubo perfetto, che può suonare verosimile in un luogo che fa dell’eccezionalità il suo standard: qui i protoni viaggeranno a velocità prossime a quelle della luce, confinati in un ambiente dove la temperatura crolla a -271 gradi (come nello spazio profondo) e il campo magnetico è 200 mila volte più intenso di quello terrestre.
Scienza e fantascienza, così, agli occhi dei non addetti ai lavori, flirtano alla grande e collidono come i mattoncini della materia che i camici bianchi vogliono spaccare e indagare. E sbocciano siti e blog. «Che spesso sfruttano il nostro gergo iper-tecnico per produrre equivoci. La frase “Il pericolo di operatori di dimensione 6”, per esempio, può essere terrorizzante solo per chi non conosce i principi teorici a cui si riferisce. E lo stesso vale per l’evocazione dei buchi neri, che si trasformano in “trojan horses” propagandistici, come i cavalli di troia informatici. Noi fisici dovremmo essere più responsabili nella scelta delle espressioni per spiegarci ».
E infatti gli studi dell’ultimo decennio hanno analizzato anche la possibilità di avere a che fare con piccoli buchi neri, ma i calcoli conducono a conclusioni opposte a quelle di Wagner-Sancho. «Era un dovere interrogarsi se potessero formarsi e, invece di decadere, non decadere affatto, stabilizzandosi. Così come è stato fatto per escludere il rischio di altri fantomatici oggetti, gli “strangelets”, i cui possibili effetti macroscopici sono stati studiati in due rapporti, dal Brookhaven National Laboratory di Long Island, negli Usa, e dal CERN stesso, concludendo che non ci sono pericoli». Ora un team a Ginevra sta completando un aggiornamento: discuterà i dati degli esperimenti di Brookhaven che hanno confermato l’inesistenza degli «strangelets» e documenterà quelli che provano la natura «mite» di possibili mini-buchi neri. Il rapporto, il cui obiettivo è di essere decifrabile anche da chi non ha la laurea in fisica, è atteso per maggio. Arriverà in tempo per l’udienza del 16 giugno, quando un giudice americano valuterà se ci sia un fondamento nella clamorosa richiesta di bloccare l’inizio degli esperimenti.
In realtà, le inquietudini intorno all’inizio delle collisioni non riguardano i «black holes » mangiatutto. Semmai la difficoltà di calibrare uno strumento di cui si aziona il pulsante d’accensione per la prima volta e che produrrà un’energia immensa, fino a 14 Tev (ogni Tev equivale a mille miliardi di elettronvolt): sarà come far scontrare due auto a 2 mila all’ora e osservare le conseguenze. «I problemi rimarranno confinati là sotto, a 100 metri di profondità – spiega Mangano -. I campi elettrici daranno velocità ai protoni e i campi magnetici li guideranno lungo l’anello: se si verificasse una perdita del fascio, si danneggerebbero le apparecchiature, come i magneti, ma gli effetti non si estenderebbero oltre il tunnel». Il massimo del disastro previsto equivarrebbe a un’esplosione da 80 chili di tritolo, in un ambiente circoscritto, immensamente diversa dall’annunciata catastrofe.
Ecco perché – aggiunge Mangano – l’acceleratore aumenterà la sua intensità gradualmente. Si comincerà con un protone singolo e solo alla fine si arriverà ai pacchetti – i «bunches» – da 100-1000 miliardi di particelle l’uno. «Prima si testeranno gli esperimenti stessi, non si cercherà la fisica nuova. Il top delle prestazioni si raggiungerà intorno al 2009». È allora che le collisioni raggiungeranno il massimo – 40 milioni al secondo – e sarà un tale kolossal che sensori e memorie saranno in grado di registrarne solo alcuni frammenti, i più interessanti.
Interessanti significa carichi di indizi per trovare ciò che tutti si aspettano – come il Bosone di Higgs, la particella associata alla massa – e ciò che ora si sogna soltanto, come la prima prova sperimentale della Supersimmetria, la teoria che getta un ponte tra gravità e interazioni forti, deboli ed elettromagnetiche. Pochi degli oltre 60 mila visitatori che hanno affollato il CERN nel weekend per una «porte aperte» ai laboratori ammettono di capire tutto, ma ciò che ha impressionato gli scienziati – spiega Mangano – «è la loro attrazione per la razionalità: l’SOS sui buchi neri killer fa sorridere i più».