I sistemi complessi

Benedetta CappelliniEditoriale

L’effetto farfalla è diventato celebre presso il grande pubblico col film Jurassic Park: è il matematico Malcolm a parlarne, paventando il futuro comportamento imprevedibile della rinata fauna preistorica. “Una farfalla batte le ali a Pechino e il tempo cambia a New York”: con questo paradosso il matematico esprime l’estrema sensibilità alle minime variazioni delle condizioni iniziali che si presenta nei sistemi complessi, emblematicamente rappresentati dal sistema atmosferico. La frase di Malcolm è una delle tante varianti di quella originaria coniata dal padre della scienza del caos, il meteorologo Edward Lorenz, recentemente scomparso all’età di 90 anni. Commentando i risultati di una serie di simulazioni sul clima, 45 anni fa durante un congresso, Lorenz lanciò la provocatoria domanda: “Può il battito d’ali di una farfalla in Brasile generare un uragano in Texas?”. Erano i primi passi di una serie di ricerche destinate a trasformare la fisionomia della scienza contemporanea, con pesanti implicazioni – anche se ancora poco divulgate – sull’immagine stessa di scienza e sul suo ruolo nella società.

Nel giro di pochi decenni, un numero crescente di ricercatori si è inoltrato in territori inesplorati delle scienze della natura, scoprendo comportamenti complessi non solo nelle scienza della vita, fenomeno complesso per antonomasia, ma anche in ambiti disciplinari da sempre considerati come il regno dell’ordine e della linearità, come le scienze fisiche. Questo aspetto trasversale della complessità è degno di essere sottolineato in quanto rivela una situazione generale: dopo quattro secoli di scienza galileiana, contrassegnata da grandi scoperte, da una enorme capacità di analizzare i più piccoli dettagli e da un progressivo dominio dell’uomo sui meccanismi naturali, ora sembra affiorare un livello della realtà non previsto, dotato di leggi proprie ma comuni ai più diversi settori; e dove non è soltanto l’abilità analitica che conta quanto l’attitudine a unire analisi e sintesi, a individuare fattori unitari dentro la varietà e l’apparente incoerenza dei dati. Non scompaiono l’ordine e la razionalità del cosmo, come qualcuno ha sbrigativamente sentenziato, ma vanno rintracciati a un livello diverso, più profondo e rivelabile con strumenti più raffinati.

Un’altra caratteristica interessante della nuova scienza della complessità è che, pur trattandosi di studi di alto livello, con notevoli difficoltà e con l’impiego di elaborati formalismi matematici, le sue ricadute e i suoi campi di applicazione sono tra i più comuni e familiari. Valga per tutti l’esempio del clima e della previsione meteorologica, quello da cui ha preso le mosse lo stesso Lorenz e che tanto spazio ha oggi anche a livello dei media. Siamo di fronte a un fenomeno intrinsecamente complesso, sul quale si sono infrante tante sicurezze e tanta presunzione di chi pensava che bastasse elaborare un buon modello matematico e avere a disposizione un potente supercomputer per ricondurre sotto il controllo umano la fantasia della natura, piegandola alle nostre aspettative. Il responso dei fatti, che spesso smentiscono i nostri tentativi di modellizzazione, è molto eloquente, per chi sa e vuole leggerlo: la natura è anzitutto un dato, da accogliere, da rispettare, da cercare di capire per quello che è, sia nelle sue dimensioni quantitative come pure nelle sue valenze qualitative e simboliche.

Stupisce pertanto come molti si intestardiscano a emettere sentenze definitive sul problema dei cambiamenti climatici: un argomento che richiede la pazienza di considerare i numerosi fattori in campo e le loro molteplici interconnessioni e per il quale semplificare significa censurare qualche dato e precludersi di scoprire qualcosa che attenga alla realtà del fenomeno. Sarà interessante, in proposito, durante il prossimo Meeting di Rimini, visitare la mostra Atmosphera, curata dall’associazione Euresis e dedicata proprio a questo tema, affrontato senza presupposti ideologici in un’ottica di esclusiva ricerca della verità.

Nel frattempo, il diffondersi degli studi sul caos e sulla complessità ha mostrato tutta la sua carica dirompente arrivando a mettere in discussione alcuni dogmi dello scientismo vecchio e nuovo e aprendo fruttuosi canali di comunicazione tra le scienze naturali e le altre forme della conoscenza.

Un primo dogma è quello del riduzionismo, secondo il quale un oggetto sarebbe comprensibile come somma dei suoi componenti elementari: la scomposizione analitica, oggi facilitata da strumenti tecnici sempre più potenti, sarebbe sufficiente per decifrare la struttura e il funzionamento delle cose. Peccato però che questa si stia rivelando come una pia illusione. “More is different”, così un altro dei padri della nuova scienza, P. W. Anderson, titolava un celebre articolo su Science nell’agosto 1972: cioè, un fenomeno nella sua unitarietà è molto più della combinazione delle sue parti e un semplice riassemblaggio dei pezzi non ci restituirà mai la vera natura del nostro oggetto di studio.

Altro pilastro dell’orgoglio scientista, che traballa sotto i colpi del caos e della complessità, è quello della predicibilità. Il trionfo della scienza sei-settecentesca è stato infatti la possibilità di prevedere puntualmente l’evoluzione dei sistemi naturali sulla base dei dati iniziali e con l’impiego di un certo numero di equazioni. Non che ciò sia venuto meno; anzi, in questo modo scienziati e ingegneri continuano a ottenere utili risultati e a progredire nelle conoscenze e nelle applicazioni. La novità, peraltro preannunciata oltre un secolo fa dal matematico francese Henry Poincaré, è che la prevedibilità non è assoluta né assicurata: anche in sistemi totalmente deterministici, l’evolversi del fenomeno è fortemente condizionato da impercettibili differenze nelle condizioni iniziali. D’altra parte, non sono pochi i fatti che documentano la nostra impossibilità a fissare con esattezza tali condizioni e che dovrebbero mettere al riparo dalla pretesa scientista di poter ingabbiare tutta la realtà nelle nostre misure.

La considerazione derivante dal crollo di questi dogmi è che la natura è più sottile di quanto i nostri strumenti, tecnici e concettuali, non rivelino e che spesso per comprenderla servono altri tipi di informazioni oltre a quelle fornite dalle scienze cosiddette esatte. Se si vuole, è un altro risvolto di quell’esigenza di ampliamento della ragione invocata da Benedetto XVI e della quale si coglie sempre più la portata profetica. È sorprendente il fatto che tale invito all’apertura provenga oggi dall’interno delle scienze stesse; anzi, dalle loro punte più avanzate.
Varrà la pena allora, seguire con attenzione gli sviluppi di queste ricerche.