Giuseppe Caravita, Il Sole 24 Ore, 27 febbraio 2008
A Culham, sedici chilometri a sud di Oxford, il 9 novembre 1991, il grande anello del JET (Joint European Thorus) si illuminò della sua caratteristica luce violetta. Per 1,8 secondi ne scaturirono 1,7 megawatt termici, prodotti dalla fusione di nuclei di deuterio e trizio a oltre 150 milioni di gradi. Poi, il 31 ottobre 1997, fu la replica in grande: oltre 16 megawatt in una scarica di un secondo e mezzo. E pochi mesi dopo la dimostrazione definitiva: 4 megawatt ottenuti però stabilmente, per oltre 4 secondi, dentro il Tokamak europeo.
Questi tre eventi, nella loro sostanza scientifica, sono i genitori di ITER, il fratello maggiore, molto simile ma fisicamente doppio del JET. Una delle maggiori scommesse in corso dell’umanità. Ottenere stabilmente l’energia da fusione entro il 2020 con il Tokamak, una macchina originariamente inventata dai fisici russi negli anni 60, e poi replicata dagli scienziati in tutto il mondo e infine rivelatasi, grazie anche ai risultati del JET, la pista più sicura per arrivare al grande obbiettivo. «Quello che abbiamo capito, in decenni di ricerca – spiega Enzo Lazzaro, in passato a Culham e ora direttore dell’Istituto di Fisica del Plasma del CNR a Milano – è che il criterio per ottenere le condizioni per la fusione nucleare dipende sostanzialmente da due parametri: il campo magnetico necessario per confinare il plasma e la scala, la dimensione del reattore. Il primo parametro però può diventare proibitivamente costoso, oltre certe soglie. La seconda via, aumentare la scala dell’impianto, è la più percorribile ed è oggi nella sostanza quella scelta per ITER, macchina che, dal 2016 in avanti, ci consentirà di capire come innescare la fusione, controllarla, e mantenerla stabile. Il preludio ai veri e propri reattori di produzione energetica».
Oggi ITER sta entrando nel vivo. Dopo dieci anni di stallo, dovuti ai suoi enormi costi (budget 10 miliardi di euro) il progetto, sbloccato nel 2005 da un accordo internazionale, ha visto negli scorsi dodici mesi la formazione di speciali agenzie da parte dei Paesi partecipanti (Ue, Usa, Giappone, India, Cina), una struttura di management (direttore generale il giapponese Kaname Ikeda, responsabile della costruzione il tedesco Norbert Holtkamp), «e i lavori di sbancamento nel sito di Cadarache sono già iniziati – spiega Riccardo Casale, consigliere di amministrazione dell’Enea – con le prime gare che si annunciano per fine anno».
In palio vi è uno dei progetti industriali più ambiziosi e complessi del mondo. Più di un milione di componenti elementari, tutti di frontiera (materiali, elettronica, chimica….) e decine di sottosistemi che spaziano dal vuoto assoluto alla criogenia, alla superconduzione, alle radiofrequenze.
«ITER si basa, però, su componenti già progettati, e provati, tutti, quantomeno in laboratorio», dice Franco Gandini del CNR-IFP. Dove, per esempio, è stato co-sviluppato uno degli iniettori di radiofrequenze necessario a scaldare ulteriormente l’anello di gas dentro ITER. «Le specifiche costruttive saranno di conseguenza, chiare e dettagliate – aggiunge –, e la qualità richiesta elevatissima».
Allo stesso tempo però su una torta piuttosto appetibile: «ITER prevede, da qui a venti anni, 5 miliardi di euro per la costruzione e altri 5 per l’esercizio. E quasi metà di queste cifre verrà attivato su imprese europee – stima Casale –. Prevediamo che, per le aziende italiane, le commesse ottenibili potrebbero raggiungere i 250-300 milioni di euro. E non solo nei componenti strategici, come i grandi magneti superconduttori dell’Asg o il divertore (la base dell’anello, dove il plasma scarica il calore e le scorie della fusione, ndr) di Ansaldo Nucleare. Vi saranno opportunità qualificate anche per piccole e medie imprese di metallurgia avanzata, robotica e persino edilizia industriale».
L’Enea ha già organizzato due convegni, il primo a Genova con 250 imprese e il secondo a Torino (poche settimane fa) con un centinaio di aziende metallurgiche e meccatroniche. «Ci proponiamo di dare tutta l’assistenza, come tramite con la nuova agenzia europea sulla fusione di Barcellona, fornendo alle imprese le specifiche, informazioni, gli instradamenti e i consigli giusti per partecipare ai 220 contratti previsti sulla quota europea di ITER. Ciascuno dei quali avrà un valore medio di 12 milioni di euro e sarà poi connesso a contratti di servizio, per manutenzione o miglioramento dei sottosistemi. Cifre, si badi bene, dietro cui oggi stanno fondi reali, e non più politicamente aleatori».
Non saranno certo rose e fiori qualificarsi per Iter. Ma almeno un dato è certo: «Partecipare a questo progetto significa conquistarsi un attestato di qualità difficilmente ottenibile altrove», osserva Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare.
E poi vale uno scenario a lungo termine: «Iter dovrebbe essere realizzato entro il 2016, con tempi tecnici più o meno simili a una grande centrale nucleare – rileva Lazzaro – poi, se i primi risultati sulla fusione saranno quelli attesi, partirà in Giappone Demo, un reattore basato su Iter ma per la piena produzione energetica. E insieme, nei Paesi partecipanti, si darà il via a multipli Ctf, in pratica degli ITER sperimentali più piccoli per lo sviluppo dei componenti e del capitale umano». Nell’arco di vent’anni, così, la fusione potrebbe divenire un’autentica filiera industriale mondiale. «E c’è persino la possibilità che, se Iter intorno al 2020 ci darà i risultati, si metta in moto un crash program planetario – osserva Rosa Antidormi, consigliere scientifico alla direzione ricerca Ue – con più grandi iniziative pubbliche in parallelo e accelerate». Tutto dipende da Cadarache, quindi. Da un’equazione sviluppata al Jet e ritenuta esatta. E dal lavoro combinato e di qualità di migliaia di imprese, tecnici e scienziati.
Questi tre eventi, nella loro sostanza scientifica, sono i genitori di ITER, il fratello maggiore, molto simile ma fisicamente doppio del JET. Una delle maggiori scommesse in corso dell’umanità. Ottenere stabilmente l’energia da fusione entro il 2020 con il Tokamak, una macchina originariamente inventata dai fisici russi negli anni 60, e poi replicata dagli scienziati in tutto il mondo e infine rivelatasi, grazie anche ai risultati del JET, la pista più sicura per arrivare al grande obbiettivo. «Quello che abbiamo capito, in decenni di ricerca – spiega Enzo Lazzaro, in passato a Culham e ora direttore dell’Istituto di Fisica del Plasma del CNR a Milano – è che il criterio per ottenere le condizioni per la fusione nucleare dipende sostanzialmente da due parametri: il campo magnetico necessario per confinare il plasma e la scala, la dimensione del reattore. Il primo parametro però può diventare proibitivamente costoso, oltre certe soglie. La seconda via, aumentare la scala dell’impianto, è la più percorribile ed è oggi nella sostanza quella scelta per ITER, macchina che, dal 2016 in avanti, ci consentirà di capire come innescare la fusione, controllarla, e mantenerla stabile. Il preludio ai veri e propri reattori di produzione energetica».
Oggi ITER sta entrando nel vivo. Dopo dieci anni di stallo, dovuti ai suoi enormi costi (budget 10 miliardi di euro) il progetto, sbloccato nel 2005 da un accordo internazionale, ha visto negli scorsi dodici mesi la formazione di speciali agenzie da parte dei Paesi partecipanti (Ue, Usa, Giappone, India, Cina), una struttura di management (direttore generale il giapponese Kaname Ikeda, responsabile della costruzione il tedesco Norbert Holtkamp), «e i lavori di sbancamento nel sito di Cadarache sono già iniziati – spiega Riccardo Casale, consigliere di amministrazione dell’Enea – con le prime gare che si annunciano per fine anno».
In palio vi è uno dei progetti industriali più ambiziosi e complessi del mondo. Più di un milione di componenti elementari, tutti di frontiera (materiali, elettronica, chimica….) e decine di sottosistemi che spaziano dal vuoto assoluto alla criogenia, alla superconduzione, alle radiofrequenze.
«ITER si basa, però, su componenti già progettati, e provati, tutti, quantomeno in laboratorio», dice Franco Gandini del CNR-IFP. Dove, per esempio, è stato co-sviluppato uno degli iniettori di radiofrequenze necessario a scaldare ulteriormente l’anello di gas dentro ITER. «Le specifiche costruttive saranno di conseguenza, chiare e dettagliate – aggiunge –, e la qualità richiesta elevatissima».
Allo stesso tempo però su una torta piuttosto appetibile: «ITER prevede, da qui a venti anni, 5 miliardi di euro per la costruzione e altri 5 per l’esercizio. E quasi metà di queste cifre verrà attivato su imprese europee – stima Casale –. Prevediamo che, per le aziende italiane, le commesse ottenibili potrebbero raggiungere i 250-300 milioni di euro. E non solo nei componenti strategici, come i grandi magneti superconduttori dell’Asg o il divertore (la base dell’anello, dove il plasma scarica il calore e le scorie della fusione, ndr) di Ansaldo Nucleare. Vi saranno opportunità qualificate anche per piccole e medie imprese di metallurgia avanzata, robotica e persino edilizia industriale».
L’Enea ha già organizzato due convegni, il primo a Genova con 250 imprese e il secondo a Torino (poche settimane fa) con un centinaio di aziende metallurgiche e meccatroniche. «Ci proponiamo di dare tutta l’assistenza, come tramite con la nuova agenzia europea sulla fusione di Barcellona, fornendo alle imprese le specifiche, informazioni, gli instradamenti e i consigli giusti per partecipare ai 220 contratti previsti sulla quota europea di ITER. Ciascuno dei quali avrà un valore medio di 12 milioni di euro e sarà poi connesso a contratti di servizio, per manutenzione o miglioramento dei sottosistemi. Cifre, si badi bene, dietro cui oggi stanno fondi reali, e non più politicamente aleatori».
Non saranno certo rose e fiori qualificarsi per Iter. Ma almeno un dato è certo: «Partecipare a questo progetto significa conquistarsi un attestato di qualità difficilmente ottenibile altrove», osserva Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare.
E poi vale uno scenario a lungo termine: «Iter dovrebbe essere realizzato entro il 2016, con tempi tecnici più o meno simili a una grande centrale nucleare – rileva Lazzaro – poi, se i primi risultati sulla fusione saranno quelli attesi, partirà in Giappone Demo, un reattore basato su Iter ma per la piena produzione energetica. E insieme, nei Paesi partecipanti, si darà il via a multipli Ctf, in pratica degli ITER sperimentali più piccoli per lo sviluppo dei componenti e del capitale umano». Nell’arco di vent’anni, così, la fusione potrebbe divenire un’autentica filiera industriale mondiale. «E c’è persino la possibilità che, se Iter intorno al 2020 ci darà i risultati, si metta in moto un crash program planetario – osserva Rosa Antidormi, consigliere scientifico alla direzione ricerca Ue – con più grandi iniziative pubbliche in parallelo e accelerate». Tutto dipende da Cadarache, quindi. Da un’equazione sviluppata al Jet e ritenuta esatta. E dal lavoro combinato e di qualità di migliaia di imprese, tecnici e scienziati.