“Nell’ultimo decennio, la resistenza della creazione a farsi manipolare dall’uomo si è manifestata come elemento di novità nella situazione culturale complessiva. La domanda circa i limiti della scienza e i criteri cui essa deve attenersi si è fatta inevitabile. Particolarmente significativo di tale cambiamento del clima intellettuale mi sembra il diverso modo con cui si giudica il caso Galileo. Questo fatto, ancora poco considerato nel XVII secolo, venne – già nel secolo successivo – elevato a mito dell’illuminismo. Galileo appare come vittima di quell’oscurantismo medievale che permane nella Chiesa. Bene e male sono separati con un taglio netto. Da una parte troviamo l’Inquisizione: il potere che incarna la superstizione, l’avversario della libertà e della conoscenza. Dall’altra la scienza della natura, rappresentata da Galileo; ecco la forza del progresso e della liberazione dell’uomo dalle catene dell’ignoranza che lo mantengono impotente di fronte alla natura. La stella della Modernità brilla nella notte buia dell’oscuro Medioevo. Secondo Bloch, il sistema eliocentrico – così come quello geocentrico – si fonda su presupposti indimostrabili. Tra questi, rivestirebbe un ruolo di primo piano l’affermazione dell’esistenza di uno spazio assoluto; opzione che tuttavia è stata poi cancellata dalla teoria della relatività. Curiosamente fu proprio Ernst Bloch, con il suo marxismo romantico, uno dei primi ad opporsi apertamente a tale mito, offrendo una nuova interpretazione dell’accaduto. Bloch espone solo una concezione moderna della scienza naturale. Sorprendente è invece la valutazione che egli ne trae: «Una volta data per certa la relatività del movimento, un antico sistema di riferimento umano e cristiano non ha alcun diritto di interferire nei calcoli astronomici e nella loro semplificazione eliocentrica; tuttavia, esso ha il diritto di restar fedele al proprio metodo di preservare la terra in relazione alla dignità umana e di ordinare il mondo intorno a quanto accadrà e a quanto è accaduto nel mondo». Se qui entrambe le sfere di conoscenza vengono ancora chiaramente differenziate fra loro sotto il profilo metodologico, riconoscendone sia i limiti che i rispettivi diritti, molto più drastico appare invece un giudizio sintetico del filosofo agnostico-scettico P. Feyerabend. Egli scrive: «La Chiesa dell’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione». Dal punto di vista delle conseguenze concrete della svolta galileiana, infine, C. F. Von Weizsacker fa ancora un passo avanti, quando vede una «via direttissima» che conduce da Galileo alla bomba atomica. Sarebbe assurdo costruire sulla base di queste affermazioni una frettolosa apologetica. La fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità, ma dalla sua fondamentale affermazione e dalla sua inscrizione in una ragionevolezza più grande”.
Tratto da “Svolta per l’Europa? Chiesa e modernità nell’Europa dei rivolgimenti”, Edizioni Paoline, Roma 1992, pp. 76-79.
“La fecondità di questo incontro (con la Persona di Cristo, ndr) si manifesta, in maniera peculiare e creativa, anche nell’attuale contesto umano e culturale, anzitutto in rapporto alla ragione che ha dato vita alle scienze moderne e alle relative tecnologie. Una caratteristica fondamentale di queste ultime è infatti l’impiego sistematico degli strumenti della matematica per poter operare con la natura e mettere al nostro servizio le sue immense energie. La matematica come tale è una creazione della nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell’universo – che è il presupposto di tutti i moderni sviluppi scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da Galileo Galilei con la celebre affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico – suscita la nostra ammirazione e pone una grande domanda. Implica infatti che l’universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura. Diventa allora inevitabile chiedersi se non debba esservi un’unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell’una e dell’altra. Così proprio la riflessione sullo sviluppo delle scienze ci riporta verso il Logos creatore. Viene capovolta la tendenza a dare il primato all’irrazionale, al caso e alla necessità, a ricondurre ad esso anche la nostra intelligenza e la nostra libertà. Su queste basi diventa anche di nuovo possibile allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme.”
Tratto dal discorso di Sua Santità Benedetto XVI ai partecipanti al IV convegno nazionale della Chiesa Italiana, Verona, 19 Ottobre 2006.
(C) Libreria Editrice Vaticana
“Sono lieto di salutare i membri
della Pontificia Accademia delle Scienze in occasione di questa Assemblea
Plenaria, e ringrazio il Professor Nicola Cabibbo per le gentili parole
di saluto che mi ha rivolto a nome vostro. Il tema del vostro incontro
– “La prevedibilità nella scienza: accuratezza e limiti”
– riguarda una caratteristica distintiva della scienza moderna. La prevedibilità,
in effetti, è una delle ragioni principali del prestigio di cui gode
la scienza nella società contemporanea. L’istituzione del metodo scientifico
ha dato alle scienze la capacità di prevedere i fenomeni, di studiarne
lo sviluppo e, quindi, di controllare l’ambiente in cui l’uomo vive.
La crescente “avanzata”
della scienza, e specialmente la sua capacità di controllare la natura
attraverso la tecnologia, talvolta è stata collegata a una corrispondente
“ritirata” della filosofia, della religione e perfino della
fede cristiana. In effetti, alcuni hanno visto nel progresso della scienza
e della tecnologia moderna una delle principali cause della secolarizzazione
e del materialismo: perché invocare il controllo di Dio su questi fenomeni
quando la scienza si è dimostrata capace di fare lo stesso? Certamente
la Chiesa riconosce che l’uomo “coll’aiuto della scienza e della
tecnica, ha dilatato e continuamente dilata il suo dominio su quasi
tutta intera la natura” e che pertanto “molti beni, che un
tempo l’uomo si aspettava dalle forze superiori, oggi ormai se li procura
con la sua iniziativa e con le sue forze” (Gaudium et spes
, n. 33). Al contempo, il cristianesimo
non presuppone un conflitto inevitabile tra la fede soprannaturale e
il progresso scientifico. Il punto di partenza stesso della rivelazione
biblica è l’affermazione che Dio ha creato gli esseri umani, dotati
di ragione, e li ha posti al di sopra di tutte le creature della terra.
In questo modo l’uomo è diventato colui che amministra la creazione
e l'”aiutante” di Dio. Se pensiamo, per esempio, a come la
scienza moderna, prevedendo i fenomeni naturali, ha contribuito alla
protezione dell’ambiente, al progresso dei Paesi in via di sviluppo,
alla lotta contro le epidemie e all’aumento della speranza di vita,
appare evidente che non vi è conflitto tra la Provvidenza di Dio e
l’impresa umana. In effetti, potremmo dire che il lavoro di prevedere,
controllare e governare la natura, che la scienza oggi rende più attuabile
rispetto al passato, è di per se stesso parte del piano del Creatore.
La scienza, tuttavia, pur donando
generosamente, dà solo ciò che deve donare. L’uomo non può riporre
nella scienza e nella tecnologia una fiducia talmente radicale e incondizionata
da credere che il progresso scientifico e tecnologico possa spiegare
qualsiasi cosa e rispondere pienamente a tutti i suoi bisogni esistenziali
e spirituali. La scienza non può sostituire la filosofia e la rivelazione
rispondendo in mondo esaustivo alle domande più radicali dell’uomo:
domande sul significato della vita e della morte, sui valori ultimi,
e sulla stessa natura del progresso. Per questa ragione, il Concilio
Vaticano II, dopo aver riconosciuto i benefici ottenuti dai progressi
scientifici, ha sottolineato che “il metodo di investigazione (…)
viene innalzato a torto a norma suprema di ricerca della verità totale”,
aggiungendo che “vi è il pericolo che l’uomo, troppo fidandosi
delle odierne scoperte, pensi di bastare a se stesso e più non cerchi
cose più alte” (Ibidem, n. 57).
La prevedibilità scientifica
solleva anche la questione delle responsabilità etiche dello scienziato.
Le sue conclusioni devono essere guidate dal rispetto della verità
e dall’onesto riconoscimento sia dell’accuratezza sia degli inevitabili
limiti del metodo scientifico. Certamente ciò significa evitare le
previsioni inutilmente allarmanti quando queste non sono sostenute da
dati sufficienti o vanno oltre le capacità effettive di previsione
della scienza. Significa però anche evitare il contrario, vale a dire
il silenzio, nato dalla paura, dinanzi ai problemi autentici. L’influenza
degli scienziati nel formare l’opinione pubblica sulla base della loro
conoscenza è troppo importante per essere minata da una fretta inopportuna
o dalla ricerca di una pubblicità superficiale. Come il mio predecessore
Papa Giovanni Paolo II una volta ha osservato: “Gli scienziati,
quindi, proprio perché “sanno di più”, sono chiamati a “servire
di più”. Poiché la libertà di cui godono nella ricerca dà loro
accesso al sapere specializzato, hanno la responsabilità di utilizzare
quest’ultimo saggiamente per il bene di tutta la famiglia umana”
(Discorso alla Pontificia Accademia
delle Scienze
,
11 novembre 2002).
Cari Accademici, il nostro
mondo continua a guardare a voi e ai vostri colleghi per una chiara
comprensione delle possibili conseguenze di molti importanti fenomeni
naturali. Penso, per esempio, alle continue minacce all’ambiente che
colpiscono intere popolazioni, e al bisogno urgente di scoprire fonti
energetiche alternative, sicure, accessibili a tutti. Gli scienziati
troveranno il sostegno della Chiesa nei loro sforzi per affrontare simili
questioni, poiché la Chiesa ha ricevuto dal suo divino Fondatore il
compito di guidare la coscienza delle persone verso il bene, la solidarietà
e la pace. Proprio per questa ragione considera suo dovere insistere
sul fatto che la capacità della scienza di prevedere e controllare
non venga mai utilizzata contro la vita umana e la sua dignità, ma
che sia sempre messa al suo servizio, al servizio della generazione
presente e di quelle future.
Vi è un’ultima riflessione
che il tema della vostra Assemblea ci può suggerire oggi. Come hanno
evidenziato alcune delle relazioni presentate negli ultimi giorni, il
metodo scientifico stesso, nel suo raccogliere dati, nell’elaborarli
e nell’utilizzarli nelle sue proiezioni, ha dei limiti insiti che necessariamente
restringono la prevedibilità scientifica a contesti ed approcci specifici.
La scienza, pertanto, non può pretendere di fornire una rappresentazione
completa, deterministica, del nostro futuro e dello sviluppo di ogni
fenomeno da essa studiato. La filosofia e la teologia potrebbero dare
un importante contributo a questa questione fondamentalmente epistemologica,
per esempio aiutando le scienze empiriche a riconoscere la differenza
tra l’incapacità matematica di prevedere determinati eventi e la validità
del principio di causalità, o tra l’indeterminismo o la contingenza
(casualità) scientifici e la causalità a livello filosofico o, più
radicalmente, tra l’evoluzione come origine ultima di una successione
nello spazio e nel tempo e la creazione come prima origine dell’essere
partecipato nell’Essere essenziale.
Al contempo, vi è un livello
più alto che necessariamente trascende le previsioni scientifiche,
ossia il mondo umano della libertà e della storia. Mentre il cosmo
fisico può avere un proprio sviluppo spaziale-temporale, solo l’umanità,
in senso stretto, ha una storia, la storia della sua libertà. La libertà,
come la ragione, è una parte preziosa dell’immagine di Dio dentro di
noi e non può essere ridotta a un’analisi deterministica. La sua trascendenza
rispetto al mondo materiale deve essere riconosciuta e rispettata, poiché
è un segno della nostra dignità umana. Negare questa trascendenza
in nome di una supposta capacità assoluta del metodo scientifico di
prevedere e condizionare il mondo umano comporterebbe la perdita di
ciò che è umano nell’uomo e, non riconoscendo la sua unicità e la
sua trascendenza, potrebbe aprire pericolosamente la porta al suo sfruttamento.
Cari amici, mentre concludo
queste riflessioni, ancora una volta vi assicuro del mio profondo interesse
per le attività di questa Pontificia Accademia e delle mie preghiere
per voi e per le vostre famiglie. Su tutti voi invoco le benedizioni
della sapienza, della gioia e della pace di Dio Onnipotente.”
Tratto dal discorso di Sua Santità Benedetto XVI ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, Vaticano, 6 novembre 2006.
(C) Libreria Editrice Vaticana