Perché l’Universo accelera la propria espansione invece di rallentarla, come vorrebbero le leggi della fisica? Ecco uno dei nuovi misteri del cosmo, che turba le menti degli scienziati. «Già l’esplosione iniziale da cui l’Universo è nato resta al di là delle nostre capacità di comprensione. Ma riusciamo a capire che la materia, fortemente sospinta dal Big Bang, si sia allontanata a grande velocità. Solo che, secondo la teoria newtoniana della gravitazione universale, dopo un certo periodo di tempo la ‘fuga’ avrebbe dovuto attenuarsi. E invece (da dieci anni ne siamo ormai certi) il processo di espansione è sempre più veloce». A sollevare la questione è uno studioso fra i più autorevoli, il professor William Shea, che, all’Università di Padova, occupa la Cattedra Galileiana di Storia della Scienza, unica al mondo con questo nome, e fa parte dell’Accademia Reale delle Scienze di Stoccolma, il comitato che assegna i Premi Nobel.
Massimo esperto di Galileo, ha pubblicato recentemente Galileo in Rome e Galileo observed. Nei giorni scorsi, ha accertato l’autenticità di un importante ritratto dello scienziato, quello eseguito da Ottavio Leoni, che probabilmente Galileo teneva esposto nella casa di Arcetri.
Professor Shea, il mistero sfida l’intelligenza scientifica. Quale potrebbe essere il futuro di questo Universo ‘troppo veloce’? Le galassie ‘scappano’?
«Prima si riteneva che l’Universo dovesse raffreddarsi, lentamente e progressivamente. Questo sarebbe stato il suo epilogo. Ora non possiamo più affermarlo. Quanto alle galassie, se guardiamo il limite dell’Universo, notiamo un cambiamento nello spettro, continuamente confermato dalle osservazioni fatte dai satelliti che girano attorno alla Terra. Non possiamo affacciare previsioni senza gli strumenti fondamentali, cioè le leggi che scopriremo in questa o nella prossima generazione. Ma c’è un altro mistero ancora: nell’Universo la materia è distribuita in modo relativamente uniforme, i corpi celesti addensati sono pochissimi; e invece, secondo la teoria newtoniana, per via della reciproca attrazione dei corpi, l’addensamento della materia dovrebbe risultare molto maggiore».
Si affacciano ipotesi per spiegare questi enigmi?
«L’Universo è molto più vasto e veloce di quanto si pensasse; ma la spiegazione ancora non c’è. Le teorie abbondano e nessuna appare soddisfacente. Il fisico americano Alan Guth spiega la distribuzione uniforme della materia con una famosa immagine: l’universo, quando nasce, passa – in un miliardesimo di secondo – dalle dimensioni di un protone a quelle di un pompelmo, e dopo un minuto è già immenso. Poi il suo sviluppo si fa più regolare e questo giustificherebbe l’uniforme distribuzione della materia».
E l’espansione accelerata quale causa ha?
«Qui occorre un breve excursus. Il Big Bang viene intuito dal sacerdote e astronomo belga Georges Lemaitre e dal russo George Gamow. Segue la fase dell’’inflazione’ dell’universo, ipotizzata da Guth, che si produce proprio all’inizio del processo di espansione. Dopo una passeggera adesione all’idea di un universo stazionario, anche Albert Einstein sposa la teoria dell’universo in espansione. Poi Stephen Hawking introduce la cosmologia quantistica. Il tentativo di spiegare l’espansione accelerata è affidato soprattutto alla teoria delle ‘bolle’ e del multiverso.
Oggi alcuni pensano che esistano molti universi o’ bolle’, e una di queste ‘bolle’ sarebbe il nostro Universo. I vari universi si troverebbero l’uno accanto all’altro, ma non potrebbero comunicare fra loro e sarebbero governati da leggi fisiche diverse».
È una vigilia di svolte della conoscenza, come quelle avvenute quattro secoli fa?
«Fioriscono teorie attraenti e piene di fantasia, che matematici di grandissimo valore stanno studiando, ma che non vengono dimostrate. Questo è un momento di grande impegno per la cosmologia. Cominciamo a domandarci se le leggi scoperte dal Seicento in poi valgano per tutto l’Universo o soltanto per il nostro sistema solare. È una fase di passaggio molto affascinante, se vogliamo. Appassionante soprattutto per i credenti: come diceva Galileo, leggere il libro della natura è come entrare nel disegno del Creatore». La storia dell’Universo offre conferme a chi crede che la vita e l’uomo erano attesi?
«Due miliardi di anni dopo il Big Bang, cioè dodici miliardi di anni fa, nell’Universo erano presenti solo due elementi: l’idrogeno e un po’ di elio.
Troppo poco per noi che, per esistere, abbiamo bisogno di carbonio e di ossigeno. Ma la materia, che era partita da un minuscolo punto, si è condensata nelle stelle. Questi reattori nucleari a fusione intrappolano, nella loro massa incandescente, l’idrogeno e l’elio. Poi le stelle – per l’addensamento – fondono ed esplodono, scagliando nel cosmo i nuovi elementi, necessari alla vita: dal carbonio al fosforo, tutto ciò che entra nei composti organici».
La vita è figlia delle stelle, ma questo basta per riconoscere una finalità nell’Universo?
«Il fatto straordinario è che l’Universo obbedisce a quattro costanti fisiche, il cui valore viene accertato in modo sperimentale. Nessuno sa se, e come, sono collegate fra di loro: la carica dell’elettrone, il parametro della gravitazione universale, la massa del protone e la costante di Planck. Non esiste alcuna teoria fisica che autorizza a metterle insieme. Ma, senza di loro, si azzererebbe tutto».
Da quando è stato rilanciato un ponte tra scienza, filosofia e teologia, i rapporti reciproci sono migliorati?
Com’è possibile far avanzare il dialogo?
«La scienza non può ignorare la dimensione spirituale del mondo e dell’uomo. E, d’altro canto, i credenti hanno il dovere di studiare la scienza.
All’Istituto Veneto di scienze, lettere e arti, prestigiosa sede di discussione e sapere, ho organizzato per il triennio 2008-2010 una scuola estiva internazionale: chiamerò i maggiori scienziati del mondo. E anche parlare di Galileo è attualissimo. Il suo caso può insegnarci a prevenire le incomprensioni».
Non si riprodurranno le spaccature che, specie nell’Ottocento, erano diventate incolmabili?
«Allora il caso fu in buona parte strumentalizzato, per fini politici. Oggi sappiamo molte più cose sull’epoca di Galileo e su ciò che avvenne. Da una parte c’era una scienza la quale riteneva che la realtà dovesse rispecchiare un’interpretazione letterale delle Scritture. Dall’altra c’era Galileo, il quale intuiva e dimostrava che il sistema tolemaico non poteva funzionare; ma non era ancora in grado di dimostrare che la Terra gira attorno al Sole. Quando papa Urbano VIII gli chiede: ‘La Terra, se gira attorno al Sole, come fa a non perdersi la Luna, che le rimane sempre agganciata?’, Galileo (il quale ignorava la gravitazione universale) risponde soltanto: ‘La Luna è legata ’naturalmente’ alla Terra’. Ma non dice come, non dice altro. La spiegazione scientifica del sistema eliocentrico la fornirà Isaac Newton».
Ma Copernico non aveva descritto il sistema eliocentrico già nel 1543?
«La teoria copernicana era incompleta: ignorava che il moto della Terra è ellittico e non circolare. L’aveva capito l’astronomo tedesco Giovanni Keplero.
Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei, ne informò con una lettera Galileo, ma lo scienziato non dette importanza alla cosa».
Tra i suoi contemporanei, nessuno aveva trovato elementi per corroborare la teoria eliocentrica, che era quella giusta?
«L’astronomo danese Tycho Brahe aveva avanzato una teoria poi seguita dalla stragrande maggioranza degli astronomi tra Galileo e Newton. Rappresentava un compromesso. Descriveva un sistema cosmico in parte eliocentrico, in parte geocentrico. Ecco cosa sosteneva Brahe: ‘Tutti i corpi celesti girano attorno al Sole, tranne la Terra e la Luna. Il Sole però – aggiungeva – portando con sé Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, gira attorno alla Terra’. È strano che Galileo non abbia preso in seria considerazione l’alternativa offerta da Brahe, che allora era abbastanza indovinata».
E perché la teoria di Brahe è stata per lungo tempo accettata? Era piuttosto macchinosa.
«Poiché nel sistema di Brahe la Terra non gira attorno al Sole (che però diventa il centro del sistema), non è più necessario spiegare perché non perde la Luna. E nessuno fece opposizione, finché non s’impose definitivamente la teoria galileiana. Ma non si può scrivere la storia della scienza con il senno di poi».Sulla cattedra di Galileo
La Cattedra Galileiana dell’Università di Padova si collega a Galileo perché in quell’ateneo lo scienziato insegnò diciotto anni a partire dal 1592 (e definì quel periodo «i più begli anni della mia vita»).
Quattrocento anni dopo, nel 1992, l’allora ministro della Ricerca scientifica, Antonio Ruberti, istituì la Cattedra, per onorare Galileo e tramandare il ricordo del suo insegnamento nell’ateneo padovano. Nel 2003 ad occupare la Cattedra Galileiana di Storia della Scienza è stato chiamato, per chiara fama, il professor William Shea (nella foto). Canadese, Shea – dopo esser stato fellow a Harvard – ha insegnato all’Università di Ottawa e alla Mc Gill University di Montreal, per poi dirigere l’Istituto di Storia della Scienza all’Università di Strasburgo. È stato Directeur d’études all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi.
Massimo esperto di Galileo, ha pubblicato recentemente Galileo in Rome e Galileo observed. Nei giorni scorsi, ha accertato l’autenticità di un importante ritratto dello scienziato, quello eseguito da Ottavio Leoni, che probabilmente Galileo teneva esposto nella casa di Arcetri.
Professor Shea, il mistero sfida l’intelligenza scientifica. Quale potrebbe essere il futuro di questo Universo ‘troppo veloce’? Le galassie ‘scappano’?
«Prima si riteneva che l’Universo dovesse raffreddarsi, lentamente e progressivamente. Questo sarebbe stato il suo epilogo. Ora non possiamo più affermarlo. Quanto alle galassie, se guardiamo il limite dell’Universo, notiamo un cambiamento nello spettro, continuamente confermato dalle osservazioni fatte dai satelliti che girano attorno alla Terra. Non possiamo affacciare previsioni senza gli strumenti fondamentali, cioè le leggi che scopriremo in questa o nella prossima generazione. Ma c’è un altro mistero ancora: nell’Universo la materia è distribuita in modo relativamente uniforme, i corpi celesti addensati sono pochissimi; e invece, secondo la teoria newtoniana, per via della reciproca attrazione dei corpi, l’addensamento della materia dovrebbe risultare molto maggiore».
Si affacciano ipotesi per spiegare questi enigmi?
«L’Universo è molto più vasto e veloce di quanto si pensasse; ma la spiegazione ancora non c’è. Le teorie abbondano e nessuna appare soddisfacente. Il fisico americano Alan Guth spiega la distribuzione uniforme della materia con una famosa immagine: l’universo, quando nasce, passa – in un miliardesimo di secondo – dalle dimensioni di un protone a quelle di un pompelmo, e dopo un minuto è già immenso. Poi il suo sviluppo si fa più regolare e questo giustificherebbe l’uniforme distribuzione della materia».
E l’espansione accelerata quale causa ha?
«Qui occorre un breve excursus. Il Big Bang viene intuito dal sacerdote e astronomo belga Georges Lemaitre e dal russo George Gamow. Segue la fase dell’’inflazione’ dell’universo, ipotizzata da Guth, che si produce proprio all’inizio del processo di espansione. Dopo una passeggera adesione all’idea di un universo stazionario, anche Albert Einstein sposa la teoria dell’universo in espansione. Poi Stephen Hawking introduce la cosmologia quantistica. Il tentativo di spiegare l’espansione accelerata è affidato soprattutto alla teoria delle ‘bolle’ e del multiverso.
Oggi alcuni pensano che esistano molti universi o’ bolle’, e una di queste ‘bolle’ sarebbe il nostro Universo. I vari universi si troverebbero l’uno accanto all’altro, ma non potrebbero comunicare fra loro e sarebbero governati da leggi fisiche diverse».
È una vigilia di svolte della conoscenza, come quelle avvenute quattro secoli fa?
«Fioriscono teorie attraenti e piene di fantasia, che matematici di grandissimo valore stanno studiando, ma che non vengono dimostrate. Questo è un momento di grande impegno per la cosmologia. Cominciamo a domandarci se le leggi scoperte dal Seicento in poi valgano per tutto l’Universo o soltanto per il nostro sistema solare. È una fase di passaggio molto affascinante, se vogliamo. Appassionante soprattutto per i credenti: come diceva Galileo, leggere il libro della natura è come entrare nel disegno del Creatore». La storia dell’Universo offre conferme a chi crede che la vita e l’uomo erano attesi?
«Due miliardi di anni dopo il Big Bang, cioè dodici miliardi di anni fa, nell’Universo erano presenti solo due elementi: l’idrogeno e un po’ di elio.
Troppo poco per noi che, per esistere, abbiamo bisogno di carbonio e di ossigeno. Ma la materia, che era partita da un minuscolo punto, si è condensata nelle stelle. Questi reattori nucleari a fusione intrappolano, nella loro massa incandescente, l’idrogeno e l’elio. Poi le stelle – per l’addensamento – fondono ed esplodono, scagliando nel cosmo i nuovi elementi, necessari alla vita: dal carbonio al fosforo, tutto ciò che entra nei composti organici».
La vita è figlia delle stelle, ma questo basta per riconoscere una finalità nell’Universo?
«Il fatto straordinario è che l’Universo obbedisce a quattro costanti fisiche, il cui valore viene accertato in modo sperimentale. Nessuno sa se, e come, sono collegate fra di loro: la carica dell’elettrone, il parametro della gravitazione universale, la massa del protone e la costante di Planck. Non esiste alcuna teoria fisica che autorizza a metterle insieme. Ma, senza di loro, si azzererebbe tutto».
Da quando è stato rilanciato un ponte tra scienza, filosofia e teologia, i rapporti reciproci sono migliorati?
Com’è possibile far avanzare il dialogo?
«La scienza non può ignorare la dimensione spirituale del mondo e dell’uomo. E, d’altro canto, i credenti hanno il dovere di studiare la scienza.
All’Istituto Veneto di scienze, lettere e arti, prestigiosa sede di discussione e sapere, ho organizzato per il triennio 2008-2010 una scuola estiva internazionale: chiamerò i maggiori scienziati del mondo. E anche parlare di Galileo è attualissimo. Il suo caso può insegnarci a prevenire le incomprensioni».
Non si riprodurranno le spaccature che, specie nell’Ottocento, erano diventate incolmabili?
«Allora il caso fu in buona parte strumentalizzato, per fini politici. Oggi sappiamo molte più cose sull’epoca di Galileo e su ciò che avvenne. Da una parte c’era una scienza la quale riteneva che la realtà dovesse rispecchiare un’interpretazione letterale delle Scritture. Dall’altra c’era Galileo, il quale intuiva e dimostrava che il sistema tolemaico non poteva funzionare; ma non era ancora in grado di dimostrare che la Terra gira attorno al Sole. Quando papa Urbano VIII gli chiede: ‘La Terra, se gira attorno al Sole, come fa a non perdersi la Luna, che le rimane sempre agganciata?’, Galileo (il quale ignorava la gravitazione universale) risponde soltanto: ‘La Luna è legata ’naturalmente’ alla Terra’. Ma non dice come, non dice altro. La spiegazione scientifica del sistema eliocentrico la fornirà Isaac Newton».
Ma Copernico non aveva descritto il sistema eliocentrico già nel 1543?
«La teoria copernicana era incompleta: ignorava che il moto della Terra è ellittico e non circolare. L’aveva capito l’astronomo tedesco Giovanni Keplero.
Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei, ne informò con una lettera Galileo, ma lo scienziato non dette importanza alla cosa».
Tra i suoi contemporanei, nessuno aveva trovato elementi per corroborare la teoria eliocentrica, che era quella giusta?
«L’astronomo danese Tycho Brahe aveva avanzato una teoria poi seguita dalla stragrande maggioranza degli astronomi tra Galileo e Newton. Rappresentava un compromesso. Descriveva un sistema cosmico in parte eliocentrico, in parte geocentrico. Ecco cosa sosteneva Brahe: ‘Tutti i corpi celesti girano attorno al Sole, tranne la Terra e la Luna. Il Sole però – aggiungeva – portando con sé Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, gira attorno alla Terra’. È strano che Galileo non abbia preso in seria considerazione l’alternativa offerta da Brahe, che allora era abbastanza indovinata».
E perché la teoria di Brahe è stata per lungo tempo accettata? Era piuttosto macchinosa.
«Poiché nel sistema di Brahe la Terra non gira attorno al Sole (che però diventa il centro del sistema), non è più necessario spiegare perché non perde la Luna. E nessuno fece opposizione, finché non s’impose definitivamente la teoria galileiana. Ma non si può scrivere la storia della scienza con il senno di poi».Sulla cattedra di Galileo
La Cattedra Galileiana dell’Università di Padova si collega a Galileo perché in quell’ateneo lo scienziato insegnò diciotto anni a partire dal 1592 (e definì quel periodo «i più begli anni della mia vita»).
Quattrocento anni dopo, nel 1992, l’allora ministro della Ricerca scientifica, Antonio Ruberti, istituì la Cattedra, per onorare Galileo e tramandare il ricordo del suo insegnamento nell’ateneo padovano. Nel 2003 ad occupare la Cattedra Galileiana di Storia della Scienza è stato chiamato, per chiara fama, il professor William Shea (nella foto). Canadese, Shea – dopo esser stato fellow a Harvard – ha insegnato all’Università di Ottawa e alla Mc Gill University di Montreal, per poi dirigere l’Istituto di Storia della Scienza all’Università di Strasburgo. È stato Directeur d’études all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi.
È autore, co-autore o curatore di 30 libri e più di 150 articoli scientifici, tradotti in dieci lingue. Tra i libri più recenti Galileo in Rome, Galileo Observed e Designing Experiments & Games of Chance. The Unconventional Science of Blaise Pascal, che ha vinto il premio dell’American Library Association come uno dei migliori libri del 2003.