DANTE ATTRAE. Attrae perchè è un genio, ed il genio attrae, mette in movimento e stupisce perchè va oltre quel che si sa, chiarisce quel che è oscuro, apre quel che è serrato. Giovedì sera a Bologna, nell’aula magna di Santa Lucia c’erano 800 persone, alle nove di sera per lui. Meglio, per un poeta, Davide Rondoni, e un astrofisico che raccontavano di lui, delle sue terzine, del suo Paradiso. Un astrofisico, Marco Bersanelli (nella foto), capace di citare Dante a memoria mentre squaderna le immagini dell’universo, delle galassie, del sistema solare. Bersanelli ci racconta che fin da ragazzino ha sempre tirato su il naso per guardare il cielo. Si è laureato in fisica alla Statale di Milano nel 1986 ed è andato a specializzarsi al Lawrence Berkeley Laboratory nel gruppo di astrofisica di George Smoot, il premio Nobel per la fisica 2006. Studioso del fondo cosmico, di quella radiazione che ancora continua ad arrivare dal big bang, componente di due spedizioni al Polo Sud, giovedì sera per Bolognarifa scuola, ha parlato per un’ora di Dante, parlando di rifrazione della luce, di brillantezza dei corpi luminosi, di fondo cosmico, struttura dell’universo, di geometrie non euclidee, di teoria della relatività. Tutto documentato da parole che diventavano scrigni di dati che aiutavano a capire la natura dei fenomen fisici.
«Dante è un poeta medievale, non uno scienziato moderno», ci ha detto Bersanelli, «ma nella sua poesia troviamo spunti sorprendenti di attenzione ai fenomeni naturali, tipici della razionalità scientifica».
Da cosa nasce il suo amore per le stelle?
«Fin da giovanissimo ho avvertito il fascino per il cielo, per l’immensamente grande. Un fascino che non mi ha mai lasciato. C’è una bellezza e al tempo stesso una sfida nel guardare l’universo e nel prendere coscienza che ne siamo parte».
Da cosa nasce il suo amore per Dante?
«Ho ‘incontrato’ Dante al liceo, inizialmente con il pregiudizio di tutti. Ma presto mi ha conquistato: per lui tutto ha un posto, un senso. Guardare la realtà come la guarda Dante vuol dire scoprire che la realtà è positiva».
Nel corso del dialogo ha fatto vedere come dentro una terzina del Purgatorio si spiegava il fenomeno della riflessione della luce… «Sì, nel quindicesimo canto del Purgatorio Dante si lancia in una descrizione rigorosa di quella che oggi è nota come la prima legge di Snell: il raggio incidente e il raggio riflesso formano lo stesso angolo rispetto alla normale».
Sono tanti i punti della Divina Commedia in cui ci sono passaggi di questo tipo?
«Moltissimi. Nel venticinquesimo del Purgatorio ad esempio Dante descrive l’arcobaleno: non si limita ad esaltare l’apparenza variopinta del meraviglioso arco di luce («l’aere … di diversi color diventa addorno»), ma si sofferma a spiegare in sintesi l’origine fisica del fenomeno («quando (l’aere) è ben piorno, per l’altrui raggio che ‘n sé si reflette») identificandola con la riflessione della luce solare nell’aria umida. La Commedia è piena di osservazioni acutissime sul fenomeno dela luce. Per non parlare del movimento. È stato fatto notare che nel XVII dell’Inferno la descrizione del volo in groppa al mostro alato Gerione sembra anticipare di tre secoli il principio di relatività galileiano».
In che senso si può affermare che la forma dell’universo dantesco anticipa le più recenti scoperte dell’astronomia contemporanea?
«La geometria delle sfere del Paradiso dantesco cela un segreto. Se seguiamo alla lettera quello che Dante dice soprattutto nei canti XXVII e XXVIII, appare contradittoria. Cosa davvero strana per uno come lui. A meno che si consideri uno spazio curvo anziché euclideo. Questo fu notato per la prima volta dal matematico tedesco Speiser nel 1925, poi più di recente dai fisici Mark Peterson e Roman Patapievici, e dal matematico Robert Osserman (che ha scritto il bel libro Poetry of the universe). Ne emerge una ipotesi affascinante: Dante, pur senza l’ausilio della matematica, avrebbe intuito una geometria non euclidea, nella quale colui che move il sole e l’altre stelle è il centro dell’universo e al tempo stesso abbraccia tutto il cosmo».
Qual è il segreto della visione del cosmo di Dante?
«Credo che l’ardita e geniale immaginazione geometrica di Dante, ma anche la sua capacità di valorizzare l’osservazione, la logica, l’esperimento, vengano dal percepire la realtà (l’universo nel suo in- sieme e ogni particolare, la storia umana e ogni fenomeno naturale) come piena di senso. Ogni cosa merita di essere considerata perché è segno del creatore. E questo non arriva come un freddo teorema o come una legge, ma grazie a una donna, grazie allo sguardo amoroso di Beatrice».
«Dante è un poeta medievale, non uno scienziato moderno», ci ha detto Bersanelli, «ma nella sua poesia troviamo spunti sorprendenti di attenzione ai fenomeni naturali, tipici della razionalità scientifica».
Da cosa nasce il suo amore per le stelle?
«Fin da giovanissimo ho avvertito il fascino per il cielo, per l’immensamente grande. Un fascino che non mi ha mai lasciato. C’è una bellezza e al tempo stesso una sfida nel guardare l’universo e nel prendere coscienza che ne siamo parte».
Da cosa nasce il suo amore per Dante?
«Ho ‘incontrato’ Dante al liceo, inizialmente con il pregiudizio di tutti. Ma presto mi ha conquistato: per lui tutto ha un posto, un senso. Guardare la realtà come la guarda Dante vuol dire scoprire che la realtà è positiva».
Nel corso del dialogo ha fatto vedere come dentro una terzina del Purgatorio si spiegava il fenomeno della riflessione della luce… «Sì, nel quindicesimo canto del Purgatorio Dante si lancia in una descrizione rigorosa di quella che oggi è nota come la prima legge di Snell: il raggio incidente e il raggio riflesso formano lo stesso angolo rispetto alla normale».
Sono tanti i punti della Divina Commedia in cui ci sono passaggi di questo tipo?
«Moltissimi. Nel venticinquesimo del Purgatorio ad esempio Dante descrive l’arcobaleno: non si limita ad esaltare l’apparenza variopinta del meraviglioso arco di luce («l’aere … di diversi color diventa addorno»), ma si sofferma a spiegare in sintesi l’origine fisica del fenomeno («quando (l’aere) è ben piorno, per l’altrui raggio che ‘n sé si reflette») identificandola con la riflessione della luce solare nell’aria umida. La Commedia è piena di osservazioni acutissime sul fenomeno dela luce. Per non parlare del movimento. È stato fatto notare che nel XVII dell’Inferno la descrizione del volo in groppa al mostro alato Gerione sembra anticipare di tre secoli il principio di relatività galileiano».
In che senso si può affermare che la forma dell’universo dantesco anticipa le più recenti scoperte dell’astronomia contemporanea?
«La geometria delle sfere del Paradiso dantesco cela un segreto. Se seguiamo alla lettera quello che Dante dice soprattutto nei canti XXVII e XXVIII, appare contradittoria. Cosa davvero strana per uno come lui. A meno che si consideri uno spazio curvo anziché euclideo. Questo fu notato per la prima volta dal matematico tedesco Speiser nel 1925, poi più di recente dai fisici Mark Peterson e Roman Patapievici, e dal matematico Robert Osserman (che ha scritto il bel libro Poetry of the universe). Ne emerge una ipotesi affascinante: Dante, pur senza l’ausilio della matematica, avrebbe intuito una geometria non euclidea, nella quale colui che move il sole e l’altre stelle è il centro dell’universo e al tempo stesso abbraccia tutto il cosmo».
Qual è il segreto della visione del cosmo di Dante?
«Credo che l’ardita e geniale immaginazione geometrica di Dante, ma anche la sua capacità di valorizzare l’osservazione, la logica, l’esperimento, vengano dal percepire la realtà (l’universo nel suo in- sieme e ogni particolare, la storia umana e ogni fenomeno naturale) come piena di senso. Ogni cosa merita di essere considerata perché è segno del creatore. E questo non arriva come un freddo teorema o come una legge, ma grazie a una donna, grazie allo sguardo amoroso di Beatrice».