Nelle pieghe del tempo

Benedetta CappelliniArticoli

Riproponiamo il testo dell’incontro Nelle pieghe del tempo tenutosi al Meeting di Rimini il 23 agosto 2007.
Marco Bersanelli “In qualche strano modo, qualsiasi fatto scoprii o qualsiasi percezione nuova ebbi non mi parve mai una mia scoperta, bensì piuttosto qualcosa che esisteva da sempre e in cui ebbi solo la fortuna di imbattermi”. Così si esprimeva l’astrofisico indiano Chandrasekhar, premio nobel per la fisica nel 1983.
La verità non è una produzione del nostro pensiero, neanche del pensiero più intelligente, ma è qualcosa di altro da noi, è sempre qualcosa in cui ci si imbatte. Questo imbattersi nel vero mi pare sia un elemento fondamentale in ogni tipo di conoscenza, in ogni aspetto del nostro rapporto con la realtà. Certamente questo è il modo normale in cui avviene la conoscenza scientifica che procede di scoperta in scoperta, imbattendosi sempre in profondità diverse del mondo fisico che ci circonda, aprendoci nuovi orizzonti sull’universo e facendo nascere sempre nuove domande.
L’incontro di oggi mette al centro proprio il racconto di una grande scoperta, quella che è stata salutata come la più grande scoperta del secolo se non di tutti i tempi: la prima immagine della luce fossile, che ci mostra l’universo nei suoi primi momenti di esistenza, 14 miliardi di anni fa.
A raccontarci questa storia è il suo principale protagonista che per questa scoperta ha ricevuto quest’anno il premio nobel per la fisica, George Smoot.
George Smoot ha svolto tutto il suo percorso universitario presso MIT, dove ha avuto il PhD nel 1970 in fisica e in quegli anni la sua ricerca era principalmente centrata sullo studio delle particelle elementari, le particelle subatomiche. Successivamente George è passato allo studio della cosmologia, quindi dell’universo nel suo insieme: in quegli anni non molti scienziati si dedicavano alla cosmologia che non era molto presa sul serio. Questo passaggio dallo studio del mondo microscopico a quello macroscopico dell’universo è stato per lui qualcosa di naturale come lui ricorda nel suo bel libro Wrinkles in Time: “Queste due discipline, lo studio dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande, esprimevano entrambe il mio bisogno di cercare qualcosa di fondamentale nella natura”. Dal 1970 lavora presso il Lawrence Berkeley Laboratory ed è professore di fisica all’University of California a Berkeley. Per oltre 35 anni si è dedicato con genialità e perseveranza allo studio di questa luce fossile, del fondo cosmico di microonde di cui oggi ci parlerà. Ha progettato e condotto numerosi esperimenti da terra, da pallone, da aerei ad alta quota e poi dallo spazio.
 Nel 1977 ha fatto una scoperta molto importante che riguarda il dipolo del fondo cosmico e poi dal 1980 al 1992 ha guidato una collaborazione italo-americana che si è occupata di studiare altre caratteristiche del fondo cosmico con spedizioni a White Mountain in California e al polo sud in Antartide.
Dalla metà degli anni 70 ha lavorato in parallelo ad una proposta alla NASA a una missione spaziale per realizzare un satellite per fare misure sempre più precise di questa luce fossile. Dopo ben 15 anni dall’inizio di queste sue iniziali idee fu lanciato il satellite COBE, Cosmic Background Explorer.
Il 23 aprile del 1992 a una riunione della American Physics Society a Washington, George ha dato al mondo la notizia di questa grande scoperta di cui oggi ci parlerà. Da allora sono passati altri 15 anni e questi anni non hanno fatto altro che chiarire l’importanza di quella scoperta perché da essa sono nate tante nuove domande e tanti nuovi esperimenti di cui, il più ambizioso, è la missione spaziale Planck dell’ESA, il cui lancio è previsto entro il 2008 e nella quale George è coinvolto.
È autore di oltre 200 articoli scientifici e del libro Wrinkles in Time, che è tradotto anche in italiano con il titolo Nelle Pieghe del Tempo (Mondadori).
Per me è veramente un piacere unico, particolare, presentare a voi amici del Meeting George, perché io ho avuto la fortuna di collaborare ininterrottamente con lui per molti anni, dalle misure che abbiamo fatto in Antartide fino ad oggi nella missione Planck. George è stato ed è per me un maestro, per la profondità della sua visione scientifica, per l’entusiasmo nella ricerca che è sensibilità alla verità – un entusiasmo che ha saputo alimentare anche in me – e perché ha saputo rischiare su di me come su tanti altri che hanno lavorato con lui e di questo io ne sono infinitamente grato.
Abbiamo chiesto a George di raccontarci questa avventura di questa scoperta, di che si tratta, di come è accaduto e quali nuove strade ha aperto alla nostra visione dell’universo.
George Smoot: Il mio intervento riguarda le scoperte nelle pieghe del tempo utilizzando proprio la prima luce e con questo intendiamo veramente la prima luce apparsa nell’universo.
[…]
Giovedì, 23 agosto 2007, ore 17.00, Auditorium D5
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