Alle fonti dell’energia

Benedetta CappelliniArticoli

Riproponiamo la presentazione della mostra ‘Alle fonti dell’energia’ presentata al Meeting di Rimini il 23 agosto 2004.
Relatori:
Marco Bersanelli, Docente di Astrofisica all’Università degli Studi di Milano
Carlo Sozzi Ricercatore presso il CNR
Giovanni Zambon
, Ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca
Moderatore:
Elio Sindoni, Professore Ordinario di Fisica all’Università degli Studi di Milano Bicocca.

Elio Sindoni: Grazie di essere intervenuti alla presentazione della mostra: “Alle fonti dell’energia. Dalla natura risorse per il cammino dell’uomo”. Abbiamo il piacere di avere con noi il professor Marco Bersanelli, professore di Astrofisica presso l’Università degli Studi di Milano, il dottor Carlo Sozzi, ricercatore degli Istituti di Fisica del Plasma del CNR, il dottor Giovanni Zambon, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università di Milano Bicocca. La parola al professor Bersanelli.

Marco Bersanelli: Il 26 giugno dell’anno scorso, ce lo ricordiamo un po’ tutti, c’è stato un blackout nel nostro paese che ha paralizzato mezza Italia e, soltanto un paio di mesi dopo, a metà agosto, un altro blackout ha lasciato al buio milioni di americani nel nord-est degli Stati Uniti. Questi sono fatti che sicuramente in un modo o nell’altro hanno toccato la nostra esperienza e hanno certamente attirato l’attenzione pubblica di tutti quanti, e anche nostra su questo tema dell’energia. E non è l’unico spunto da cui è nata l’idea poi di fare questa mostra che presentiamo questo anno. Si sono fatte le analisi delle cause di questi blackout e se ne sono anche capite abbastanza bene le cause che non sono dovute a un singolo aspetto, ma sono, come spesso succede, la concorrenza di una serie di fattori. Ma, in ogni caso, è stato messo in evidenza, in questi episodi, da una parte la grande dipendenza che la nostra vita normale ha dall’uso dell’energia, dalla disponibilità quotidiana e continua di energia, e dall’altra un sentimento di fragilità, scoprire una possibile fragilità di un sistema su cui siamo abituati ad avere confidenza. Quando accendiamo il microfono per parlare o l’interruttore della luce o accendiamo il motore della macchina diamo per ovvio che che lo strumento che stiamo mettendo in moto obbedisca secondo la nostra aspettativa. In realtà tutti questi gesti che richiedono energia (che noi diamo per scontati e che sono diventati indispensabili per la nostra vita se non per la nostra sopravvivenza), hanno dietro una storia, hanno dietro uno sforzo tecnologico, di conoscenza. E ancora più alla radice hanno dietro certe sorprendenti e provvidenziali condizioni della natura che ci permettono di usare della realtà in questo modo, e senza le quali non ci sarebbero né lampadine, né microfoni, né automobili, né tutta una serie di altri strumenti che noi siamo abituati ad usare. Quindi il tema della mostra è, appunto, il tema dell’energia che è una grande attualità. Il tema dell’energia tocca simultaneamente diversi aspetti che è bene non trascurare e non confondere tra di loro: c’è un aspetto economico, politico, sociale, tecnologico, ambientale e c’è un aspetto più propriamente scientifico e naturale che è il punto di vista che principalmente questa mostra mette in evidenza. Quindi l’accento di questa mostra è sul fenomeno dell’energia dal punto di vista naturale: di che cosa si tratta e che cosa rende possibile in natura l’uso dell’energia. Ed è interessante rendersi conto che tutto ciò che noi vediamo, sentiamo e tocchiamo, in un certo senso è energia. Il movimento dei corpi, ma la luce o le onde sonore o il calore che speriamo non ci faccia fare troppa fatica quest’oggi. Sono tutti fenomeni che veicolano energia, ma anche la massa stessa dei corpi che noi possiamo toccare e manipolare secondo la celebre equazione di Einstein è una forma di energia. E grazie al progresso della scienza abbiamo imparato molto sulle leggi fisiche che regolano il comportamento dell’energia nelle situazioni più diverse, dalle situazioni terrestri e non, situazioni microscopiche, e quindi diciamo il volto dell’energia così come la meccanica quantistica lo descrive, piuttosto che a livello macroscopico dove la teoria generale della relatività sicuramente ha la predominanza. E abbiamo anche accumulato molte conoscenze sulle tecnologie che sono legate all’uso dell’energia come risorsa usufruibile. Paradossalmente in questo progresso quello che resta in fondo misterioso, e in un certo senso lo è ancora di più grazie a questo progresso, è proprio la natura ultima di questo oggetto fondamentale per la nostra vita che è l’energia, proprio dal punto di fisico: una realtà che sfugge e affascina. Quindi l’idea della mostra è in questi termini: sorprendere da una parte la bellezza e la ricchezza della realtà naturale, della realtà creata che rende possibile l’esistenza di varie fonti di energia come un dato della nostra esperienza, e insieme a questo l’audacia dell’ingegno umano che si accorge e accoglie questo dono della natura e cerca di usarlo per uno scopo costruttivo a servizio di un bene comune, di uno sviluppo. Io adesso vorrei solamente brevemente accennare ad alcune delle idee che attraversano questo tentativo che è la mostra di questo anno.
Anzitutto l’energia non è solo qualcosa che noi usiamo per migliorare la nostra condizione di vita, ma è essenziale per la nostra stessa esistenza fisica, biologica. La nostra possibilità di esistere come esseri viventi, quindi appoggiati su una biologia, dipende da un bilancio energetico delicato, fragile e straordinario che esiste in natura. Gli organismi biologici utilizzano dei legami chimici molto delicati che vanno facilmente distrutti se sono esposti a un ambiente con livelli di energia troppo alti o anche troppo bassi rispetto a quello che noi troviamo nel nostro ambiente. Ed è proprio grazie alla stabilità straordinaria delle condizioni energetiche del nostro pianeta che la vita sul nostro pianeta è possibile e l’evoluzione, durata tre milioni e mezzo di anni, sul nostra pianeta è stata possibile. Si tratta della stabilità del flusso che noi riceviamo dal sole da una parte e dall’interno della terra dall’altra, perché ultimamente sono queste due le fonti fondamentali di energia che ci tocca (a parte, l’energia atomica che noi sfruttiamo in quanto immagazzinata in epoche, in una storia che è precedente alla formazione del nostro sistema solare, come poi Carlo Sozzi esemplificherà). Quindi questo ambiente consente con la stabilità del flusso di energia l’evoluzione della vita, ma allo stesso tempo questa stabilità ha permesso l’evoluzione biologica, ma ha consentito anche di immagazzinare dei tesori nascosti di energia in diverse forme che l’uomo ha via via scoperto e utilizzato nel corso della sua storia. Quindi la natura ha accompagnato il cammino dell’uomo e il suo sviluppo e appunto la mostra traccia per grandi linee questa storia fin dal primo momento cruciale, proprio per il passaggio che ha significato, dell’uso controllato del fuoco nella preistoria. Da allora la natura si è sempre dimostrata predisposta, generosamente predisposta ad accompagnare lo sviluppo umano con nuove risorse energetiche, capaci di sostenere il suo crescente bisogno di conoscenza e di uso della realtà fisica, quindi di tecnologia. E questo non è per nulla ovvio, non è per niente scontato che noi siamo gratificati con una natura che ci risponde a questo livello, che esistano opportunità di energia a diversi livelli adeguati per lo sviluppo dell’uomo e per la nostra esistenza. La mostra attraversa un po’ tutte queste facce che l’energia assume nel nostro ambiente: dai combustibili fossili all’energia eolica, solare, idroelettrica, nucleare e così via. Quindi la mostra tenta di scavare nella dinamica naturale che rende usufruibile queste fonti energetiche facendoci rendere conto che ognuna è il risultato di una storia di un ordine delicato, che ha radici profonde nell’origine delle proprietà globali dell’universo, quindi delle leggi stesse della fisica che regolano l’ordine della natura e le proprietà particolari del nostro ambiente terrestre. Pensiamo solamente all’esistenza del petrolio che è possibile grazie ai fossili degli organismi antichi, organismi viventi e in combinazione alle proprietà geologiche del nostro pianeta. C’è davvero una sottigliezza ammirevole che sostiene questa ricchezza di possibilità di energia. Devo dire che vogliamo proprio sottolineare questo, perché è una percezione normalmente poco apprezzata del problema. Si parla sempre di energia, poco ci si rende conto del dato gratuito che è questa forma della realtà fisica, perché siamo sempre meno capaci di una attenzione vera alla realtà e quindi di una meraviglia, di uno stupore di fronte al reale. Lo stupore e la meraviglia rinascono ogni volta che si guarda un fenomeno in modo sufficientemente profondo.
La mostra tocca anche l’altro grande versante del rapporto umano con questa grande risorsa e il problema è questo: che non è possibile produrre, usare energia senza modificare l’ambiente, senza lasciare un segno nell’ambiente, nessun intervento umano sulla natura è senza conseguenze. Persino l’orma lasciata dal piede dell’uomo preistorico lascia in qualche modo un segno nell’ambiente, così detto, naturale. Ogni impiego di energia comporta, poco o tanto, una trasformazione e un degrado nell’ambiente circostante che, almeno in parte, è irreversibile. E d’altra parte è chiaro che l’uomo non può sostenersi senza usare della realtà, senza usare anche, quindi, dell’energia. Vorrei sottolineare come viene mostrato in questo lavoro che anche le così dette energie pulite o rinnovabili producono impatti non trascurabili sull’ambiente. Per esempio l’energia solare o eolica, che sono le energie pulite per eccellenza, se noi pretendessimo di usarle in modo da coprire il fabbisogno reale di energia che abbiamo oggi, avremmo un impatto tutt’altro che trascurabile e probabilmente anche devastante, anche peggiore di altri tipi di energia di cui possiamo usufruire. E, d’altra parte, il nostro pianeta è relativamente piccolo e fragile e gli effetti dell’utilizzo dell’energia riguardano il livello planetario, il livello globale. Si pone quindi un problema di responsabilità e in questo occorre essere prudenti e realisti. E la prudenza, meglio ancora il realismo, implica il considerare tutti gli aspetti del problema senza esasperare o trascurare nessuno di essi. È chiaro che noi non è che proponiamo delle soluzioni ovvie, facili, che non esistono (sarebbe ovviamente sintomo di superficialità), ma certo è del tutto insoddisfacente la posizione di chi pretende di vedere l’uomo come un estraneo nella natura, come un intruso nell’universo e nel nostro pianeta, quasi una presenza negativa, perché questa posizione non tiene conto di ciò che l’uomo è, cioè della natura misteriosa, vertiginosa che la presenza dell’uomo rappresenta nel cosmo. Si tratta quindi di una riduzione moralistica e astratta; l’essere umano non è un intruso nella natura, al contrario è il soggetto che dà il nome alle cose, alle cose create, è l’essere desideroso e capace di conoscere e di manipolare la realtà creata fino a trasformare la circostanza naturale in una risorsa che diventa utile per la propria esistenza. E vorrei citare una frase di Giovanni Paolo II quando dice che: “Il creato è affidato all’uomo, perché coltivandolo e custodendolo provveda alle sue necessità e si procuri il pane quotidiano. Occorre imparare a contemplare il creato con occhi limpidi e pieni di stupore”. Oppure un’altra osservazione di Luigi Giussani quando dice: “La grandezza dell’uomo dipende dal fatto che ogni singola persona è rapporto con l’infinito – altro che estraneo nell’universo – e per vivere ciò che l’uomo è, per realizzare se stesso l’uomo deve prendere in mano lui tutto quello che Dio ha fatto.” Quindi l’uomo è protagonista sulla scena della natura; l’uomo dipende profondamente dalla natura e dalle sue risorse per la propria esistenza, per il proprio sviluppo. Nello stesso tempo ha un potere su di esse, sia pure limitato: è un dato di fatto che l’uomo si trova tra le mani risorse anche potenti, che non ha fatto lui e che con il suo ingegno può usare in funzione di uno scopo. E quindi questo ingegno ha bisogno di due cose: primo, di questa consapevolezza che la risorsa naturale non l’abbiamo fatta noi, è un dono e questo è qualcosa che la ragione, non il sentimento, la ragione deve riconoscere; e in secondo luogo che la coscienza dello scopo, cioè del bene comune a cui tendiamo è qualcosa non di astratto, ma che obbedisce proprio alla natura del cuore dell’uomo. E l’esperienza cristiana e la tradizione di giudizio che nasce da questa esperienza ci mostra come una concezione della natura come creazione, come dato, come dono inestimabile da una parte, e una esperienza del bene comune, del bene umano riescono a dare all’intervento dell’uomo sulla realtà una chance di realismo, di prudenza e di protagonismo.
In un certo punto della mostra, per chi la visiterà, c’è un passaggio in cui ci siamo sorpresi a considerare un accostamento un po’diciamo improvviso tra la nostra sensibilità di uomini moderni, che guardano alle risorse, il sole, l’acqua, il vento, alle risorse della natura come possibilità, appunto, di uso per uno sviluppo, e la percezione della natura di Francesco d’Assisi quando scrive il cantico delle creature. E certamente la nostra mentalità di uomini moderni è distante da quell’impeto grande e semplice con cui Francesco abbraccia la natura e tutte le sue forme, le sue risorse, riconoscendo di slancio in esse il segno del Creatore. D’altra parte, questa nostra mentalità è distante da quella di Francesco, ma il suo punto di vista non è incomprensibile, perché profondamente razionale. Infatti, razionalmente, non possiamo sfuggire all’evidenza che la nature e tutte le sue manifestazioni, come le fonti di energia, sgorgano da un terreno che ultimamente è misterioso e insondabile, oggi come mille anni fa, nei confronti del quale noi, uomini moderni, siamo mossi da meraviglia e da gratitudine. E, forse, se guardiamo la realtà senza preconcetti sono proprio le maggiori conoscenze che la scienza moderna porta a galla che ci offrono una opportunità di approfondire e di aumentare questa percezione di meraviglia e di gratitudine. Grazie.

Carlo Sozzi: È davvero sorprendente che la terra sostenga lo sviluppo biologico, dell’uomo e di altri esseri che vivono su di essa, ma anche lo sviluppo non biologico o post biologico. Ma che cosa è una fonte di energia? Nella loro grande diversità i processi fisici o chimici che consentono di estrarre energia utilizzabile dalla materia hanno alcune caratteristiche in comune. Prendiamo un esempio quotidiano, che era quotidiano fino a qualche decennio fa, come accendere il fuoco: occorre la legna, innanzi tutto, occorre un fiammifero e occorre, probabilmente, un soffietto o qualcosa per dare aria al fuoco. In questi tre elementi possiamo schematizzare tre fattori fondamentali: innanzitutto deve esistere un meccanismo sufficientemente stabile di immagazzinamento dell’energia che è la legna nel caso del fuoco, che si trova tipicamente nel legame chimico della materia, del materiale o nel legame nucleare; deve poi esistere un metodo di attivazione del processo che libera energia, quindi deve esistere un fiammifero per accendere il fuoco, e deve esistere poi un metodo che consenta di governare la velocità del processo, quindi dare aria al fuoco per aumentare la fiamma o, eventualmente, per diminuirla. Senza questi tre fattori che permettono il controllo della reazione energetica sarebbe di fatto impossibile far volare gli aerei, forgiare i metalli o, semplicemente appunto, accendere il fuoco nel caminetto. Per queste ragioni i metodi di generazione di energia che utilizzano qualche tipo di combustibile sono pregiati e sono tanto diffusi: circa il 90% della produzione energetica mondiale utilizza i combustibili fossili per la maggior parte, e in una misura molto inferiore i combustibili nucleari. Accanto a questi metodi che utilizzano combustibili, ne esistono altri nei quali i margini di controllo sono estremamente ridotti e che, tuttavia, sono pregiati per un’altra ragione: perché hanno un impatto ambientale relativamente basso. In questo caso lo sforzo scientifico e tecnologico è diretto a catturare con sempre migliore efficienza parte dell’energia che viene naturalmente liberata in fenomeni naturali in corso, come l’irraggiamento solare diretto o il vento. Quindi una fonte di energia e un metodo per trasformare parte dell’energia presente nei combustibili è reperibile in natura o in fenomeni naturali in corso in una forma di energia direttamente utilizzabile.
Vedremo ora due esempi che sono trattati nella mostra. Il primo è quello della fissione nucleare. L’aspetto che qui ci interessa sottolineare riguarda soprattutto l’osservazione delle circostanze che rendono possibile l’esistenza di una fonte di energia e la sua nascita come tecnologia che si può utilizzare commercialmente. La più ovvia delle condizioni è che esista un combustibile, che il combustibile necessario sia disponibile. Così è strano nella fissione nucleare, che il combustibile di più facile utilizzo per ricavare energia dai nuclei atomici sia, alla fine, l’elemento naturale che è più raro nell’universo: l’uranio, che è circa mille miliardi di volte più raro dell’idrogeno. Di più, solo una piccola parte dell’uranio presente sulla terra, lo 0,7%, è composto dall’isotopo uranio 235 che è in grado di sostenere in modo relativamente semplice la catena di reazione e fissione nucleari, ma anche in questo caso la natura mostra circostanze sorprendenti che finiscono per favorire l’uomo nella sua ricerca di risorse naturali, di risorse energetiche. La formazione dell’uranio può avvenire solo durante l’esplosione di supernova, lo stadio terminale della vita delle stelle di grande massa, che sono anche la fucina nucleare di tutti gli elementi chimici, eccettuati quelli più leggeri. Ciò avviene, questa fucina funziona attraverso processi di fusione nucleare all’interno delle stelle di grande massa, dove le temperature molto elevate e la densità causata dalla attrazione gravitazionale costringe i nuclei atomici degli elementi leggeri a distanze così ravvicinate da permettere alla forza nucleare attrattiva di prevalere sulla forza elettrica repulsiva. L’energia con la quale sono legati i nuclei atomici dei vari elementi determina poi le caratteristiche del processo che è chiamato nucleo sintesi. Gli elementi di media massa sono più strettamente legati e quindi più stabili rispetto agli elementi leggeri e a quelli molto pesanti; ne consegue che i processi di fusione degli elementi leggeri sono fortemente esoenergetici, cioè producono energia quando avvengono. e questi infatti costituiscono la fonte di energia che alimenta le stelle. Nel corso della propria vita le stelle di grande massa bruciano nel proprio interno, nel proprio cuore, nel centro combustibili nucleari via via più pesanti ricavando ad ogni stadio energia e producendo ad ogni scoria, per così dire, elementi più pesanti dei combustibili di partenza. Questo processo continua fino a quando l’ultimo ciclo di reazioni produce elementi stabili, quali il ferro ad esempio, che non possono più essere utilizzabili come combustibili di fusione. Quando ciò accade nulla più contrasta l’attrazione gravitazionale e gli strati esterni della stella collassano sul centro provocando una esplosione di enorme violenza che è nota come supernova e che dissemina tutta la varietà di elementi chimici formatisi in questo processo nello spazio. Durante questa esplosione la grande disponibilità di materiale nucleare e di energia consente anche la formazione energicamente svantaggiosa degli elementi più pesanti come, appunto, l’uranio. L’abbondanza relativa degli elementi chimici dell’universo, che è così carica di conseguenze per la vita in generale e per quella intelligente in particolare, dipende direttamente da questa fenomenologia. Questo breve excursus stellare suggerisce anche come l’uomo possa ricavare energia dal nucleo secondo due differenti schemi: attraverso la fusione degli isotopi dell’idrogeno in modo simile a quanto avviene nelle stelle, o attraverso la frammentazione dei nuclei pesanti: la fissione. A parità di massa del combustibile l’energia che si ricava da questa reazione di tipo nucleare è molto maggiore di quella che può essere fornita dalle reazioni chimiche associate ai combustibili fossili tradizionali.
Vediamo ora come si possa rendere disponibile sulla terra questo combustibile così esotico come l’uranio. Dallo studio dell’abbondanza relativa sulla terra degli isotopi dell’uranio e dei suoi prodotti di decadimento si deduce che tale abbondanza non si può ricondurre ad un unico evento cioè ad un’unica esplosione supernova, ma devono essere state necessarie varie esplosioni distribuite nel tempo a partire da oltre sei miliardi di anni fa fino ad epoche più recenti. Si tratta di una circostanza rara ed imprevedibile. La percentuale locale di uranio è molto diseguale nel sistema solare. Lo studio del contenuto di uranio e di altri elementi radioattivi nella crosta terrestre dei meteoriti mostra che la terra al momento della sua formazione disponeva di una certa ricchezza di uranio rispetto alla media del sistema solare. Oggi si ritiene che il decadimento di materiale radioattivo nel nucleo terrestre sia uno dei fattori principali del motore geologico del nostro pianeta, e che ha contribuito in modo determinante a trasformarla in un luogo ospitale. Infatti il calore rilasciato dal decadimento radioattivo trasferito per convezione al mantello e poi alla crosta terrestre è la fonte di energia per l’attività della litosfera oceanica e delle placche continentali. A sua volta l’esistenza delle piante verdi responsabili del processo della fotosintesi ha arricchito l’atmosfera di ossigeno. La forma legata chimicamente con l’ossigeno dell’uranio è facilmente solubile e quindi trasportabile. In tal modo esso si inserisce nel ciclo dei materiali connessi con la vita organica. Quindi se la presenza di uranio (e degli altri elementi radioattivi) nel nucleo della terra primitiva ha contribuito alla nascita della vita, lo sviluppo della vita organica ha contribuito alla ridistribuzione dei materiali d’uranio, in modo da favorirne l’accumulo, nelle terre emerse; così l’elemento più raro dell’universo non è poi così raro dove qualcuno se ne può servire.
Uno sguardo al principio di funzionamento di un reattore a fissione mostra nuovamente che l’esistenza di una fonte di energia richiede il concorso di una molteplicità di fattori. La fissione innescata da un nucleo di uranio 235, che cattura un neutrone di bassa energia e di bassa velocità, viene da questa destabilizzato e si spezza in frammenti e in alcuni altri neutroni. La tecnologia nucleare è certamente molto più complicata e delicata insieme di quella che consente l’impiego di energia chimica; e tale maggior complicazione risiede proprio nella grande densità di energia in gioco nelle reazioni e nel limitato intervallo di valori dei parametri di funzionamento che è necessario rispettare, cioè nei meccanismi di controllo di queste reazioni e quindi anche nella prontezza con la quale è necessario intervenire per controllare la reazione. Il punto di maggiore criticità sta nel mantenere costante nel tempo all’interno del reattore il numero di neutroni lenti che appunto causano la fissione: se questa diminuisce allora la reazione a catena si estingue, mentre se aumenta in modo incontrollato si può arrivare alla fusione del nocciolo e quindi alla distruzione del reattore e ad un incidente. Le contromisure per prevenire entrambe queste situazioni devono essere messe in atto entro un tempo caratteristico per il quale il numero di neutroni può variare in modo apprezzabile. Per i neutroni prodotti direttamente dalla fissione dell’uranio 235 questo tempo varia da un decimo di secondo ad alcuni secondi, in dipendenza delle caratteristiche del reattore stesso. Questo tempo è pertanto troppo breve per consentire il controllo attivo dall’esterno. Il processo è reso possibile dalla presenza di neutroni all’interno del reattore chiamati neutroni “ritardati” e che sono una piccola percentuale di neutroni, lo 0.65%, che proviene non direttamente dalla fissione dell’uranio ma dal decadimento radioattivo di parte dei prodotti di fissione, e che vanno a loro volta ad incrementare la popolazione neutronica complessiva all’interno del reattore. Questo tempo con cui vengono emessi questi neutroni ritardati è molto più lungo di quelli emessi direttamente dal processo di fissione, e il controllo del reattore può perciò venire effettuato mantenendo la relazione in deficit rispetto al numero dei neutroni di fissione, ma esattamente in bilancio includendo questa frazione ritardata della popolazione neutronica. Quindi è un dettaglio apparentemente marginale della fisica nucleare che consente di poter estrarre energia in modo sicuro – diciamolo pure – da una reazione nucleare.
Vediamo ora – se volete un esempio opposto- se l’energia nucleare è da un certo punto di vista al vertice della tecnologia. L’energia del vento apparentemente sembra una cosa del tutto naturale ed innocua. Ma anche in un fenomeno apparentemente semplice e naturale come il soffiar del vento si cela comunque una complessità di fattori. Che cosa determina il soffiare del vento? La fonte di energia primaria è naturalmente il sole, o meglio quel 2% circa di energia solare che investe la terra e che un complesso di fenomeni trasforma in energia cinetica dell’aria e delle molecole del gas che compongono l’atmosfera. Quali sono gli ingredienti di queste trasformazioni? Tra i principali vi è la variazione di pressione atmosferica provocata proprio dal differente riscaldamento di zone diverse del nostro pianeta: ciò accade sia su scala locale che su scala continentale, sia con cadenza giornaliera che con cadenza stagionale. È noto a tutti ad esempio il fenomeno che accade lungo le coste marine: il sole scalda il suolo e l’aria sopra di esso più velocemente di quanto non faccia con l’acqua a causa della più elevata capacità termica di quest’ultima (cioè della più elevata capacità di trattenere calore). Quindi l’aria che si scalda sopra la terra tende a salire e viene rimpiazzata dall’aria fresca e densa che proviene dal mare. Il fenomeno si ripete al contrario al tramonto del sole. Anche il moto di rotazione terrestre gioca un ruolo molto importante causando una componente della velocità del vento che è perpendicolare alla differenza di pressione appena descritta. Questa componente non è affatto secondaria: si tratta di parecchie decine di metri al secondo valutata ad alta quota e che variano a secondo della latitudine. Infine gioca un ruolo importante un terzo elemento che è la forza viscosa, cioè la frizione che l’aria esercita contro il suolo. L’aria è un fluido con una certa viscosità e questo implica che lo strato di aria a contatto con il suolo sia fermo. Lo spessore di questo strato dipende da vari fattori fra cui la conformazione del terreno. Per il vento che soffia su un’ampia area piana per esempio lo spessore di questo strato corrisponde a circa il 10% dell’altezza dell’erba. Mentre il vento ad alta quota è determinato essenzialmente dagli altri due fattori, cioè la pressione atmosferica e la rotazione terrestre, il vento a bassa quota è fortemente influenzato dalla caratteristica del suolo. L’effetto complessivo di questa molteplicità di fattori e della loro imprevedibilità su scala locale fa sì che l’unico modo per determinare se un dato sito sia adatto allo sfruttamento dell’energia del vento è quello di effettuare una serie di misure continuative per l’arco di alcuni anni che possono determinare se il vento è abbastanza intenso ed abbastanza costante. Ma quanta energia si può veramente ricavare dal vento? A prima vista il potenziale sembra grandissimo perchè se si potesse impiegare tutta l’energia del vento tutto quel 2% di cui si diceva prima, questo sarebbe molto più che sufficiente a soddisfare i bisogni energetici del genere umano. Naturalmente questo non è possibile: ci sono una serie di vincoli che la natura stessa ci impone, come vedremo. L’impiego dell’energia del vento è noto da migliaia di anni e ha forse ha conosciuto il suo apice dal punto di vista commerciale nel diciannovesimo secolo, quando i grandi velieri erano in grado, in condizioni favorevoli, di estrarre dal vento potenze dell’ordine di 7-8 MW – diciamo 70-80 potenti automobili. Erano le più potenti macchine a vento mai costruite. In seguito, nella prima metà del XX secolo, prese piede l’uso di generatori eolici per la produzione di energia elettrica in zone che sono difficilmente collegabili al resto della rete elettrica: questo è di utilizzo ancora attuale (ad esempio per alimentare la segnaletica stradale oppure i ripetitori). Oggi però c’è una nuova serie di bisogni cui far fronte, in particolare la necessità di diversificare le fonti di energia soprattutto rispetto alla dipendenza dei combustibili fossili, e di utilizzare tutte le risorse disponibili per far fronte alla domanda in costante crescita. La direzione in cui ci si orienta è quindi quella di realizzare delle vere e proprie centrali a vento situate in siti appropriati per velocità e per costanza del vento. La potenza massima che si può estrarre è proporzionale al cubo della velocità del vento, e questo suggerisce ovviamente di scegliere delle zone dove il vento è forte, e qui siamo nell’ovvio. Ma questo non basta. Infatti esiste un limite massimo per l’efficienza di un aerogeneratore (mulino) che è il 59% della potenza del vento e che però dipende dalla velocità ipotizzata quando si progetta un aerogeneratore. In altre parole: se il vento è troppo forte o troppo debole rispetto ai parametri di progetto, il sistema diventa altamente inefficiente. Questo limite viene sostanzialmente dal fatto che il vento non può essere fermato quindi tutta l’energia del vento trattenuta dalle pale del mulino (cioè se l’ostacolo è troppo rigido) il vento semplicemente gli gira intorno; d’altra parte se l’ostacolo è troppo flessibile la frazione di vento catturata è troppo bassa. I calcoli dettagliati dicono che la situazione ottimale sia quando il vento perde 2/3 (due/terzi) della propria velocità attraversando l’aerogeneratore. In pratica poi un vero aerogeneratore ha una efficienza inferiore: al massimo del 30-40% in condizioni ottimali. Gli sviluppi tecnologici sono quindi diretti ad aumentare questa efficienza e renderla il più costante possibile per un intervallo relativamente ampio della velocità del vento.
Le considerazioni fatte fin qui aiutano un po’ a capire la configurazione delle moderne centrali eoliche che hanno una certa diffusione soprattutto in Germania, dove viene prodotta il 4% dell’energia elettrica attraverso aerogeneratori, o in Spagna dove questa percentuale è del 5,5%, o in Danimarca dove è addirittura del 18,5%. Si tratta di schiere di molti generatori di media potenza dell’ordine dei 100 fino a 500 KW e che hanno costi di manutenzione inferiori rispetto ad impianti con potenza unitaria più elevata. Sono posti su torri elevate ad una cinquantina di metri dal suolo, per ridurre l’effetto di frizione del terreno, o sul mare, o su altipiani. Complessivamente in Europa si produce il 2% dell’energia elettrica attraverso il vento; si tratta di un contributo piccolo ma significativo che potrà crescere in futuro anche se l’intermittenza intrinseca del soffiare dei venti, e quindi l’impossibilità a correlare il ritmo di produzione con l’esigenza dell’utenza, costituisce un limite severo alla diffusione. C’è da aggiungere che la possibilità di accoppiare generatori di questo tipo od anche solari con sistemi di immagazzinamento dell’energia o di veicolazione dell’energia, come l’idrogeno, costituiscono una possibilità in più in questo senso ancora però in realtà da esplorare. Questi esempi: l’energia della fissione nucleare e l’energia del vento suggeriscono una grande concorrenza di fattori che portano al realizzarsi delle condizioni per cui si possa ricavare energia per il cammino dell’uomo; condizioni che, come abbiamo visto, sono strettamente connesse con il delicato equilibrio naturale del nostro pianeta. Qualsiasi fonte di energia si innesta su questo delicato equilibrio e può sconvolgerlo se utilizzata senza limiti, senza cura o senza responsabilità. È suggestiva in questo senso la frase di Giovanni Paolo II sulla quale voglio chiudere: “l’energia è un bene universale che la Divina Provvidenza ha messo a servizio dell’uomo perchè il Creatore ha affidato la terra e la moltiplicazione dei suoi abitanti alla responsabilità dell’uomo”.

Sindoni: Allora arrivando al Meeting voi vedete queste belle mostre esposte; forse vi è venuta qualche volta la curiosità e vi siete chiesti: chi fa queste mostre? Come nascono? Cosa c’è dietro? E soprattutto perché le facciamo? A queste domande cercherà di rispondere il collega Giovanni Zambon.

Giovanni Zambon: Questa mostra è stata realizzata principalmente da docenti e studenti universitari un po’ di tutte le facoltà scientifiche: da quella fisica a quella chimica e di biologia e di geologia, ricoprendo un po’ tutti gli spettri dei ruoli presenti in università: dallo studente fino al professore ordinario. Un aspetto interessante è che comunque non viene esclusa la partecipazione di nessuno, nel senso che non siamo necessariamente esperti rispetto a tutti i fronti di cui si deve occupare comunque una mostra scientifica ed in particolare questa; È per questo che si cerca aiuto anche in altri ambiti. In particolare, per quanto riguarda questa mostra, sono stati molti i ricercatori professionisti che lavorano presso aziende pubbliche e private e che ci hanno dato una grossa mano ed anche insegnanti delle superiori. Una cosa certa è che però quello che non ci manca è che si è proprio voluto approfondire e cercare di dare senso, che è il metodo con cui affrontiamo le cose e che ci sta a cuore. Il metodo, che abbiamo cominciato ad intuire, è un qualcosa che parte da una certa esperienza della realtà, da un certo modo di sentire l’uomo ed ultimamente tutta la creazione. E ciò che rende possibile un inizio di concezione unitaria. È stato bene secondo me ben descritto ed esplicitato dall’intervento di Bersanelli questo concetto. Il numero complessivo delle persone che in questa mostra hanno lavorato per la sua preparazione è stato di circa una quarantina, di cui molti studenti che hanno collaborato anche per la preparazione cioè per l’allestimento qui al Meeting ed adesso sono qua per presentarla. C’è addirittura il caso di una persona che era venuta per allestirla e poi avendo collaborato per la sua preparazione non era previsto che rimanesse a presentarla; ed invece ci ha tenuto proprio a rimanere perché diceva che era sua questa mostra ormai. Il tempo mediamente che viene richiesto per la preparazione delle mostre scientifiche è di circa sei mesi. Un aspetto interessante appunto lavorando insieme con colleghi e studenti è stato proprio il primo aspetto – se si vuole anche scontato – proprio un approfondimento di un rapporto tra di noi quindi anche l’approfondimento di un’amicizia. Infatti questo comunque è facilitato sempre da un lavorare per uno scopo preciso. Ovviamente non si lavorava tutti assieme (quaranta) ma era stato suddiviso, a secondo degli argomenti, per gruppi: c’erano circa una decina di gruppi che si occupavano dei diversi argomenti. Ci si trovava inizialmente mediamente una volta al mese e poi alla fine del periodo a disposizione praticamente quasi tutti i giorni per lavorare sulla mostra. Una cosa che mi ha colpito proprio lavorando è stata quella di constatare da parte di tutti che la cosa era stata presa molto seriamente, mi viene da dire quasi professionalmente: non era tanto per fare qualcosa come volontariato o tanto per farla ma si notava come ognuno volesse dare il meglio di sé. Ecco quando si lavora in questo modo e ad un certo livello è inevitabile che siano molte le cose che si imparano: infatti proprio dal punto di vista del contenuto non era raro sentire studenti ed anche professori dicessero “però questa cosa come è interessante, non la sapevo assolutamente, finalmente ho imparato qualcosa”. Ma quello che è emerso principalmente come ritorno e come insegnamento maggiore rispetto al lavoro della mostra non solo da parte mia, ma soprattutto da parte degli studenti non è stato tanto il numero delle nozioni o delle cose che erano state imparate quanto l’aver capito realmente che cos’è una scuola, cioè di qualcosa fondata su intuizione di metodo che ci ha insegnato a stare di più di fronte alla realtà. In particolare ci sono due aspetti in cui appunto indistintamente diciamo tra professori e studenti siamo stati colpiti: la prima è quella di essere aiutati ad uno stupore maggiore di fronte alle cose. Infatti, come già ci è stato detto, gli aspetti di esistenza di certi fenomeni della natura che, sfruttati adeguatamente, forniscono energia e la stessa possibilità del loro sfruttamento sono aspetti che normalmente vengono dati per scontati ma che lavorandoci hanno per esempio aumentato l’interesse per l’argomento in sé, ci hanno aiutato anche a capirlo meglio. Per esempio per citare un episodio capitato: nella descrizione delle varie fonti di energia, che sono una grossa parte della mostra, si era partiti con un approccio strettamente tecnico e quantitativo per cui veniva semplicemente detto come viene ricavata l’energia da un determinato combustibile, quanta ne veniva prodotta, qual è il rendimento del processo, ecc. Essere aiutati a un approccio di questo tipo, lavorando insieme su argomenti così concreti come quelli scientifici, ci ha aiutato a uno stimolo e a un approfondimento maggiore e ha reso anche più interessante il lavorare insieme. E d’altra parte era anche interessante vedere come questo atteggiamento era interessante per i giovani, appunto, per gli studenti; quindi una scuola di per sé, in cui da una parte c’erano dei maestri e dall’altra parte degli allievi. Un’altra delle cose in cui sicuramente è emersa, in cui si è ritrovata un’utilità proprio personale, è stata quella in cui si è stati aiutati a giudicare le cose. Per cui normalmente uno inizia a lavorare, inizia a produrre dei contenuti, però gli sfugge magari il nesso tra quello che sta facendo e il resto. Questa urgenza di giudicare quello con cui si stava lavorando è emersa anche proprio nella realizzazione in sé della mostra, proprio sui contenuti; infatti numerose sono state le serate, anche in qualche modo divertenti, in cui tutti insieme in molti casi si discuteva proprio animatamente sul contenuto dei singoli testi, delle singole didascalie, delle immagini, in particolare delle immagini: era interessante vedere l’approccio concreto su dettagli anche così apparentemente insignificanti. Per cui, in poche parole, quello che è stato scoperto e a me ha colpito principalmente nelle realizzazione di questa mostra, è che guardando a un aspetto così particolare come quello dell’energia in questo caso, è stato tenuto conto in qualche modo di come è fatto l’uomo. Lavorare per la mostra è stato utile per il proprio – mi vien da dire – lavoro quotidiano sia professionale, sia di studio; ha dettato in ultima analisi delle linee fondamentali di quello che dicevamo essere un metodo. Per esempio il desiderio di approfondire le cose, lo stupore per quello che si incontra e la possibilità di dare dei giudizi con l’aiuto dei maestri è sicuramente qualcosa di utile per qualunque tipo di attività e per il proprio lavoro e che rende sicuramente quello che si fa più gustoso e con più desiderio di farlo.

Sindoni: Non aggiungerò molto. Prima di tutto volevo specificare che questa mostra nasce nell’ambito dell’associazione Euresis – associazione per la promozione e lo sviluppo della cultura e del lavoro scientifico – di cui Marco Bersanelli è il presidente.
Alcune cose sulla mostra: non vi sto a raccontare il percorso, ve l’ha già detto in parte il professor Bersanelli, poi lo vedrete; vi dico soltanto che quello che noi cerchiamo di fare non è quello di attaccare un libro alle pareti (attaccare un libro alle pareti non è una mostra, è un libro attaccato alle pareti!), quindi cerchiamo di fare qualcosa di bello, grazie anche al nostro architetto Distretti e grazie anche ai ragazzi di Brera che ci hanno aiutato: all’ingresso della mostra vedrete una riproduzione fatta proprio la settimana scorsa dai ragazzi di Brera di un quadro di Hopper; all’interno vedrete la riproduzione di una cosa abbastanza rara, l’unica immagine di San Francesco dipinta quando San Francesco era ancora vivo, passando dal Sacro Speco di Subiaco. Poi ci saranno anche parecchie exibit, parecchi esperimenti; quindi vedrete come la luce si trasforma in energia, come dall’idrogeno e dall’ossigeno si produce energia, come il vento fa energia e poi vedrete anche cosa succede quando voi respirate (quando voi respirate in un certo recipiente diminuisce l’ossigeno, aumenta l’anidride carbonica); e quindi ci sono parecchie cose interattive anche con dei filmati. Poi tutto questo è illustrato da un bellissimo catalogo. Ma c’è qualcosa di più: il nostro scopo è uno scopo didattico. Queste mostre sono affittate da scuole, da centri culturali, vanno in giro per tutta Italia. La prima che abbiamo fatto “Pronti, partenza, vita!” sta girando in cirillico per la Russia, perché il nostro scopo appunto è didattico: raccontare la scienza in un certo modo, cioè raccontarla senza pregiudizi, senza preconcetti, cercando di fare entrare i ragazzi nella realtà, dire che cos’è la realtà, che la realtà è qualcosa di nostro. Per questo non ci accontentiamo di far girare queste mostre per i ragazzi dei licei, per gli universitari ecc., ci preoccupiamo anche dei bambini delle elementari. Piccole Tracce (non è che voglio fare i consigli per gli acquisti, voglio solo dirvi delle cose interessanti) è il catalogo, è la mostra per i bambini delle elementari; quindi è fatto molto bene e ve lo consiglio. Salutandovi, voglio esortarvi ad andare a visitare la mostra.

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