2019 - What's in our brain? La meraviglia del cervello umano
Lo spazio, curato da Associazione Euresis e da Camplus, offre un percorso alla scoperta delle meraviglie del nostro cervello e del suo funzionamento, secondo quanto la scienza ad oggi è riuscita a comprendere.
I visitatori saranno accolti in un’area in cui potranno incontrare ricercatori ed esperti che a vario titolo operano nell’ambito delle neuroscienze, con la proposta di exhibit, filmati e dibattiti interdisciplinari che si susseguiranno quotidianamente. Una presentazione video introdurrà le tematiche proposte, esemplificate anche in uno spazio espositivo suddiviso in tre sezioni:
1) SOLO DA SENSATO APPRENDE - l'esperienza della percezione della realtà tramite i sensi
2) DENTRO IL CERVELLO - la descrizione anatomica e fisiologica del cervello
3) CAPIRE IL CERVELLO? - la modellizzazione dei circuiti neuronali e lo stato attuale delle nostre capacità di registrare l’attività cerebrale.
Mezza giornata sarà interamente dedicata a un workshop di approfondimento specifico di questi temi, con la presenza di neuroscienziati di fama internazionale. Il workshop è in lingua italiana e sarà liberamente accessibile.
Una tipica galassia contiene 100 miliardi di stelle e nell’universo ci sono 100 miliardi di galassie. Numeri sconcertanti, paragonabili a quelli che ritroviamo nel più complesso e misterioso oggetto naturale che conosciamo: il nostro cervello. Un chilo e mezzo di tessuto composto da 100 miliardi di cellule (i neuroni), strutturate in una fittissima rete formata da più di 100 mila miliardi di interconnessioni (le sinapsi). Con un’importante differenza: ogni stella nell’universo è legata alle altre da una relazione statica e semplicissima, mentre i nostri neuroni interagiscono in modo complesso, coordinato, velocissimo, seguendo trame estremamente sofisticate che sono ancora lontane dall’essere completamente comprese.
Qualcosa però abbiamo incominciato a capire. Sappiamo per esempio che i neuroni comunicano tra loro tramite sostanze chimiche e impulsi elettrici misurabili. Ogni nostro dinamismo, dal funzionamento del nostro corpo alla capacità di pensare, è legato in qualche modo a questa loro attività. Siamo inoltre riusciti a individuare con buona precisione quali aree del cervello sono dedicate a diverse attività umane quali il movimento, la visione, l’udito, la scrittura, l’emozione, il linguaggio… in alcuni casi i neuroscienziati sono riusciti a comprendere il funzionamento di alcuni di questi processi cerebrali in modo così dettagliato da poter restituire ai pazienti alcune funzioni sensoriali e motorie perdute.
Insomma, non c’è un singolo atto, espressione o istante della nostra esperienza che non comporti l’attivazione di una qualche attività elettrica nel nostro cervello. Abbiamo scoperto che persino quando siamo a riposo i nostri circuiti cerebrali continuano ad attivarsi in maniera complessa e coordinata. E, naturalmente, usiamo il cervello anche quando tentiamo di capire come è fatto il nostro cervello!
Tutto questo ci appassiona, e al tempo stesso ci inquieta.
Innanzitutto ci appassiona. Più comprendiamo in profondità i meccanismi di funzionamento del nostro cervello e più rimaniamo stupiti, quasi increduli, di fronte alla mirabile composizione dei fattori che permettono di esprimerci, crescere e svilupparci. Come notava il grande neuroscienziato Eric Kandel, lo studio analitico dei meccanismi, nella scienza come anche nell’arte, non banalizza le nostre percezioni - per esempio colore, luce, prospettiva - ma ci consente di apprezzarle in una nuova luce.
D’altra parte l’avanzare delle scoperte in campo neuro-scientifico pone domande urgenti, che toccano nel profondo la nostra visione del mondo. Conoscere nel dettaglio il substrato materiale delle nostre sensazioni e dei nostri pensieri modifica in qualche modo la concezione che abbiamo di noi stessi? Il fatto che non ci sia un solo pensiero o moto dell’anima che non sia legato ad una attività cerebrale, e quindi al nostro corpo, restringe lo spazio del nostro io? Significa che siamo il puro esito di quei meccanismi?
La nostra millenaria tradizione di pensiero ha individuato in due fenomeni fondamentali ciò che primariamente costituisce il nome dell’io umano: la coscienza e la libertà. La consapevolezza che la percezione di noi stessi e del mondo necessiti ed attivi determinati processi cerebrali porta a chiederci: la co-attività e co-essenzialità di questi processi sminuisce la nostra libertà e la nostra coscienza?
La scienza non può esaurire queste domande, caso mai le rende più drammatiche, anche perché il metodo scientifico è in difficoltà nell’esplorare questi temi. Un neuroscienziato che entra in laboratorio col proposito di studiare la coscienza e la libertà si trova nella necessità di darne una definizione operativa, tale da consentirgli di fare delle misure. Per esempio quantifica la libertà come capacità di rispondere in modo diverso a medesimi segnali esterni; oppure la coscienza come capacità di integrare stimoli differenti. Ma è davvero questo che intendiamo quando parliamo di libertà, oppure di coscienza?
Nonostante gli enormi progressi ottenuti qualcosa sembra rimanere inaccessibile a tale indagine. Si tratta, paradossalmente, del livello più immediato e fondamentale per ciascuno di noi: l’esperienza soggettiva che quei processi rendono possibile. C’è una distanza difficile da colmare. Che cosa trasforma il segnale che arriva al mio cervello, processato da una finissima attivazione di miliardi di sinapsi e circuiti cerebrali, nella mia esperienza soggettiva? Come si passa, per esempio, dall’insieme variegato di meccanismi che sovraintendono le funzioni della vista (i recettori della retina, la trasmissione dell’informazione nel nervo ottico, l’attivazione di microscopiche scariche elettriche tra i neuroni di una ben precisa area del cervello) alla mia personale esperienza di vedere l’azzurro del cielo? Quell’esperienza che mi fa dire: “che cielo luminoso, oggi!”?
La nostra esperienza del mondo rimane qualcosa di non quantificabile né riproducibile; essa si presenta di una natura diversa rispetto ai meravigliosi meccanismi chimico-fisici sottostanti, irriducibile ad essi e alla loro somma. Per questo la ricostruzione di tali meccanismi, per quanto dettagliata, non sembra in grado di potersi avvicinare alla soglia di quella realtà ineffabile, quanto semplice e primaria, dell’esperienza soggettiva. Come stanno insieme questi due livelli del reale? Questa rimane una delle più grandi e affascinanti domande, non solo per gli scienziati, ma per la comprensione della natura nel suo insieme.
Noi non esistiamo indipendentemente dal mondo che ci circonda e infatti il nostro cervello continuamente elabora una gran quantità di segnali che ci raggiungono dall’esterno. Ma quello che percepiamo non è soltanto la registrazione “a freddo” di questi segnali: si tratta sempre di una loro “interpretazione”. Nei nostri circuiti cerebrali tale attività interpretativa avviene continuamente e su piani diversi: dal livello inconsapevole (quello che ci permette di “vedere” senza decidere di volerlo fare), fino a quello più alto che riguarda il nostro rapporto con l’arte, la scienza, la filosofia, la vita di una società o la ricerca di un senso dell’esistenza.
Percepire, quindi, vuol dire interpretare e tale interpretazione richiede la coesistenza di una dimensione passiva e di una partecipazione attiva del soggetto. Questo intrecciarsi inestricabile di passività e attività è probabilmente legato alla nostra capacità di sperimentare le cose in prima persona. E, d’altra parte, fa sì che noi stessi non potremo mai essere garantiti circa la possibilità di non commettere un errore, persino riguardo alle percezioni apparentemente più elementari (come dimostrano le illusioni ottiche).
L’interpretazione della realtà, sebbene implichi una partecipazione attiva del soggetto, non è però arbitraria. Il nostro cervello elabora i segnali in base a certe strutture date originariamente dalla sua fisiologia, utilizzando una serie di criteri che dipendono in parte dalla storia personale di ciascuno. L’interpretazione (fino alla percezione) contiene dunque il portato di una familiarità del soggetto con una realtà esterna, con un altro-da-sé, guadagnata nella nostra particolare esperienza vissuta. La componente soggettiva nella percezione è l'emblema della relazione profonda tra soggetto e oggetto, tra conoscente e conosciuto, implicata in ogni umana forma di conoscenza.
“Nacque il tuo nome da ciò che fissavi”. Qui sono indicati i due poli fondamentali dell’esperienza: l’io (il “nome”) e l’altro-da-sé (“ciò che fissavi”). Da dove nasce il nostro “nome”? Da sempre questa domanda definisce l’uomo cosciente. Essa attraversa tutte le generazioni e le culture e riaccade in ciascuno di noi, inevitabile, drammatica e potente.