Sempre persone, non fenotipi

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Desidero interve­nire per esprime­re la mia critica circa quanto ri­portato da È vita di giovedì scorso nel­l’intervista di Andrea Lavazza al pro­fessor Giovanni Boniolo, intitolata «L’embrione è umano, basta la scien­za per dirlo». Non entro nel merito del­le numerose problematiche che l’ar­gomento richiederebbe, ma sottolineo alcuni punti.
1.  Ritengo giusto che vengano pre­sentate anche proposte discutibili. Ciò in quanto occorre sollecitare l’u­so adeguato della ragione senza chiu­dersi in difesa di posizioni che posso­no sembrare acritiche o preconcette. Tuttavia ritengo essenziale non confon­dere questa corretta posizione con la presentazione o la valorizzazione acri­tica di tesi assolutamente fuorvianti in grado di produrre pericolose confu­sioni invece di offrire elementi razio­nali per una migliore comprensione di problemi come quello trattato.
2. In un meeting cui ero presente (mesi fa alla Università Statale di Milano) il prof. Boniolo ha chiaramente sostenuto la necessità di ri­definire il concetto di «io» eliminan­do dal vocabolario il termine «perso­na » e sostituendolo con un concetto nuovo: «Io sono il mio fenotipo». Con tutto il rispetto della persona del prof. Boniolo (e non del suo fenotipo), que­sta mi sembra davvero l’ultima spiag­gia di una grave mistificazione della realtà che tenderebbe così a ridurre de­finitivamente la persona umana al semplice prodotto della complessità biologica.
3. Una tale scelta (contrariamente a quanto sostenuto nell’intervista) darebbe ancora più potere alla scienza e all’ideologia scientista cui ver­rebbe consegnata l’ultima cosa che an­cora non si è presa: la persona. Il ter­mine persona non è affatto incrostato (semmai resta misterioso come è la vi­ta) e tutti sanno benissimo cosa signi­fica! Quello che è intollerabile da par­te di molto scientismo è proprio il fat­to che esso sfugga a una definizione scientifica restando patrimonio della coscienza dell’uomo e di ogni uomo.
4. Chi tra la gente comune sarebbe in grado di ragionare usando in modo critico e cosciente il termine ‘fenoti­po’? Tale termine è perfino ambiguo nel­la biologia stessa proprio perché l’e­spressione fenotipica è continuamente mutabile in rapporto alle informazioni genetiche che interagiscono con quelle epigenetiche e ambientali. E di tutto ciò non si conosce nulla (forse ne aveva in­tuito qualcosa Lamarck, naturalmente vituperato dallo scientismo darwinista). Secondo un recente articolo di Nature l’era dell’epigenetica sarebbe in ritardo di almeno 30 anni rispetto alla genetica (che pure è appena nata)!
5. Quando si dovessero stabilire i di­ritti di questo fenotipo, che è per sua natura ‘plastico’, che criterio si do­vrebbe usare? Non diventerà ancora più facile sostenere che alcuni fenotipi non sono compatibili con la dignità della vi­ta? Non dimentichiamoci che tutto il problema della diagnosi preimpianto per selezionare chi far nascere si basa e­sattamente su questo (le cosiddette ma­lattie genetiche si esprimono nella realtà come particolari fenotipi!). Quali feno­tipi hanno diritto di nascere? Tutti o so­lo alcuni? E come la mettiamo con le razze?
* presidente Associazione italiana colture cellulari (Aicc).