Etica ed energie rinnovabili

Benedetta CappelliniArticoli

Nell’editoriale del numero di maggio-giugno 2008 di “Renewable Energy FOCUS”, diffusa ed autorevole  rivista dedicata alla tecnologia delle fonti di energia rinnovabili pubblicata dalla nota casa editrice inglese ELSEVIER, ed organo ufficiale della ISES (International Solar Energy Society), il capo redattore, David Hopwood, ci offre l’occasione per fare qualche commento su un atteggiamento molto in voga fra i paladini delle energie alternative, quello di appellarsi a motivi etici per sostenere le proprie posizioni.
Il buon David inizia l’editoriale con una pubblica confessione di colpevolezza, che egli si sente costretto a fare dopo esser stato accusato, in una accanita discussione avuta con i suoi colleghi della redazione, di avere una personale carbon footprint (che é la “impronta” sull’ambiente prodotta dall’uso di energia che si fa in tutte le proprie attività, dal mangiare, al lavarsi, al muoversi, ecc., espressa in termini di carbonio equivalente consumato ed immesso in atmosfera sotto forma di CO2)  troppo elevata. Hopwood si è reso conto di quanto ciò sia sconveniente per un  paladino delle energie rinnovabili, e vorrebbe in qualche modo rimediare alle sue colpe. Purtroppo nonostante egli cerchi di impegnarsi nella sua vita privata  a tenere sotto controllo questo parametro, il suo lavoro lo porta spesso in lunghi viaggi aerei da un capo all’altro del mondo, e gli aerei come si sa emettono un sacco di CO2 in atmosfera. Oppresso dal peso di questo  “peccato mortale  ambientale”, Hopwood  si è confidato con un  amico che lavora ad una  rivista ambientale. Ragionando fra di loro, oltre a commentare che sì, tante fiere o congressi sono spesso dei duplicati e si potrebbero evitare, o fare via satellite, i due amici hanno avuto una buona idea: chi come loro si impegna così tanto a favore delle energie rinnovabili e dell’ambiente, dovrebbe aver diritto a un “bonus morale”, una sorta di “punti purgatorio” a sconto dei propri peccati ambientali,  per i quali si potrebbe addirittura immaginare  un meccanismo di scambio fra virtuosi e reprobi, un po’ come avviene per le quote di emissione di CO2 previste dal protocollo di Kyoto.
Ora, tutti noi abbiamo modo di constatare che gli articoli ed i messaggi pubblicitari a sfondo  etico sull’uso dell’energia e delle risorse, sul salvataggio del pianeta dai cambiamenti climatici indotti dall’uomo, sull’inquinamento, ecc., sono numerosi e frequenti, sulla stampa e sugli altri mezzi di comunicazione di massa, anche se spesso in tali messaggi sono contenute grosse imprecisioni, o addirittura menzogne scientifiche. Ma questo per certi versi non ci meraviglia, vista la grande importanza ed anche la grande valenza emotiva che hanno le preoccupazioni per la sorte del nostro pianeta. Né, intendiamoci bene, ci turba il fatto che una rivista specializzata  sostenga gli argomenti a favore di chi le dà le ragioni di esistere, né abbiamo alcuna pregiudiziale antipatia per le fonti di energia alternative. Vediamo anzi per molti versi come auspicabile ed inevitabile il fatto che le fonti rinnovabili acquistino un progressivo maggior peso via via che l’attuale sistema energetico sarà costretto dalla più o meno veloce riduzione delle risorse fossili, ad evolvere verso un nuovo modello.
Non abbiamo comunque pregiudizi neanche per il carbone, il petrolio o l’energia nucleare, che ad ogni buon conto hanno fin qui svolto un grande ruolo nel far emergere una buona fetta dell’umanità dalla miseria e dal bisogno. E non vogliamo certo neanche fare da stampella ideologica degli inquinatori.
Ma non ci piacciono le confusioni (non le commistioni, che sono inevitabili) fra argomenti tecnico-scientifici e morali, perché nella maggior parte dei casi sono solo un modo di confondere le idee alla gente per portar acqua al proprio mulino. Se ragioniamo solo a colpi di slogan e non manteniamo sufficiente lucidità per considerare tutti gli aspetti dei problemi, cosa ci  sarebbe, tanto per fare un esempio, di più etico di un esteso ricorso all’energia nucleare? L’uranio è un elemento inutile per qualsiasi altro utilizzo che non sia il costruire bombe o proiettili pesanti, non come il petrolio o il gas con cui possiamo farci fertilizzanti, plastica, medicinali, ecc.. Quindi se lo togliessimo di mezzo, comprese tutte le bombe atomiche fin qui accumulate,  bruciandolo nei reattori nucleari, non faremmo che un bene. Inoltre le centrali nucleari non producono anidride carbonica né alcun altro gas serra. E potremmo aggiungere  altri argomenti “a favore della eticità” dell’utilizzo dell’energia nucleare, che  dovremmo ovviamente confrontare con un ugualmente lungo elenco di argomenti a sfavore (scorie, incidenti, pericolo di proliferazione nucleare, ecc. ecc.).
Analogamente potremmo sostenere che non c’è scelta più etica di quella dell’energia solare perché il suo utilizzo non turba alcun equilibrio naturale, perché è diffusa e disponibile ovunque, perché non ci espone ai ricatti delle multinazionali e dei paesi produttori, perché è rinnovabile ed inesauribile, ecc. ecc.
Tutte queste argomentazioni a guardarci bene dentro, sia per il nucleare che per le altre fonti di energia, non hanno niente di etico, ma sono nella maggior parte dei casi dei semplici elementi di convenienza tecnico-economica-ambientale, spesso così complessi e sottili da analizzare da essere a malapena comprensibili dagli addetti ai lavori. Dunque scienziati e tecnologi dovrebbero il più possibile sforzarsi di aiutare gli altri, specie i grandi decisori economico-politici, a raccogliere e comprendere la maggior quantità possibile di elementi obbiettivi sugli svantaggi e vantaggi dell’utilizzo delle varie fonti di energia. Poi bisogna sperare che questi decisori siano abbastanza saggi da fare le scelte migliori, sulla base della convenienza economica e ambientale, dei vincoli e delle opportunità politiche ed anche di considerazioni etiche generali, fatto salvo il diritto-dovere di criticarli aspramente nel caso di decisioni troppo unilaterali.
Ma  se certe confusioni fra etica, tecnologia ed affari frullano perfino nella testa di un addetto ai lavori come il nostro capo redattore, che dovrebbe sapere bene come stanno veramente le cose, figuratevi cosa capita a chi non è del mestiere ed è capace di cogliere solo l’irresistibile  richiamo di  un appello etico, a cui aderisce ingenuamente.
È il caso di quel consiglio pastorale di una parrocchia milanese che, come  ci è recentemente capitato di leggere su di un giornale di quartiere, ha speso 50.000 Euro per installare un impianto a pannelli fotovoltaici sul tetto della chiesa, motivando la sua decisione non come una oculata e lungimirante modalità di impiegare le offerte dei fedeli (favorita dall’esistenza del “conto energia” e degli sgravi fiscali in vigore), ma con la necessità etica di contribuire alla salvaguardia del pianeta e di dare un se pur piccolo contributo alla riduzione dei gas serra.
Un evidente esempio di quanto un certo clima culturale dominante rende facile confondere ciò che è etico con ciò che è solamente  politically correct.