Archiviata con un sostanziale nulla di fatto la Conferenza sul Clima di Copenhagen, inizia un altro anno nel quale i temi dell’ambiente saranno in primo piano: sia perché i problemi affrontati a Copenhagen sono ancora tutti da precisare e da risolvere; ma anche perché altre tematiche ecologiche, oltre a quella climatica-energetica, si imporranno all’opinione pubblica riassunte dalla parola chiave: biodiversità. Il 2010 infatti è stato proclamato dall’Onu come International Year of Biodiversity (IYB) e presto inizieranno gli eventi e le manifestazioni di ogni genere volte a segnalare la preoccupante perdita di diversità biologica che affligge buona parte del Pianeta.
C’è da augurarsi che il tono e il livello delle iniziative non si limiti alla fase della denuncia e che anche in questo caso il filo conduttore del dibattito non sia uno scettico catastrofismo, pronto a trasformare la giusta riprovazione di comportamenti irresponsabili e spregiudicati in una confusa mescolanza di valori e di contenuti, dove alla valorizzazione della natura corrisponde una simmetrica riduzione del ruolo e della dignità dell’uomo.
L’auspicio è che questo IYB sia un’occasione per porre l’accento sui dati, sulle ricognizioni accurate del reale stato degli ecosistemi, sul confronto rigoroso tra indizi ed evidenze sperimentali, sull’utilizzo coerente e prudente dei modelli, nella consapevolezza di una complessità inevitabile. Purtroppo sembra che nell’affronto delle tematiche ambientali i commenti, i proclami e le visioni globali abbiano la prevalenza sui dati, sulle misure, sulla documentazione specifica e circostanziata. C’è una sovrabbondanza di enunciazioni di principio e di conclusioni ma una carenza, o una sottovalutazione, di tutto ciò che sta in mezzo e che può autorizzare l’enunciazione di affermazioni conclusive e impegnative: è quel lavoro paziente e rispettoso della realtà, che pure tanti ricercatori stanno svolgendo anche in campo ambientale; e che a volte non consente di soddisfare la voracità massmediatica sempre alla ricerca di scoop e di facili slogan.
Proprio per poter svolgere adeguatamente quel lavoro, tenendo conto di tutto lo spettro dei fattori implicati, oltre e prima dei dati servono dei criteri, che dovranno essere più robusti quanto più alta è la posta in gioco. Dei criteri che orientino la raccolta dei dati, la loro lettura, l’individuazione delle molteplici interconnessioni, la deduzione dei giudizi e le decisioni circa le conseguenti azioni necessarie.
In questa prospettiva sono giunte quanto mai preziose le parole di Benedetto XVI, che è tornato più volte in questo periodo sui temi della salvaguardia dell’ambiente, a partire dal messaggio per la XLIII Giornata Mondiale della Pace, per la quale il Papa ha scelto il titolo: Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato . Sono interventi che richiamano e approfondiscono quanto aveva già esposto con chiarezza nell’Enciclica Caritas in Veritate; e vale la pena notare, come sottolinea lo stesso Pontefice, che l’importanza della “coscienza ecologica” era già stata rimarcata dai suoi predecessori a più riprese.
Quali sono quindi i punti salienti di questo magistero della Chiesa sul versante ecologico?
Il punto chiave è il riferimento all’ambiente naturale come “creato”: «nella natura il credente riconosce il meraviglioso risultato dell’intervento creativo di Dio, che l’uomo può responsabilmente utilizzare per soddisfare i suoi legittimi bisogni – materiali e immateriali – nel rispetto degli intrinseci equilibri del creato stesso. Se tale visione viene meno, l’uomo finisce o per considerare la natura un tabù intoccabile o, al contrario, per abusarne. Ambedue questi atteggiamenti non sono conformi alla visione cristiana della natura, frutto della creazione di Dio». Non si tratta però di un invito solo per i cristiani, ma di un contributo efficace all’impegno di tutti per un mondo più vivibile; ciò è ribadito dal fatto che il concetto di creazione non sminuisce il valore dell’uomo, anzi lo esalta come destinatario e responsabile di un bene così grande: «Ritenere il creato come dono di Dio all’umanità ci aiuta a comprendere la vocazione e il valore dell’uomo».
L’idea di creazione è dunque il principale carattere di originalità della posizione della Chiesa; ed è anche un elemento di demarcazione rispetto a tanto ecologismo figlio di una cultura scettica e panteista. Invece di esaurire le nostre relazioni con l’ambiente in un indistinto attivismo, il Papa parla di una “reciprocità” nell’azione genuinamente ambientalista: «nel prenderci cura del creato, noi constatiamo che Dio, tramite il creato, si prende cura di noi».
Benedetto XVI inoltre mette in guardia da ogni tendenza ad assolutizzare la natura o “a ritenerla più importante della stessa persona”, ignorando la fondamentale differenza ontologica e di valore tra la persona umana e gli altri viventi. Ribadisce perciò la perplessità della Chiesa verso le posizioni ispirate “all’ecocentrismo e al biocentrismo” mettendo in guardia dall’inclinazione verso un «nuovo panteismo con accenti neopagani che fanno derivare dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico, la salvezza per l’uomo».
L’accento sul creato si rivela peraltro il più adeguato a dare fondamento anche alle attività di conoscenza e studio dell’ambiente: «Per guidare l’umanità verso una gestione complessivamente sostenibile dell’ambiente e delle risorse del pianeta, l’uomo è chiamato a impiegare la sua intelligenza nel campo della ricerca scientifica e tecnologica e nell’applicazione delle scoperte che da questa derivano». Come pure riferirsi alla natura come “creata” offre solide e realistiche basi ad ogni azione di tutela e di risanamento che non sia puramente volontaristica o dimostrativa.
Che quella di Benedetto XVI non resti una pura affermazione di principi lo si nota anche dagli accenti realistici e dalle valutazioni critiche verso un certo modo di considerare l’ambiente; arrivando a denunciare «l’attuale ritmo di sfruttamento (che) mette seriamente in pericolo la disponibilità di alcune risorse naturali»; e a parlare di «degrado ambientale (che) è spesso il risultato della mancanza di progetti politici lungimiranti o del perseguimento di miopi interessi economici».
Un intervento, quello per la giornata della Pace, che apre interessanti prospettive nella linea, già indicata nell’enciclica, di un’autentica “ecologia umana” e a partire dall’urgenza di un serio lavoro culturale: «Il degrado della natura è, infatti, strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana, per cui quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio».
Tra le prospettive aperte basterà citare l’importanza della solidarietà inter e intra generazionale, che spinge a una particolare attenzione verso le condizioni future del Pianeta e chiama in causa soprattutto “la responsabilità storica dei Paesi industrializzati”. Altro contributo propositivo è l’invito a incentivare una ricerca e sviluppo che si metta a servizio dell’uomo, nella consapevolezza che “la tecnica non è mai solo tecnica” ma espressione dell’uomo, dei suoi desideri, delle sue idealità.
Infine, l’urgenza di una nuova mentalità che “induca tutti ad adottare nuovi stili di vita”. Ma anche qui la proposta è in positivo e non secondo la logica delle pura rinuncia e del “meno è bello”. Gli stili di vita cui allude Benedetto XVI sono quelli «nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti». Sugli stili di vita il Papa è tornato nel messaggio del 1º gennaio; dove l’accento è stato posto sulla responsabilità educativa, che anche in questo ambito si impone come una priorità: «Tutti infatti siamo responsabili della protezione e della cura del creato. Perciò, anche in questo campo, è fondamentale l’educazione: per imparare a rispettare la natura; orientarsi sempre più a costruire la pace a partire dalle scelte di ampio raggio a livello personale, familiare, comunitario e politico».
Nuovi stili di vita non si possono imporre per legge e neppure con uno sforzo volontaristico e moralistico (che percorre molte iniziative dei movimenti ambientalisti). È anzitutto un problema di formazione e di maturità della persona: solo un uomo consapevole di sé e del suo posto nel creato potrà contribuire in modo non velleitario a proteggere l’ambiente naturale. L’ambiente insomma – come si afferma nelle conclusioni della mostra Atmosphera, che Euresis ha proposto due anni fa al Meeting di Rimini e successivamente in altre città – è “una questione da uomini”.