Chiamiamola “genomica”, ma per una vera cellula ci vuol ben altro…

Benedetta CappelliniArticoli

Ci vuol altro per inneggiare alla vita artificiale: «Si può solo parlare di “genomica artificiale”, nel senso che, con un impressionante dispiego di mezzi e fondi, è stato risintetizzato chimicamente un intero genoma».     
Questa la reazione di chi si occupa quotidianamente di biochimica alla notizia, rimbalzata venerdì scorso su tutti i media con titoli del tipo: “Ecco l’inizio della vita artificiale: costruita la prima cellula sintetica”.    
Il fatto è che di singoli geni sintetici si avvalgono spesso anche i ricercatori che operano in laboratori ben più modesti di quelli guidati da Craig Venter.      Cosa significa allora la cellula sintetica annunciata dallo scienziato -imprenditore americano?

Dal punto di vista tecnico è stato sostituito il DNA del microrganismo «Mycoplasma mycoides» con un DNA completamente “costruito” in laboratorio.     Una costruzione, altamente dispendiosa in termini economici e di tempo, ma che viene già fatta da tempo da aziende specializzate nel settore della produzione di geni artificiali.     
Come sottolinea Giorgio Dieci, biochimico dell’Università di Pavia, «Il genoma sintetico non è nuovo concettualmente: è nuova solo la scala (miliardaria) dell’operazione.   Si tratta solo di una applicazione su vastissima scala di ciò che già avviene in tantissimi laboratori al mondo grazie alla tecnologia creata da Frederick Sanger diversi anni fa: nessuno si stupisce di questo, è routine”.
Vero è che l’enfasi con la quale la notizia è stata diffusa, almeno inizialmente, può facilmente indurre nell’errore di pensare che la cellula creata da Venter sia totalmente artificiale.
Ciò che la stampa non ha enfatizzato è che la cellula ricevente non è stata progettata in laboratorio, ma era una preesistente cellula naturale.       Si è così creata un’immagine meccanicistica, che vede Venter mettere insieme pezzo per pezzo i componenti della cellula sino ad ottenerne una uguale identica a quelle “naturali”.

La realtà è completamente diversa.
Come ci spiega il professor Dieci: «Una cella sintetica dovrebbe essere una cellula assemblata a partire da tutti i suoi componenti (tutti i suoi lipidi, metaboliti, proteine, acidi nucleici, ioni, polisaccaridi, acqua ecc.).     Uso il condizionale perché questo obiettivo è lontanissimo anche per coloro che ci lavorano da sempre.    Quella usata dagli uomini di Venter è una cellula fatta e finita, non costruita da loro, a cui hanno fatto un trapianto totale di DNA».
Il concetto fondamentale da avere ben chiaro è che ogni cellula esistente in questo mondo nasce da un’altra cellula: lo stampo per ogni nuova cellula è la cellula madre, da cui deriva nella sua integralità.     Nessuno mai è riuscito a costruire ex novo una cellula solo a partire dal suo DNA.      Come sottolinea Paolo Tortora, biochimico dell’Università Bicocca di Milano, «tutte le componenti della cellula interagiscono tra di loro in modo estremamente sottile e sofisticato.
A tutt’oggi noi comprendiamo ben poco di tale rete di interazioni, che è in ultima analisi uno degli aspetti essenziali della vita, anche nelle forme più elementari.     Non basterebbe quindi sintetizzare tutte le componenti chimiche citate per produrre una cellula, ma bisognerebbe assemblarle in modo tale che potessero interagire nel modo appropriato.     E così, di pari passo che le nostre conoscenze sui sistemi biologici progrediscono, è come se l’aspetto essenziale del fenomeno vita arretrasse di pari passo, restando a tutt’oggi inafferrabile».

Ci vuol altro quindi per parlare di creazione e per consacrare il lavoro di Venter come spartiacque nella definizione del concetto di vita.
Non siamo quindi di fronte a una pietra miliare della storia della biologia: scoperte di molto minore risonanza mediatica l’hanno cambiata molto più profondamente.      Qui, a rigore, non si dovrebbe neppure scomodare l’espressione “scoperta scientifica”: si è trattato del successo di un poderoso progetto tecnoscientifico, raggiunto dalla Synthetic Genomics grazie all’impiego massiccio di potenti computer e strumentazione di elevate prestazioni.     Siamo però a una tappa importante in ambito biotecnologico, soprattutto per le applicazioni che si prospettano; anche se su tempi molto lunghi e con tante altri traguardi da superare.

Venter – con la sua abilità di business-man che sa inserirsi nei trend più gettonati – ha dichiarato che la sua nuova tecnologia potrà portare a progettare batteri salva ambiente da utilizzare come fabbriche viventi di biocarburanti o per liberare acque e terreni da sostanze inquinanti (a proposito, la Synthetic Genomics ha già siglato accordi con la BP, quella del petrolio nel Golfo del Messico), o realizzare alghe che assorbono anidride carbonica.
In realtà l’esperimento di Venter rappresenta un progresso importante in termini di potenzialità applicative.     Come ricorda Tortora, «già da tempo si modifica il genoma di microrganismi secondo un progetto predeterminato, portandoli a produrre molecole di vario tipo o a modificarne di altre presenti nell’ambiente. 
Si producono così antibiotici, proteine terapeutiche, biocarburanti; oppure si creano microrganismi capaci di degradare composti inquinanti».       La performance di Venter pone dunque le basi per un potenziamento sempre più grande di queste applicazioni biotecnologiche esistenti e già in atto in molti laboratori.     
Tuttavia, la presunzione di aver messo le mani sul mistero della vita riducendolo alla sola componente biochimica e la spregiudicatezza nel trascurare tanti fattori implicati nelle nuove tecnologie, non saranno certo i migliori compagni di viaggio in questa avventura.

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