Corriere della Sera, 19 luglio 2011, di Edoardo Boncinelli
Ci sarà qualcun altro nell’immensità, in questa «stanza smisurata e superba», o siamo soli nell’universo? E soprattutto, come sarà fatto questo qualcuno? È difficile dire che cosa preferiremmo, ma la nostra mente non ha potuto trattenersi dal fantasticare anche su un tema del genere, pur così astruso e privo di appigli. La fantascienza si è sbizzarrita a più riprese, anche se a tratti con immaginazione limitata e potenza rappresentativa un po’ anemica, sul tema della natura degli ultraterrestri, gli abitanti di altri mondi abitati. Il filone dei marzianini verdi si è presto esaurito e l’immaginazione si è rivolta ad altri mondi e altri protagonisti, dandoci anche veri e propri capolavori.
Ci sarà qualcun altro nell’immensità, in questa «stanza smisurata e superba», o siamo soli nell’universo? E soprattutto, come sarà fatto questo qualcuno? È difficile dire che cosa preferiremmo, ma la nostra mente non ha potuto trattenersi dal fantasticare anche su un tema del genere, pur così astruso e privo di appigli. La fantascienza si è sbizzarrita a più riprese, anche se a tratti con immaginazione limitata e potenza rappresentativa un po’ anemica, sul tema della natura degli ultraterrestri, gli abitanti di altri mondi abitati. Il filone dei marzianini verdi si è presto esaurito e l’immaginazione si è rivolta ad altri mondi e altri protagonisti, dandoci anche veri e propri capolavori.
Il tema ritorna ogni tanto anche alla ribalta della cronaca e qualche anno fa è stato messo in piedi il Seti, Search for ExtraTerrestrial Intelligence, un progetto internazionale «di ascolto» scientifico di eventuali voci intelligibili nel cosmo. Al livello del grande pubblico però raramente il tema è stato trattato con il dovuto rigore. È quello che fa ora il fisico Elio Sindoni nel suo affascinante libro Siamo soli nell’Universo? (Editrice San Raffaele, pp. 180, 17,50). Il tema è affrontato in chiave scientifica, anche se l’autore non disdegna alcune appetitose incursioni nelle più riuscite rappresentazioni e nei numerosi racconti fantastici di ieri e di oggi sul tema extraterrestri. Molti sono convinti che esistano, anche perché si vanno scoprendo in questi anni un numero sempre maggiore di pianeti più o meno simili al nostro che orbitano intorno alla loro stella, come noi intorno al Sole. Ma se gli extraterrestri esistono perché non li abbiamo ancora visti? Il fatto è che per poterci incontrare in qualche maniera occorre che siano soddisfatte alcune condizioni. Se si tratta soltanto di forme di vita elementari, non potranno infatti certo venire a trovarci, nemmeno via radio: occorre andare noi a trovare loro. Per farsi vivi in qualche maniera bisogna che anche loro abbiano sviluppato una forma di vita intelligente e progettuale, con un livello tecnologico comparabile, se non superiore, al nostro. E infine le distanze potrebbero rivelarsi tali da rendere tutto enormemente più difficile.
Occorre insomma che si verifichi una sorta di doppia o tripla contemporaneità. Loro devono sviluppare una civiltà tecnologica contemporaneamente a noi, nell’ipotesi molto verosimile che le civiltà, soprattutto quelle molto avanzate, abbiano una durata limitata. La loro civiltà deve durare cioè tanto a lungo da sovrapporsi alla nostra, e il periodo di sovrapposizione non deve essere troppo breve. L’universo è grande, quindi potenzialmente c’è posto per tutti, ma è così grande che attraversarne anche solo una piccola parte richiede un tempo quasi inimmaginabile.
Occorre insomma che si verifichi una sorta di doppia o tripla contemporaneità. Loro devono sviluppare una civiltà tecnologica contemporaneamente a noi, nell’ipotesi molto verosimile che le civiltà, soprattutto quelle molto avanzate, abbiano una durata limitata. La loro civiltà deve durare cioè tanto a lungo da sovrapporsi alla nostra, e il periodo di sovrapposizione non deve essere troppo breve. L’universo è grande, quindi potenzialmente c’è posto per tutti, ma è così grande che attraversarne anche solo una piccola parte richiede un tempo quasi inimmaginabile.
Occorre quindi avere il tempo per affrontare un viaggio intergalattico per arrivare a incontrarsi. In conclusione sarà comunque molto difficile avere un contatto materiale, anche se certamente non impossibile. Occorre che «quelli là» esistano e che «si sbrighino» a raggiungere un rispettabile livello tecnologico. Solo a queste condizioni l’incontro potrà avvenire. Fra mille, duemila o diecimila anni? Impossibile dirlo.
Da notare che in tutti questi discorsi è nascosto un interrogativo veramente velenoso: quanto può durare la nostra tecnologia e quanto potremo durare noi? Per calcolare la probabilità di un vero incontro, anche solo via onde radio, questa valutazione è fondamentale, ma fa girare la testa solo a pensarla, una cosa del genere. È possibile immaginare la nostra fine? Possiamo immaginare un mondo senza uomini? Leopardi ci provò nel Dialogo di un folletto e di uno gnomo. Gli uomini sono tutti morti e i due protagonisti parlano dell’ evento, definendolo un «caso da gazzette», che ovviamente non ci sono più. Ma «la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non sono stanchi di correre, e il mare, ancorché non abbia più da servire alla navigazione e al traffico, non si vede che si rasciughi».
Ma noi non ci saremo. Da brivido, anche se questo non è l’unico elemento che fa girare la testa in tutta l’argomentazione relativa alla vita «altra» nello spazio. Tutti i numeri sono impressionanti, dalla quantità di galassie nel cosmo a quella di stelle presenti in una galassia, dalle distanze fra le varie regioni del cielo agli anni che sono trascorsi dall’ inizio del tutto. Si tratta di una lettura edificante e che dovrebbe servire a porre nella giusta prospettiva la meschinità di molte delle nostre preoccupazioni quotidiane e delle nostre «battaglie», così appassionatamente presenti alla nostra mente e così ardentemente combattute. Le considerazioni presentate in questo libro, e più in generale la contemplazione del cielo e della sua immensità, costituiscono da sempre il miglior antidoto possibile all’ animosità di molte nostre controversie e beghe giornaliere. O almeno così dovrebbe essere.
Ma insomma gli extraterrestri esistono o non esistono, a prescindere dal loro livello di evoluzione e di civiltà? Non lo sa nessuno. Ci sono altrettante buone ragioni per pensare di sì come per pensare di no. A favore di una risposta positiva milita l’enormità di molti numeri. Le stelle presenti nell’universo sono un numero con più di venti cifre e una loro consistente frazione sembra avere pianeti intorno a sé. L’universo stesso ha più di tredici miliardi di anni e dovrebbe campare ancora almeno tre volte tanto, anche se il Sole non ne ha per più di quattro-cinque miliardi di anni. Possibile che in tutta questa abbondanza non ci sia spazio per la vita? Contro questa eventualità milita una nostra valutazione dell’improbabilità del fenomeno vita. Il numero di forme di vita possibili nasce quindi dal prodotto di un numero grandissimo per uno piccolissimo. Questa operazione non può dare meno di 1, perché noi esistiamo, ma può dare appunto soltanto 1 oppure 2, 5, 10 o anche di più.
Tutto questo è diligentemente esposto nel libro. Non poteva essere diversamente, dato che a parlare è uno scienziato, ma questo gli fa molto onore perché so per esperienza quanto sia difficile mantenere l’obbiettività su un tema così appassionante. Conosco gente che giura che gli extraterrestri esistono e altra che giura in maniera altrettanto convinta che non esistono. Ognuno ci può proiettare le proprie paure e le proprie aspettative, ma come la prenderemmo se ci fossero davvero e un bel giorno si facessero vivi?
Da notare che in tutti questi discorsi è nascosto un interrogativo veramente velenoso: quanto può durare la nostra tecnologia e quanto potremo durare noi? Per calcolare la probabilità di un vero incontro, anche solo via onde radio, questa valutazione è fondamentale, ma fa girare la testa solo a pensarla, una cosa del genere. È possibile immaginare la nostra fine? Possiamo immaginare un mondo senza uomini? Leopardi ci provò nel Dialogo di un folletto e di uno gnomo. Gli uomini sono tutti morti e i due protagonisti parlano dell’ evento, definendolo un «caso da gazzette», che ovviamente non ci sono più. Ma «la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non sono stanchi di correre, e il mare, ancorché non abbia più da servire alla navigazione e al traffico, non si vede che si rasciughi».
Ma noi non ci saremo. Da brivido, anche se questo non è l’unico elemento che fa girare la testa in tutta l’argomentazione relativa alla vita «altra» nello spazio. Tutti i numeri sono impressionanti, dalla quantità di galassie nel cosmo a quella di stelle presenti in una galassia, dalle distanze fra le varie regioni del cielo agli anni che sono trascorsi dall’ inizio del tutto. Si tratta di una lettura edificante e che dovrebbe servire a porre nella giusta prospettiva la meschinità di molte delle nostre preoccupazioni quotidiane e delle nostre «battaglie», così appassionatamente presenti alla nostra mente e così ardentemente combattute. Le considerazioni presentate in questo libro, e più in generale la contemplazione del cielo e della sua immensità, costituiscono da sempre il miglior antidoto possibile all’ animosità di molte nostre controversie e beghe giornaliere. O almeno così dovrebbe essere.
Ma insomma gli extraterrestri esistono o non esistono, a prescindere dal loro livello di evoluzione e di civiltà? Non lo sa nessuno. Ci sono altrettante buone ragioni per pensare di sì come per pensare di no. A favore di una risposta positiva milita l’enormità di molti numeri. Le stelle presenti nell’universo sono un numero con più di venti cifre e una loro consistente frazione sembra avere pianeti intorno a sé. L’universo stesso ha più di tredici miliardi di anni e dovrebbe campare ancora almeno tre volte tanto, anche se il Sole non ne ha per più di quattro-cinque miliardi di anni. Possibile che in tutta questa abbondanza non ci sia spazio per la vita? Contro questa eventualità milita una nostra valutazione dell’improbabilità del fenomeno vita. Il numero di forme di vita possibili nasce quindi dal prodotto di un numero grandissimo per uno piccolissimo. Questa operazione non può dare meno di 1, perché noi esistiamo, ma può dare appunto soltanto 1 oppure 2, 5, 10 o anche di più.
Tutto questo è diligentemente esposto nel libro. Non poteva essere diversamente, dato che a parlare è uno scienziato, ma questo gli fa molto onore perché so per esperienza quanto sia difficile mantenere l’obbiettività su un tema così appassionante. Conosco gente che giura che gli extraterrestri esistono e altra che giura in maniera altrettanto convinta che non esistono. Ognuno ci può proiettare le proprie paure e le proprie aspettative, ma come la prenderemmo se ci fossero davvero e un bel giorno si facessero vivi?