Avvenire, 9 novembre 2010, di Roberto I. Zanini
Superficialità, autoreferenzialità, sensazionalismo. Anche gli scienziati che fanno divulgazione sembrano scadere negli stessi grandi difetti della comunicazione di massa. Il risultato è che troppo spesso si assiste a roboanti affermazioni di grandi scoperte scientifiche che nei fatti risultano molto meno roboanti di quanto vogliono apparire.
E, soprattutto, i libri che le divulgano non forniscono al lettore gli strumenti idonei per comprendere ciò che realmente è scoperta attinente alla scienza, per distinguerla da quelle che, invece, sono le deduzione filosofiche e ideologiche dell’autore. Insomma, «mentre quasi ogni settimana scopriamo che qualcuno ha scoperto la galassia più lontana, la stella più massiccia, il pianeta più simile alla Terra o addirittura la “particella di Dio”… sempre più di rado si cerca di spiegare il senso di ciò che di veramente nuovo la scienza apprende».L’annotazione è di Piero Benvenuti, astrofisico dell’Università di Padova, ed è uno degli spunti di discussione della tavola rotonda che si tiene oggi, proprio a Padova, presso la Facoltà teologica del Triveneto, sul tema “L’universo non ha bisogno di Dio?”. Domanda tornata di grande attualità in seguito alla recente pubblicazione del libro The Grand Design, del fisico inglese Stephen Hawking, preceduta, appunto, da esternazioni mediatiche secondo le quali «la filosofia è morta e non è necessario ricorrere a Dio per dare inizio all’universo».
In sostanza, partendo dalle recenti dimostrazioni scientifiche dell’espansione accelerata dell’universo, Hawking propone una sorta di ritorno a una concezione della scienza come strumento assoluto di conoscenza e di lettura del mondo, dalle origini ai nostri giorni, mediante quella che lui chiama la Teoria del tutto, intesa come sistema teorico che spiega se stesso senza bisogno di riferimenti esterni.
Al dibattito, coordinato da Benvenuti, partecipano un filosofo che si definisce «non credente», un fisico agnostico, ma che per sua ammissione combatte «ogni scientismo», e un teologo laureato in Fisica. Si tratta di Ermanno Bencivenga dell’Università di Irvine in California, di Silvio Bergia dell’Università di Bologna e di Simone Morandini che insegnaTeologia della creazione alla Facoltà teologica del Triveneto. La cosa singolare è che tutti e tre sono convinti che una teoria scientifica, per quanto perfetta, è sempre limitata e non può stabilire o negare l’esistenza di un Creatore, se non erigendo la teoria stessa alla dignità di fede.Il fisico Silvio Bergia è addirittura apodittico nel suo giudizio: «Bisognerebbe ricordare, a chi propone una teoria capace, a suo dire, di spiegare ogni cosa e per sempre, che proprio la scoperta dell’espansione accelerata dell’universo è lì a insegnarci che la ricerca non è mai finita». Dal canto suo Ermanno Bencivenga usa le armi della logica filosofica per sostenere quello che ogni persona di buon senso dovrebbe sapere e cioè che «una teoria scientifica non può mai essere verificata e il meglio che ci si possa aspettare da essa è che fornisca un quadro coerente all’interno del quale raccogliere i dati. Senza considerare che gli studi di Kurt Gódel ci dicono che neppure la sua coerenza può essere dimostrata».
L’unica cosa che resta, quindi, è la possibilità di impegnarsi nei confronti dei principi teorizzati «con un atteggiamento simile alla fede».
E allora, come suggerisce Benvenuti, c’è un limite oltre cui lo scienziato deve essere cosciente di non poter indagare con le armi della scienza, «di fronte al quale la fisica deve avere l’umiltà di lasciare campo alla metafisica». Un limite che non può essere intaccato dalle scoperte scientifiche, anche se rivoluzionarie. «Ciò che non si vuol comprendere – sottolinea Simone Morandini– è che quando il credente parla di Dio Creatore, confessa in Lui la sorgente dell’essere stesso.
Quella potenza amante che opera in modo nascosto, ma non per questo meno reale, proprio all’interno di quel mondo descritto in modo così efficace dalle leggi della scienza».
In sostanza, partendo dalle recenti dimostrazioni scientifiche dell’espansione accelerata dell’universo, Hawking propone una sorta di ritorno a una concezione della scienza come strumento assoluto di conoscenza e di lettura del mondo, dalle origini ai nostri giorni, mediante quella che lui chiama la Teoria del tutto, intesa come sistema teorico che spiega se stesso senza bisogno di riferimenti esterni.
Al dibattito, coordinato da Benvenuti, partecipano un filosofo che si definisce «non credente», un fisico agnostico, ma che per sua ammissione combatte «ogni scientismo», e un teologo laureato in Fisica. Si tratta di Ermanno Bencivenga dell’Università di Irvine in California, di Silvio Bergia dell’Università di Bologna e di Simone Morandini che insegnaTeologia della creazione alla Facoltà teologica del Triveneto. La cosa singolare è che tutti e tre sono convinti che una teoria scientifica, per quanto perfetta, è sempre limitata e non può stabilire o negare l’esistenza di un Creatore, se non erigendo la teoria stessa alla dignità di fede.Il fisico Silvio Bergia è addirittura apodittico nel suo giudizio: «Bisognerebbe ricordare, a chi propone una teoria capace, a suo dire, di spiegare ogni cosa e per sempre, che proprio la scoperta dell’espansione accelerata dell’universo è lì a insegnarci che la ricerca non è mai finita». Dal canto suo Ermanno Bencivenga usa le armi della logica filosofica per sostenere quello che ogni persona di buon senso dovrebbe sapere e cioè che «una teoria scientifica non può mai essere verificata e il meglio che ci si possa aspettare da essa è che fornisca un quadro coerente all’interno del quale raccogliere i dati. Senza considerare che gli studi di Kurt Gódel ci dicono che neppure la sua coerenza può essere dimostrata».
L’unica cosa che resta, quindi, è la possibilità di impegnarsi nei confronti dei principi teorizzati «con un atteggiamento simile alla fede».
E allora, come suggerisce Benvenuti, c’è un limite oltre cui lo scienziato deve essere cosciente di non poter indagare con le armi della scienza, «di fronte al quale la fisica deve avere l’umiltà di lasciare campo alla metafisica». Un limite che non può essere intaccato dalle scoperte scientifiche, anche se rivoluzionarie. «Ciò che non si vuol comprendere – sottolinea Simone Morandini– è che quando il credente parla di Dio Creatore, confessa in Lui la sorgente dell’essere stesso.
Quella potenza amante che opera in modo nascosto, ma non per questo meno reale, proprio all’interno di quel mondo descritto in modo così efficace dalle leggi della scienza».