Fiorenzo Facchini, L’osservatore Romano, 31 ottobre 2008
Nel 2009 le celebrazioni galileiane per l’anno dedicato all’astronomia e gli anniversari darwiniani – bicentenario della nascita di Charles Darwin e centocinquantesimo della pubblicazione di Le origini delle specie – offriranno occasione di riprendere i grandi temi della evoluzione dell’universo e della vita nel quadro dei rapporti tra scienza e fede.
Le origini dell’universo interpellano cosmologi, filosofi e teologi. Il tema riguarda anche i cambiamenti che si sono susseguiti, dagli inizi fino al presente, e quelli prevedibili per il futuro. Le origini della vita sulla terra, e i processi che si svilupparono fino alla comparsa dell’uomo, interessano pure scienziati, filosofi e teologi sotto diversi profili. Si tratta di tematiche complesse che richiedono prospettive distinte, ma complementari.
Un rischio che si corre, ed è alla origine di tante incomprensioni e conflitti, è la pretesa di rispondere a tutte le domande che si pongono utilizzando unicamente le proprie particolari metodologie ed escludendo altri orizzonti, facendo così assumere al proprio punto di vista un carattere totalizzante. A volte non c’è una esclusione esplicita, ma di fatto non vengono considerate o vengono ritenute superflue altre posizioni. In questo modo si compie un’autolimitazione nella sfera della conoscenza. Ciò si verifica anche quando sia scienziati che filosofi dichiarano di non volersi occupare di questioni di senso o di significato.
Spesso l’evoluzione e la creazione vengono considerati come poli contrapposti. Ma sulla loro conciliabilità si registrano numerosi interventi degli ultimi Papi, che riguardano affermazioni di principio sul significato della creazione, sul rapporto di tutta la realtà, anche nei suoi processi evolutivi, con il Creatore secondo un suo disegno, e sulla dimensione spirituale dell’uomo, lasciando aperto il campo delle modalità agli approfondimenti e alle interpretazioni degli studiosi. Di fatto le posizioni, sia in campo cattolico che fuori, sono piuttosto diverse.
Una, che si ricollega a un atteggiamento largamente presente nel mondo scientifico e nel mondo religioso dell’Ottocento, e spesso riemerge, è quella del conflitto. Da una parte si assiste al rifiuto della dimensione trascendente e alla pretesa di spiegare tutta la realtà con le conquiste della scienza, come avviene nel naturalismo darwiniano. Secondo alcuni il darwinismo emancipa la natura dall’ipotesi-Dio, di cui non c’è più bisogno. È una estensione della visione evolutiva non richiesta dalla teoria evolutiva, neppure nella versione darwiniana; essa assume i connotati di una ideologia e come tale va considerata: non come scienza.
Dall’altra parte si registra la difesa a oltranza della creazione secondo l’interpretazione letterale dei primi capitoli della Genesi, oppure, per affermare il principio della creazione, vengono contestate le vedute evoluzionistiche della scienza. Questa contrapposizione non è risolta, ma anzi sembra alimentarsi delle recenti proposte della teoria dell’Intelligent Design, importata dagli Stati Uniti che vuole mettere insieme sia l’idea di creazione e sia quella di evoluzione; ma in modo improprio. Ci sarebbe un disegno intelligente dietro tutta l’evoluzione della vita. Per spiegare strutture considerate irriducibilmente complesse che si formano nel corso evolutivo si ricorre a specifici interventi di una causa esterna. Così viene vista in qualche ambiente cattolico la conciliabilità tra scienza e fede in ordine all’evoluzione attraverso interventi particolari volti a realizzare un disegno. Come osservato in altra occasione, anche su queste colonne, la conciliabilità non dovrebbe basarsi su ipotesi fuorvianti, non fondate scientificamente, che prestano il fianco a nuove polemiche. Si rinnovano infatti le accuse di indebita intromissione da parte della religione. Si agitano fantasmi di nuovi dogmi e così via. Certo, un disegno sulla creazione viene affermato nella dottrina della Chiesa, ma non agganciamolo alla teoria americana dell’Intelligent Design creando nuovi equivoci. Non ce n’è bisogno. Come si sia realizzato questo disegno è oggetto di riflessione, ma senza mescolare indebitamente i piani di conoscenza. Esso va visto in quella autonomia che Dio lascia alla natura e ha ancora tanti aspetti da scoprire. Possono esservi potenzialità che ancora non conosciamo e vanno esplorate dalla scienza e dalla filosofia. Alcuni parlano di evoluzione canalizzata – per quali fattori? Diverso è il caso dell’uomo per il quale la presenza dello spirito, ai suoi inizi, come in ogni generazione, comporta una concausalità di ordine superiore. Ciò non per spiegare la complessità della struttura biologica umana, ma per ragioni di ordine ontologico. Il discorso è complesso, perché mette in relazione ambiti diversi.
Ma a parte queste considerazioni, lo scontro fra evoluzionisti e creazionisti ad oltranza non giova al dialogo. Esso si alimenta di argomentazioni di tipo totalizzante e non aiuta nella ricerca della verità. A volte degrada nella derisione e nel disprezzo.
Perché il dibattito non assuma il carattere di scontro diventa importante che ciascuno riconosca l’ambito specifico in cui intende muoversi ed espliciti le sue posizioni che possono includere elementi di ordine scientifico e argomentazioni di ordine filosofico o teologico.
Un’altra posizione sul tema evoluzione e creazione è quella che vede nelle vedute della scienza e in quelle della fede due ambiti ben distinti e non comunicanti, due magisteri indipendenti, come affermava Stephen Gould, ognuno con le sue verità. Una posizione rispettosa, ma poco dialogante, avvicinabile a un dialogo tra sordi. Questa posizione non aiuta una fede pensata e può favorire atteggiamenti fideistici.
Una terza posizione è quella che, nel rispetto delle autonomie di campo e di metodo, ammette e cerca punti di contatto sia nella necessaria mediazione filosofica, per quanto attiene i principi della logica, sia cercando di allargare gli orizzonti della conoscenza sulla base di istanze che possono venire dallo studio della natura. Mi sembra che vada in questa direzione l’appello che Benedetto XVI raccoglie dalla razionalità della natura – nei giorni scorsi ha parlato di “intelligibilità della creazione” – verso una mente superiore. Questa apertura si accorda con la necessità di un sapere unitario della persona e di una visione della realtà che non si chiuda nell’unico orizzonte delle scienze positive. Ciò per rispondere alle diverse domande, specialmente a quelle di significato, che sorgono dalla realtà. Si può ricercare un’armonia che si riallaccia alla forza della verità, un compito arduo, ma non impossibile alla mente umana tenendo conto dei diversi approcci conoscitivi.
In questa direzione vanno alcune vedute a carattere più filosofico. Pierre Teilhard de Chardin parla di energia radiale o psichica che muove la materia verso strutture via via più complesse. Jean Guitton ammette una tendenza della materia a organizzarsi per andare verso stati più ordinati e complessi. Francisco J. Ayala ritiene che anche attraverso eventi casuali possa realizzarsi di fatto un disegno. Francis Collins pensa al “BioLogos”, in cui Dio, che è fuori dallo spazio e dal tempo, usa il processo della evoluzione per trarne un piano creativo. Diventa importante la mediazione filosofica in ordine alla causalità efficiente e alla causa finale dell’evoluzione – a partire dalla teleologia interna a livello di strutture o teleonomia, secondo Jacques Monod – come pure per la spiegazione del carattere trascendente dell’uomo. L’intento del dialogo dovrebbe essere quello di arrivare a una composizione armonica delle conoscenze. Se “le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Iddio”, come sottolinea il Vaticano ii (Lumen gentium, 36), dovranno esserci punti di contatto e insieme rimanderanno alla loro fonte.
L’evoluzione può diventare terreno di incontro tra scienza e fede. Non solo conciliabilità, ma complementarità e armonia.