Una cara amica che lavora nella filiale americana della AREVA, il consorzio franco-tedesco che costruisce centrali nucleari, qualche giorno fa ci ha girato per conoscenza un comunicato interno della sua azienda di tono piuttosto compiaciuto, emesso a valle degli accordi presi a Roma il 24 febbraio fra i governi italiano e francese, e fra le aziende EDF ed ENEL, per la possibile costruzione in Italia di quattro reattori nucleari EPR (European Pressurized Reactor), prodotti appunto dalla AREVA.
A dir la verità questo comunicato, al di là dei toni un po’ trionfalistici di circostanza, non manca di realismo, in quanto in una noticina a piè di pagina precisa che “la realizzazione degli accordi è soggetta agli sviluppi del quadro legislativo e regolatorio italiano”, che è un modo elegante per dire che su quando questi reattori potranno essere veramente realizzati, non è ancora possibile fare previsioni.
AREVA é sicuramente ben cosciente che la ripresa del nucleare in Italia è una operazione ancora piena di incognite, e che trattare con due grandi ex-monopolisti elettrici quali EDF e ENEL, che a tutt’oggi fanno ancora molta fatica a comportarsi come delle aziende normali, presenta molte opportunità, ma anche molti rischi.
ENEL, in particolare, ha in passato, creato molti problemi ai costruttori con cui ha interagito in campo nucleare (seguendo i capricci della politica italiana, ha molto contribuito alla distruzione del – un tempo fiorente- settore nazionale elettromeccanico, che non si è più ripreso dopo le perdite dovute all’abbandono dei programmi nucleari degli anni ’80). Ma tant’è, AREVA è un’azienda che realizza in tutto il mondo impianti che valgono ognuno miliardi di euro, e alla fine saprà sicuramente come cavarsela, e saprà trarre profitti dalla ripresa mondiale del settore nucleare. Non si può comunque fare a meno di sottolineare che alcune difficoltà che al momento AREVA dimostra di soffrire, sono una chiara indicazione che in questa ripresa non mancano ovunque i problemi. Così, per i forti ritardi nella costruzione del reattore EPR finlandese di Olkiluoto, che guarda caso scontano principalmente problemi e incomprensioni con il locale committente (la contesa è finita in tribunale), nel 2008, pur a fronte di un buon aumento del fatturato, la società ha dovuto notevolmente ridurre il suo margine operativo (-44%) ed i suoi utili (-20%).
Comunque, il mercato nucleare mondiale sta veramente dando segni di ripartire, dopo decenni di stasi, e lo spazio sembra abbastanza vasto da consentire la convivenza di più soggetti e di più tecnologie. Ne é per esempio un segnale il fatto che la società nippo-americana Toshiba America Nuclear Energy fornirà, secondo un recentissimo accordo, due nuovi reattori ABWR (Advanced Boiling Water Reactor, evoluzione dei reattori BWR della General Electric) da 1400 MW ad una compagnia elettrica texana (gli impianti entreranno comunque in servizio prima di 7-8 anni).
Anche i russi stanno tentando di rientrare nel giro: è di questi giorni un accordo fra l’azienda nucleare russa Rosatom e la tedesca Siemens per la costituzione di una joint-venture per sviluppare la tecnologia russa dei reattori ad acqua pressurizzata, anche se con area di intervento per il momento limitata ai paesi dell’ex-blocco sovietico.
Se a livello complessivo ci pare un bene che siano disponibili diverse soluzioni tecnologiche, l’aumento delle possibilità di scelta può essere una tentazione molto pericolosa per l’Italia, che dovrebbe assolutamente evitare la proliferazione delle tecnologie, che caratterizzò il nostro passato nucleare, e puntare sulle economie di scala e sulle semplificazioni gestionali di un progetto unico, così come era stato deciso, ancora negli anni ’80, per quello che si chiamava PUN (progetto unificato nucleare).
Purtroppo si stanno già moltiplicando i segnali che l’unificazione non sarà una strada facile da percorrere. E come sempre in questi casi si ammantano i discorsi di questioni di principio, come la salvaguardia della concorrenza. E’ il caso per esempio di un recente intervento del prof. Lombardi, del Politecnico di Milano, senior advisor di Energy Lab (la società partecipata dalla Regione Lombardia, dalle fondazioni AEM ed Edison, e dalle Università milanesi), il quale commentando positivamente l’intesa ENEL-EDF ha però detto che “…l’intesa non può essere esclusiva. L’assenza di esclusività, come peraltro sembra essere, è fondamentale perché altrimenti verrebbe meno la concorrenza nel mercato e la possibilità di effettuare scelte alternative, che potrebbero risultare più convenienti in certe situazioni”.
In realtà questa posizione del prof. Lombardi rischia di essere solo una legittima, ma superflua, difesa degli interessi della ANSALDO, che come è noto è legata al gruppo Westinghouse-Toshiba, ed al progetto alternativo di reattore AP1000. A noi sembra che se c’è una questione di principio da difendere, non é tanto quella della concorrenza, quanto quella della unificazione dei progetti, che é la strada più razionale per un paese come l’Italia che sicuramente non costruirà decine, ma, se va bene, solo 6-7 centrali nucleari, e che non può permettersi di disperdere le forze. Ma per seguire questa strada bisogna fare una scelta precisa, sicuramente non facile perché le soluzioni tecniche offerte dal mercato sono altrettanto valide.
Certo, scegliere qui da noi è sempre stata una cosa difficilissima. Scegliere sarebbe il compito tipico di uomini politici veramente capaci ed accorti, che invece spesso preferiscono schierarsi con l’uno o con l’altro, magari con la scusa che così si fa lavorare tutti. Ma il lavoro per tutti ci sarebbe ugualmente, a condizione che i politici si preoccupassero di favorire e pretendere la stipula di buoni accordi di compensazione industriale, come si fa per esempio in campo aeronautico, in modo che tutta la nostra industria lavori anche se non venisse scelta la tecnologia che le é più familiare.
Certo in questo caso ci sarebbero più galline ed un solo gallo, ma per restare nella metafora, alla massaia italiana interessano le uova, non tanto i chicchirichì.