“C’è un buco e non è il black hole”

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Ginevra Ferroni, La Stampa, Tuttoscienze, 22 ottobre 2008
«I fisici sono sognatori e, di certo, l’inaugurazione ufficiale dell’acceleratore LHC, ieri, non ha provocato in nessuno di loro un brivido di gioia paragonabile a quello provato il 10 settembre, giorno del primo collaudo della macchina. Però tutti speravano che la sfilata di politici e personalità, venute a rendere omaggio allo strumento più sofisticato mai costruito, trovasse l’acceleratore di Ginevra in un migliore stato di salute, almeno non chiuso per riparazioni.

Fernando Ferroni, lei lavora per l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ed è a capo dellacommissione che si occupa della fisica con gli acceleratori, dunque del contributo italiano a LHC. Sergio Bertolucci, eletto alla seconda più importante carica del Cern, ha commentato che, «invece di un buco nero, abbiamo fatto un buco nell’LHC »: che cosa è successo?

«Si è realizzato l’incubo più concreto, quello di un guasto tecnico. È venuto meno il collegamento elettrico tra due dei magneti dell’acceleratore: li possiamo immaginare come una fila di colossali pezzi di Lego da 35 tonnellate ciascuno e la rottura ha provocato la fuoriuscita di parte dell’elio liquido, che si trovava nella cavità delimitata dai magneti, e una conseguente onda di pressione».

Quanto è grave la situazione?
«Il problema non è gravissimo, anche se per riparare un guasto di questo tipo occorrono settimane. Il punto più importante, però, è essere certi che nulla del genere si ripeta e per questo, probabilmente, staremo fermi almeno fino ad aprile. Dobbiamo anche valutare la possibilità di rivedere qualche sistema di sicurezza nell’acceleratore e in questo caso potremmo dover stare fermi fino all’estate».

Dopo l’entusiasmo del collaudo, la delusione del «buco nell’acceleratore»: com’è ora il morale?
«Certo, quanto successo non ci fa piacere. Il collaudo era andato straordinariamente bene e il Cern era stato coraggioso a farlo in pubblico: di norma l’accensione di queste macchine si fa a porte chiuse, perché è abbastanza normale che le operazioni di via di strumenti tanto complessi richiedano tempo e aggiustamenti. Il successo del 10 settembre ci aveva elettrizzati, ma sapevamo che la probabilità di guasti nei primi tempi di funzionamento restava altissima».

Al Fermilab di Chicago si trova un altro acceleratore, il secondo dopo LHC: il Tevatron. Anche questa macchina ha avuto una storia difficile, eppure è proprio lei a costituire una sfida per voi del Cern. Siete preoccupati?
«È in funzione da 25 anni e ha avuto una partenza lenta, caratterizzata da infiniti problemi tecnici. Oggi però funziona al meglio e a mio avviso nei prossimi due anni i fisici avranno concrete speranze di osservare la presenza del bosone di Higgs, la particella che costituisce il principale obiettivo di ricerca di LHC. C’è quindi il rischio che oltreoceano riescano ad afferrare l’inafferrabile bosone prima di noi, soprattutto se LHC tardasse a tornare in funzione. Dobbiamo anche tenere conto che individuare l’Higgs è come cercare un ago in un pagliaio: secondo i calcoli, LHC dovrebbe produrne uno ogni 100 miliardi di “altre particelle” e una caccia al tesoro di questo genere può riuscire solo avendo acquisito una perfetta padronanza della macchina, cosa che pure prenderà tempo».
Se il Tevatron trovasse l’Higgs prima di LHC, sarebbe una grande sconfitta. È così?
«Non ci farebbe piacere, ma la scienza è competitiva e la cosa più importante è l’avanzamento delle conoscenze. Comunque, il Tevatron potrebbe al massimo individuare il bosone di Higgs, ma non potrebbe mai studiarne le caratteristiche: per quello ci vorrà LHC».