Il Sole “malato” si rianima con macchie e tempeste

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Finalmente sul Sole sono apparse le prime macchie solari, chiaro segno dell’inizio di un nuovo ciclo.
Tutto, quindi, nonostante i recenti allarmismi su un indebolimento dell’attività solare, sembra rientrare nella normalità. Una normalità relativa, comunque, in quanto in un passato relativamente recente una diminuzione dell’attività solare (le macchie solari scomparvero), iniziata intorno alla metà del XVII secolo e terminata una settantina di anni dopo, provocò sul nostro pianeta una mini-glaciazione con un abbassamento medio della temperatura di circa 2 gradi. Un fenomeno che, come si è già verificato in passato, potrebbe ancora accadere in futuro.
Da oltre un secolo e mezzo è noto che la nostra stella non è un oggetto stabile e immutabile, ma che la sua attività varia con un periodo la cui ciclicità non è strettamente regolare, ma è compresa tra i 10 e i 12 anni. È il cosiddetto «ciclo solare», di cui è responsabile il campo magnetico che permea la struttura del Sole stesso. Nel corso di questo ciclo il numero medio di macchie solari varia tra un massimo e un minimo. Durante il periodo di minimo dell’attività possono anche trascorrere alcuni mesi senza che sia visibile alcuna macchia (come è successo negli ultimi mesi), mentre durante il massimo è possibile osservare la presenza contemporanea di diversi grandi gruppi di macchie.
Il «numero di Wolf»
Questa regolarità nel comportamento delle macchie solari venne notata per la prima volta verso la fine della metà dell’Ottocento dal tedesco Heinrich Schwabe, ma fu studiato in maniera più sistematica negli anni successivi dall’astronomo svizzero Rudolf Wolf, che introdusse il cosiddetto «numero di Wolf», sul quale, anche adesso, si basa la caratterizzazione dell’attività solare. Questo numero viene calcolato moltiplicando per 10 il numero di gruppi di macchie presenti sul disco solare, aggiungendovi poi il numero di macchie presenti in tutti i gruppi.
L’attività solare si manifesta in svariati modi, oltre alla variazione del numero di macchie, e molti fenomeni osservabili sulla nostra stella manifestano variazioni cicliche undecennali, tra cui la frequenza dei «brillamenti», espulsioni di massa dalla corona solare: sono tutti fenomeni, come le macchie, connessi all’ attività magnetica del Sole. All’aumentare di questa attività corrisponde un incremento nella frequenza di aurore nelle regioni polari del nostro pianeta.
I dati raccolti dalla sonda «Ulysses» ci dicono che il campo magnetico solare si sta indebolendo e, se questo trend dovesse continuare, il flusso di raggi cosmici sarebbe meno schermato e questo produrrebbe un aumento delle nubi nell’ atmosfera terrestre. È stato infatti dimostrato che i raggi cosmici, ionizzando le molecole dell’atmosfera del nostro pianeta contribuiscono alla formazione delle nubi.
Ad un campo magnetico più debole corrisponderebbe, quindi, un maggiore flusso di raggi cosmici con un conseguente aumento di nubi, le quali contribuirebbero a riflettere nello spazio una maggiore quantità di energia solare, bilanciando di conseguenza, almeno in parte, il riscaldamento indotto dalle attività antropiche.
I dati a disposizione e le conoscenze sulle interazioni tra i raggi cosmici, il campo magnetico solare e la loro influenza sul nostro pianeta, sono, tuttavia, ancora così scarse e incerte che trarre adesso delle conclusioni è per lo meno prematuro.