L’azione del governo italiano
Come è noto, il ritorno del nostro paese alla produzione di energia elettrica da fonte nucleare è uno dei programmi qualificanti dell’attuale governo italiano, che ritiene indispensabile questa scelta per riequilibrare il mix delle fonti che alimentano il nostro sistema elettrico ed energetico, attualmente troppo sbilanciato verso le fonti fossili (il gas in particolare).
Il Ministero dello Sviluppo Economico (MSE, guidato da Claudio Scajola), sta lavorando all’obbiettivo dichiarato di iniziare, prima della fine della legislatura, la costruzione della prima di un gruppo di 6-7 nuove centrali nucleari, per una potenza totale di circa 12.000 MW, che dovrebbero permettere, una volta realizzate (non certo subito, ma nel giro di una ventina d’anni), di portare il sistema energetico italiano ad un assetto “50-25-25”, cioè 50% dell’energia da fonti fossili, 25% dal nucleare e 25% da fonti rinnovabili.
E’ anche ben noto che la rimessa in moto della complessa macchina nucleare italiana, dopo un stasi più che ventennale, è un compito tutt’altro che facile.
Ma il ministro Scajola, che sembra andare avanti con molta decisione, ha recentemente ricordato che si sta già lavorando ai decreti attuativi (che si occuperanno di scelta dei siti, compensazioni economiche ai comuni, compiti della Agenzia per la sicurezza, eccetera) e che è al lavoro la commissione di esperti insediata ad ottobre per approfondire varie problematiche.
E’ stata anche appena effettuata una completa riorganizzazione del MSE, che ha visto nascere il nuovo Dipartimento Energia, affidato a Guido Bortoni (proveniente dalla Autorità AEEG), con un settore espressamente dedicato a “Energia nucleare, Rinnovabili ed Efficienza” (diretto da Rosaria Fausta Romano).
Il ministro prevede inoltre che entro la primavera del 2009 verrà organizzata la Conferenza Energetica Nazionale, nella quale tutte le parti politiche e sociali saranno informate sul lavoro fatto dal governo e potranno esprimere le loro opinioni ed esigenze.
Il quadro internazionale
Di ripresa del nucleare si sta intensamente parlando non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti ed in Europa (deve essere chiaro che questo è uno dei motivi fondamentali per i quali se ne riparla anche in Italia). Ad esempio, per citare solo alcune delle novità di questi ultimi tempi, è recentissima la notizia che il governo svedese abolirà la moratoria sulla costruzione di centrali nucleari in vigore dal 1980 ed autorizzerà la sostituzione dei dieci reattori esistenti, in quanto “i cambiamenti climatici fanno del nucleare una fonte importante”. Un ampio dibattito è in corso anche in Francia, nazione notoriamente filonucleare, in vista delle necessità di rinnovo ed ampliamento del vasto parco di centrali nucleari esistenti.
E nella stessa Finlandia, che ha dato il là alla ripresa europea con l’inizio della costruzione, nel 2005, del terzo gruppo della centrale di Olkiluoto, si parla ora di un terzo gruppo da 1000-1800 MW, anche per la centrale di Loviisa, da completare entro il 2020.
La prospettiva di possibili grandi affari sta ovviamente vivacizzando l’interesse delle aziende e del mondo finanziario per il settore nucleare.
Ad esempio, recentemente i gruppo tedesco Siemens ha cercato di aumentare la sua partecipazione azionaria nel consorzio franco-tedesco AREVA che detiene la tecnologia della maggior parte degli impianti nucleari europei, ma ha avuto un diniego dalla componente francese ed ha quindi annunciato di volersi ritirare dal consorzio, pur rimanendo nel settore nucleare. Per uno che si ritira subito altri si fanno avanti, come il gruppo petrolifero francese TOTAL, che per bocca del suo amministratore delegato ha dichiarato di essere fortemente interessato a divenire un vero operatore del settore nucleare, e non solo ad avere partecipazioni finanziarie in esso, partecipando alla gara in corso in Francia per le concessioni governative relative alla costruzione di un secondo, e forse anche di un terzo reattore di terza generazione.
La scelta della filiera italiana
In concomitanza con l’agitarsi delle nazioni e di cotali colossi industriali e finanziari, non c’è quindi troppo da meravigliarsi che si stia riscaldando in Italia la diatriba sulla filiera, cioè su quale tipo di impianto verrà costruito.
Per tale decisione il nostro paese ha teoricamente di fronte la possibilità di scegliere fra i quattro tipi di reattori di “terza generazione” attualmente disponibili sul mercato mondiale:
-EPR (European Pressurized Reactor), un reattore ad acqua leggera pressurizzata, da 1600 MW, costruito dal consorzio franco-tedesco AREVA (formato originariamente dalla azienda francese Framatom e dal gruppo tedesco Siemens, ma in corso di trasformazione)
-AP (Advanced Passive) 1000, un reattore anch’esso ad acqua leggera pressurizzata, ma di minore taglia (1100 MW), proposto dalla Westinghouse Electric Company (WEC), azienda di origine americana, ma nel cui pacchetto azionario la maggioranza è ora detenuta dal colosso giapponese Toshiba
-ESBWR (Economic Simplified Boiling Water Reactor), un reattore ad acqua leggera bollente proposto da General Electric-Hitachi
-ACR (Advanced Candu Reactor) 1000, reattore ad acqua pesante proposto dalla AECL canadese.
A questi si aggiunge, il reattore AES-2006, sviluppato in Russia a partire dai modelli pressurizzati VVER1000; la possibilità che venga adottato questo reattore é forse più teorica che pratica, ma bisogna ricordare che esso è stato adottato in Slovacchia dalla locale azienda elettrica che è stata non molto tempo fa acquisita da ENEL.
Tutti quanti questi progetti costituiscono l’evoluzione di reattori di prima e seconda generazione, ampiamente diffusi nel mondo, che sono stati migliorati soprattutto dal punto di vista della sicurezza e della durata, nonché rinnovati completamente per quanto riguarda le parti a più rapida obsolescenza tecnologica, quali quelle della strumentazione e dell’automazione. Non si tratta, in sostanza, di progetti completamente nuovi, a differenza di quelli della cosiddetta “quarta generazione”, per i quali tutti sono peraltro concordi nell’affermare che non potranno essere disponibili commercialmente prima del 2030-2035.
Ma, molto probabilmente, la scelta italiana si giocherà in realtà solamente fra i due reattori EPR e AP1000, per i seguentii motivi:
– l’EDF (Electricitè de France) ha già scelto l’EPR come progetto per il rinnovo/ampliamento del parco di centrali nucleari francesi ; da tener presente che questa scelta molto probabilmente si estenderà anche al rinnovo del parco centrali nucleari inglesi, dopo la recente acquisizione da parte di EDF, di British Energy (BE), la società che gestisce il nucleare britannico.
– l’ENEL ha stipulato un accordo con la EDF per una partecipazione del 12,5% nella costruzione di un reattore EPR già iniziata presso il sito francese di Flamanville; e ha una opzione per una analoga partecipazione nelle costruzione di ulteriori cinque unità dello stesso tipo; in contraccambio per tale partecipazioni ENEL si è però impegnata a concedere a EDF una specie di prelazione per la partecipazione a progetti nucleari in Italia, anche se pare non sia disposta ad assecondare le scelte tecniche di EDF anche nel nostro paese;
– la seconda azienda elettrica italiana, la Edison, che si è più volte pronunciata a favore del nucleare, e che potrebbe di fatto essere l’unica azienda elettrica italiana a gestire centrali nucleari, in consorzio con ENEL, ha una partecipazione azionaria di EDF di quasi il 20%;
-l’Ansaldo Nucleare (l’unica azienda italiana che ha mantenuto un presidio in questo campo) ha in corso da più di quindici anni una collaborazione con la WEC ed ha partecipato allo sviluppo del reattore AP1000; considerando che la politica di WEC, a differenza di quella del consorzio AREVA, tende maggiormente a trovare partner locali nazionali per la costruzione dei componenti del reattore, la scelta di AP1000 potrebbe forse portare più lavoro all’industria italiana, della scelta dell’ EPR.
In sostanza ci sono molti motivi di incertezza su quale sarà la scelta finale; la diatriba sta nel frattempo molto condizionando il cammino per la formazione del consorzio fra ENEL ed Edison, del quale si sta discutendo da mesi, sia a livello di Governo che di Confindustria. E’ recente a questo proposito la presa di posizione di Antonio Costato, vicepresidente di Confindustria, con delega sull’energia che ad un seminario tenutosi a Milano sul tema “Energia nucleare: analisi del panorama Italiano” ha rilanciato la palla sul governo, affermando che “Il rilancio del nucleare in Italia è una questione politica e va messa su binari precisi, altrimenti non ci si arriva”.
Il problema è complicato dal fatto che in Edison c’è una consistente partecipazione azionaria anche della A2A, l’azienda nata dalla fusione fra AEM Milano ed ASM Brescia, la quale sembra condividere le perplessità dell’ENEL sulla scelta di EPR.
Un evento molto importante nel cammino per la scelta della filiera nucleare italiana sarà probabilmente costituito dal vertice governativo Italia-Francia, previsto per il 24 febbraio 2009 a Roma, nel quale sarà a tema l’offerta francese della soluzione EPR (nei giorni immediatamente precedenti si svolgerà una visita di tecnici italiani agli impianti nucleari d’oltralpe).
E’ probabile che in tale occasione il governo italiano mantenga sulla breccia anche la soluzione AP1000, almeno per avere più contropartite per l’industria nazionale nel caso si scegliesse la soluzione franco-tedesca.
Comunque le cose vadano a finire, quello che c’è fortemente da augurarsi è che al nostro paese vengano risparmiate scelte (o meglio non scelte) salomoniche che ricreino situazioni estremamente poco efficienti e produttive, dal punto di vista tecnico, come quelle del passato nucleare italiano, quando le quattro centrali in funzione erano tutte di tipo differente l’una dall’altra (a questo proposito si veda anche il nostro precedente articolo “Passato e futuro dell’energia nucleare in Italia”, del 14/10/2008).
E’ vero che gli italiani sono creativi, ma in certi campi una uniformità più “tedesca” è preferibile.