Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina 2025

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Il premio Nobel 2025 per la Fisiologia e la Medicina celebra la scoperta della tolleranza periferica, un meccanismo che permette al sistema immunitario di distinguere tra amici e nemici. Una storia di collaborazione scientifica che dimostra come il progresso nasca dall’unione delle menti.

 

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È sempre un tema di collaborazione! È ormai da anni che molti premi Nobel non vengono più assegnati a una singola persona. Quest'anno il premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina è stato infatti assegnato a Mary E. Brunkow, Fred Ramsdell e Shimon Sakaguchi per la scoperta della tolleranza periferica del sistema immunitario.

Ma che cos'è questa tolleranza periferica? Vediamo di fare un po' di chiarezza.

Dobbiamo immaginarci il corpo umano (o, più in generale, un organismo animale) come una cittadina fortificata nella quale la vita è molto intensa: centrali energetiche, aziende di trasporti, fabbriche di vario genere e anche organi decisionali e organizzativi perché tutto funzioni al meglio. Ma tutto questo deve essere mantenuto in sicurezza, e l'ingresso alla città deve essere regolato con attenzione. Per questo esiste un gruppo di agenti di controllo: il sistema immunitario. Le cellule che ne fanno parte sono addestrate continuamente, perché è fondamentale che riconoscano con estrema precisione i nemici, che devono essere eliminati, mentre gli “onesti cittadini” devono poter circolare liberamente per compiere i propri compiti.

A volte capita che una guardia non sia in grado di distinguere i cattivi dai buoni, lasciando entrare i primi e attaccando invece i secondi. Questo è ciò che accade nelle patologie autoimmuni: il sistema immunitario attacca componenti del proprio corpo, scatenando disordini localizzati o generali. Da anni si conosceva il meccanismo di tolleranza centrale nel timo, meccanismo che elimina le cellule del sistema immunitario che attaccano proteine autologhe, cioè prodotte dal corpo stesso, salvaguardando così l’organismo dai suoi stessi errori. Si ipotizzava che questo controllo non fosse sotto l'unica responsabilità di un organo centrale, ma che anche la periferia del corpo fosse regolata da un meccanismo analogo: la tolleranza periferica. E così è stato scoperto. Infatti, esistono cellule chiamate cellule T regolatorie che, come suggerisce il nome, regolano in periferia l'attività del sistema immunitario, ricordandogli quali proteine sono amiche e quali no.

Facciamo ora un passo indietro e cerchiamo di capire l'affascinante storia che ha portato alla scoperta di queste cellule. Tutto ebbe inizio 30 anni fa in un laboratorio giapponese, dove Sakaguchi identificò per la prima volta le cellule T regolatorie. La seconda parte della storia è legata allo studio dei topi scurfy, topi sottoposti a radiazioni che, in modo inaspettato, diedero vita a una mutazione che causava un’aggressione del sistema immunitario contro i propri tessuti, un modello perfetto per approfondire i meccanismi alla base delle malattie autoimmuni. Infatti Brunkow e Ramsdell studiarono questi topi e trovarono il gene responsabile, Foxp3. Inoltre, questi ricercatori sospettarono che la rara malattia autoimmune IPEX, legata al cromosoma X, fosse la controparte umana dei topi scurfy e, nel 2001, identificarono l’equivalente umano di Foxp3. Due anni dopo, Sakaguchi dimostrò che il gene Foxp3 controlla lo sviluppo delle cellule T regolatorie.

La storia di questa scoperta somiglia a un grande mosaico costruito nel tempo, dove ogni tessera è stata posata da mani diverse. Sakaguchi ha avuto il coraggio di iniziare, tracciando il primo pezzo del disegno. Brunkow e Ramsdell, con la pazienza dei pionieri e strumenti lontani dagli standard odierni, hanno aggiunto il tassello genetico che mancava. E solo grazie a questo lavoro intrecciato, Sakaguchi ha potuto completare l’immagine. Nessuno, da solo, avrebbe potuto vedere l’intero quadro: è la cooperazione che ha dato forma alla verità.

Ma come è possibile questa coralità tra gli scienziati? Forse è parte della nostra natura più profonda. Come le cellule del corpo uniscono le forze per proteggere la vita, così gli esseri umani, nel loro tentativo di capire il mondo, scoprono di avere bisogno gli uni degli altri. Il premio Nobel di quest’anno non celebra solo tre nomi, ma un principio universale: il progresso nasce dall’unione, non dall’isolamento. In un’epoca segnata da conflitti, competizione e solitudini, questo riconoscimento ci ricorda che la scienza non è il frutto di un solitario genio, ma il risultato di una comunità che esplora insieme l’ignoto. Collaborare non è soltanto utile: è ciò che ci rende umani.

Simone Assanelli, Associazione Euresis