Gli scienziati del consorzio di ricerca europeo EUROfusion hanno recentemente completato importanti esperimenti sull'energia ottenuta da fusione presso il JET (Joint European Torus), struttura di ricerca europea leader mondiale nella ricerca sulla fusione, a Oxford, nel Regno Unito. I risultati ottenuti sono stati rivelati mercoledì 9 febbraio alle ore 13:00 italiane, in una conferenza stampa (in inglese).
Ne abbiamo parlato con Carlo Sozzi, primo ricercatore presso l'Istituto per la Scienza e Tecnologia dei Plasmi del CNR, sul cui sito è disponibile del materiale informativo in italiano.
Cos'è la fusione?
La fusione è il processo di interazione tra nuclei atomici leggeri - essenzialmente idrogeno -: quando nuclei di idrogeno vengono portati ad una distanza di separazione molto piccola, il che avviene in condizioni di alta temperatura e sufficiente densità, le forze di interazione nucleare entrano in gioco e li fanno fondere in un più pesante nucleo di elio. Questo processo è eso-energetico, cioè produce energia. Ripetuto per un gran numero di nuclei atomici, permette alle stelle di brillare per miliardi di anni.
Il progetto della fusione come esperimento di laboratorio è il tentativo di riprodurre sulla terra questo tipo di fenomeno: fondere insieme atomi leggeri per produrre energia in modo controllato. Un punto chiave di questo processo è trattenere i reagenti in uno spazio confinato tramite un intenso campo magnetico. In futuro speriamo che questo processo ci permetta di produrre energia su scala industriale.
Perché questa energia potrebbe essere così importanti per le sfide energetiche del mondo in cui viviamo?
Ci sono diverse ragioni per cui la fusione è un ottimo candidato per rispondere alle sfide energetiche attuali.
La prima ragione è che il combustibile è largamente disponibile. Si tratta di idrogeno, o meglio di isotopi pesanti dell'idrogeno. Uno di essi è il deuterio, che è una frazione significativa dell'idrogeno che si trova in natura. Da un flusso di alcuni litri all’ora di acqua di mare ogni se ne può estrarre abbastanza per alimentare un reattore. L'altro componente è il trizio, un isotopo dell'idrogeno ancora più pesante, che in realtà non si trova in natura perché è radioattivo (ha una vita media di 17 anni) e decade in un isotopo dell’elio. E’ però possibile produrlo nel reattore stesso a partire dal Litio, che pure è abbondante nella crosta terrestre. Il combustibile della fusione nucleare è quindi costituito da elementi che sono presenti in abbondanza e che sono reperibili ovunque. Questo rende il problema dell'approvvigionamento relativamente facile.
La seconda ragione è che essendo un processo nucleare non produce anidride carbonica né altri gas serra.
La terza ragione è che pur essendo un processo di tipo nucleare e che produce una certa quantità di radioattività - parte del combustibile infatti è radioattivo, inoltre le reazioni di fusione tra deuterio e trizio producono nuclei di elio (stabili) e neutroni che investendo le pareti e i materiali del reattore lo rendono radioattivo - si tratta comunque di un livello di radioattività per quantità di energia prodotta incomparabilmente più bassa in confronto con un reattore a fissione.
Sono tanti anni che ci lavorate. Per molto tempo sembrava non si vedesse un risultato significativo e invece la notizia di oggi è che al JET è stato fatto un esperimento particolare che potrebbe cambiare la rotta di questa ricerca. È proprio così?
È così ma non bisogna far finta che sia una sorpresa. Il JET è l’unico dispositivo attualmente in funzione in grado di fare questo tipo di esperimenti di fusione, nel quale appunto si riscalda ad altissima temperatura (centinaia di milioni di gradi) una miscela di isotopi di idrogeno fino a portarli alla condizione di fusione. Nel senso che è l'unico nel quale si può usare la miscela efficace per le reazioni nucleari, quella che contiene trizio. Dico che questa non deve essere considerata una sorpresa perché viene da uno sviluppo della scienza e della tecnologia che ha richiesto anni e anni di lavoro. Altre tre volte sono stati condotti esperimenti di questo genere, usando una certa quantità di trizio. In particolare nel 1997 al JET ci fu una prima serie di esperimenti con una certa abbondanza di produzione di energia da fusione, però con un approccio che tecnologicamente non si adatta all'uso in un reattore. Dobbiamo infatti distinguere l'esperimento scientifico in cui si fa una prova di principio da un test in cui si provano delle tecnologie che possono effettivamente essere impiegate in un oggetto che vuole essere, in futuro, di carattere industriale.
La novità degli esperimenti di questi mesi è che la parete che circonda il plasma che viene confinato è una parete metallica con una parte in Tungsteno e una parte in Berillio che sono gli stessi materiali che verranno usato nel reattore sperimentale ITER. L’uso di questa parete introduce delle difficoltà aggiuntive, perché può facilmente generare inquinamento del plasma stesso e quindi deteriorarne le prestazioni, ma si è dimostrato che si è in grado di controllare questo inquinamento. Si è ottenuta più energia da fusione che nel passato ma anche in modo più controllato e per un tempo più lungo. Il tempo di durata di questo plasma è limitato a questo punto non da limiti fisici ma dai limiti tecnologici del dispositivo che abbiamo a disposizione. È come avere un motore che può funzionare in quelle condizioni per 5 secondi, e per quei 5 secondi ha prodotto fusione. Tuttavia questo problema della durata limitata si sta già risolvendo utilizzando (in altri dispositivi sperimentali) superconduttori anziché conduttori tradizionali per generare il campo magnetico di confinamento.
Come dicevo quello effettuato in questi mesi è un passo importante di un percorso ben consolidato, nel quale le prossime mosse sono chiare e definite.
Il prossimo passo scientifico e tecnologico sarà il reattore ITER in costruzione nel sud della Francia che entrerà in funzione per i primi test nel 2025, e con il combustibile nucleare intorno al 2035, quindi mancano ancora un po’ di anni a questo passaggio chiave. Diversamente da quanto è accaduto per JET, ITER sarà in grado di produrre più energia da fusione di quanta ne occorre immettere nel reattore per farlo funzionare. Andrà quindi in guadagno di energia.
L'idea di un reattore nucleare può spaventare. C'è qualcosa di pericoloso, inq uesto tipo di ricerca?
Il rischio zero non esiste in nessuna attività umana, neanche andare a passeggio è privo di rischi. La fusione è difficile da realizzare e ci sono voluti tanti anni per arrivare a questo punto proprio perché è un processo non spontaneo sul nostro pianeta, il reattore deve essere accuratamente controllato per funzionare. Questo vuole anche dire però che se sfugge al controllo semplicemente il reattore si spegne e non dà origine al tipo di reazioni a catena incrementali che per esempio hanno prodotto l’incidente di Chernobyl. Lasciato a sé stesso un reattore a fusione semplicemente si spegne. L'altra ragione di sicurezza è che come già dicevo la quantità di combustibile nucleare in un reattore a fusione è enormemente inferiore alla quantità di combustibile nucleare in una centrale a fissione: parliamo di pochi grammi contro molte tonnellate. Quindi anche l’incidente più grave – comunque non realistico - di completa rottura del reattore e completa fuoriuscita del combustibile è in realtà un danno limitato a un’area molto ristretta.
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