Giulio Giorello, Corriere della sera, 22 ottobre 2014
“C’era una questione che veniva a intralciare le mie ipotesi: i tempi non si accordavano». Questa constatazione di Poirot, l’investigatore creato da Agatha Christie, potrebbe farla sua, sconsolatamente, un Newton condannato a rivivere oggi. Aveva dichiarato che «il tempo assoluto fluisce in modo uniforme senza relazione ad alcunché di esterno»; ma nel 1905 un ven- tiseienne impiegato dell’Ufficio Brevetti di Berna mostrò che tale «assoluto» svaniva come un fantasma.
Due osservatori in movimento l’uno rispetto all’altro, Alber- to che sfreccia su un treno e Isacco che resta fermo sulla banchina, non riescono ad «accordarsi» nel giudicare contemporanei due eventi, per esempio l’accendersi di un semaforo presso i binari e il passaggio del vagone in cui Alberto è seduto. Qualsiasi segnale i due si possa- no scambiare, per esempio mediante una pila come nei polizieschi, richiederà sempre un certo tempo per viaggiare dall’uno all’altro.
Einstein (era lui il bizzarro impiegato) aveva fatto propria l’idea di Galileo che nessun esperimento possa rivelare a un osservatore se l’ambiente in cui si trova sia davvero in quiete o si muova di moto rettilineo uniforme; e vi aveva aggiunto il principio «che la luce si propaghi sempre con una determinata velocità che non dipende dallo stato di moto del corpo che la emette». Il tutto aveva conseguenze che sfidavano il senso comune: le lunghezze «si contraggono», i tempi «si dilatano» per il velocissimo Alberto. Come scrive il fisico e biologo Edoardo Boncinelli: «Perché la formulazione delle leggi della natura risulti la stessa, i diversi osservatori dovranno considerare e misurare valori differenti delle varie grandezze. Si ha una validità assoluta delle leggi e una misura relativa di molte grandezza fisiche, come gli intervalli di tempo e le dimensioni dei corpi».
Per quanto corra veloce il treno di Alberto, i nostri sensi non percepiscono tale sottile discrepanza: veniamo da una storia evolutiva in cui essi si sono rive- lati utili per sopravvivere nelle foreste e asservire ai nostri bisogni l’ambiente circostante, sen- za preoccuparsi troppo di altissime velocità, come quella della luce (circa 300 mila chilometri al secondo). Ma negli anni Settanta del secolo scorso i ricercatori Usa hanno collocato due orologi ad alta precisione e perfettamente sincronizzati su due jet di linea, poi decollati dallo stesso aeroporto per un giro intorno alla Terra in direzioni op- poste. All’atterraggio i tempi segnati dai due orologi non si accordavano più: per uno occorreva sommare alla sua velocità quella di rotazione della Terra, per l’altro occorreva sottrarla.
A ciascuno, dunque, il suo tempo. Ma l’articolo di Einstein in cui gettava le basi della relatività speciale era solo l’inizio delle peripezie del concetto di tempo. La relatività generale ha reso ancora più complessa la questione, prospettandoci uno spaziotempo che «come un mollusco» viene deformato dalla materia. Inoltre nel dominio del molto piccolo la fisica quantistica ha rivelato il carattere «granulare» delle grandezze pertinenti, a cominciare dal- l’energia. Non potremmo pensare che a un livello di piccolezza che sfida la nostra immaginazione anche lo spazio sia costituito di grani, o quanti, e che il tempo emerga solo quando si considera un enorme numero di variabili e i loro valori medi? Un po’ come la temperatura di un gas, effetto di superficie del moto disordinato delle molecole che lo compongono? Il tempo non sarebbe altro, dunque, che «conseguenza della nostra ignoranza dei dettagli microfisici del mondo», conclude Carlo Rovelli, tra i maggiori sostenitori della pionieristica concezione della gravità quantistica.
Eppure, per noi piccoli osservatori in un universo immenso il tempo resta quello che «tutto dà e tutto toglie», come diceva Giordano Bruno nel dedicare il suo Candelaio a un’elusiva signora di nome Morgana. Un grande fisico come John Wheeler ha definito il tempo come «il migliore espediente che la natura ha escogitato per impedire che le cose avvengano tutte in una volta». Ed è per questo che abbiamo la forza della passione, la consapevolezza dell’io.