Geni & universo, un nuovo Tommaso?

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Andrea Galli, Avvenire, 27 giugno 2012
Il problema della separazione tra sapere scientifico e riflessione teologica è uno dei temi che stanno più a cuore a Michael Heller, sacerdote e illustre cosmologo nato nel 1936 a Tarnow, in Polonia, membro della Pontificia accademia delle Scienze e della Specola vaticana. Insignito del premio Templeton nel 2008, Heller ha devoluto la somma di denaro ricevuta (un milione e seicentomila dollari) al nuovo Centro Copernico per gli studi interdisciplinari di Cracovia, che ha la scopo di formare personalità che sappiano superare lo iato tra fede e scienza.

E sempre da questo punto dolente prende avvio la stimolante intervista che ha rilasciato a Giulio Brotti, pubblicata dall’editrice La Scuola (Dio e la scienza) e anticipata ieri da “Avvenire”. «Se la conoscenza scientifica è impresa di verità – ed in buona parte lo è, al di là delle inevitabili incompletezze del formalismo scientifico – non può essere ignorata o ridimensionata, semplicemente perché non si sa maneggiarla». Così Giuseppe Tanzella-Nitti, ordinario di Teologia fondamentale alla Pontificia Università della Santa Croce, oltre che ideatore del miglior portale in Italia su scienza e fede, Disf.org, commenta le dichiarazioni di Heller. «Si tratta di una preoccupazione che condivido e di cui ho parlato più volte con Heller, in diverse occasioni. La necessità di un dialogo più fruttuoso fra teologia e pensiero scientifico fu percepita con chiarezza da Giovanni Paolo II e, con linguaggio diverso, è stata espressa a suo tempo anche da Joseph Ratzinger, adesso da Benedetto XVI».

Gianfranco Basti, decano della facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense, dove insegna Filosofia della scienza, nota che «è rinascente, purtroppo, nelle nostre istituzioni accademiche ecclesiastiche una certa insensibilità – dopo il felice periodo degli scorsi vent’anni – verso la ricerca e la pratica scientifica, come se si potesse parlare sensatamente di scienza da parte di filosofi e teologi, senza aver mai, non dico fatto ricerca scientifica, ma neanche collaborato ad un progetto di ricerca scientifica, come invece il sempre più sterminato e multiforme campo della cosiddetta interdisciplinarietà oggi richiede, ma dove le nostre facoltà e istituti ecclesiastici, filosofici e teologici, sono sempre depressivamente assenti».

E sul rischio segnalato dallo scienziato polacco, ovvero che «una teologia disinteressata alle acquisizioni della scienza possa auto-relegarsi ai margini della vita culturale, in un futuro non distante», Basti è tranchant: «Credo che qui Heller pecchi di ottimismo: tutto questo già sta avvenendo sotto i nostri occhi. Quel futuro è già presente. Il grido di dolore di Heller verso una teologia e anche una filosofia delle nostre facoltà ecclesiastiche, fortemente tentate di ripiegarsi su se stesse a “parlarsi addosso” deve farci riflettere. Soprattutto perché le sfide oggi vengono non tanto dalla vera scienza e dai veri scienziati, ma dalla falsa divulgazione scientifica.

Si pensi, per esempio, allo sciocchezzaio mediatico su temi di cosmologia e di genetica di cui vengono sistematicamente nutrite le nostre famiglie, grazie alla televisione. Ma non saper distinguere fra falsa divulgazione scientifica e vera scienza è sintomo di quella mancanza di cultura scientifica che affligge l’Italia, e che è una delle cause del nostro declino, anche economico. Il fatto che, allora, in Italia, sempre gli stessi imbonitori laicisti tengano banco sui media quando si parla di scienza dipende anche e forse soprattutto dalla grave latitanza di pensatori cattolici in grado di porsi autorevolmente a fare da interfaccia fra laboratori e accademia scientifica, da una parte, e opinione pubblica dall’altra».

Registrata la spaccatura, altra questione è però l’impianto filosofico sui cui fare leva per superarla. Tanzella-Nitti ci tiene a sottolineare un fraintendimento in cui sembra cadere il cosmologo polacco: «Dobbiamo ricordare che Aristotele non è Tommaso, né il superamento della fisica aristotelica, al quale Heller fa riferimento nel passaggio in cui ricorda la nascita del metodo scientifico, vuol dire superamento della metafisica o della filosofia della natura. Le scienze della natura si poggiano implicitamente su una filosofia della natura e quest’ultima si poggia implicitamente su un’ontologia.

È probabilmente questo, ridotto all’osso, il suggerimento di Maritain ed è quello che Tommaso stesso ricorderebbe se potesse parlare il linguaggio dei nostri tempi. Il teologo ed il filosofo possono imparare molto dagli uomini di scienza, ma al tempo stesso possono anche aiutarli a riconoscere quella filosofia implicita senza della quale la scienza stessa non potrebbe lavorare. La scienza del XX secolo lo ha confermato, quando essa torna a percepire il “problema dei fondamenti”, ad esempio in cosmologia e nella matematica, oppure quando percepisce l’irriducibilità della vita o l’insufficienza del riduzionismo. Personalmente ritengo che la metafisica di Tommaso d’Aquino, in particolare la filosofia dell’actus essendi e la sua dottrina della causalità, conservino ancora considerevoli virtualità per impostare correttamente il rapporto fra scienze, filosofia e teologia».

Per Basti, anche lui fine conoscitore di Tommaso, non è accettabile confondere costui con la neoscolastica: «Sebbene io sia perfettamente d’accordo con Heller che quello che serve alla teologia e in genere alla cultura è una filosofia completamente nuova, in continuità con la ricerca scientifica, e che affronti da un punto di vista diverso antiche questioni, non sono d’accordo col suo giudizio sulla filosofia tommasiana, da lui identificata con una particolare versione tomista di essa, quella di Jacques Maritain». Sulla strada da percorrere, poi, Basti ricorda l’importanza del filone a cui si è dedicato come pochi altri in Italia, ossia quello di una formalizzazione del discorso filosofico, più precisamente di un ’«ontologia formale» che abbia «basi logiche distinte e complementari da quelle della logica matematica, non correndo così il rischio di cadere nelle secche del riduzionismo neo-positivista».

Sergio Galvan, ordinario di Logica all’Università Cattolica di Milano, partendo dalla provocazione di Heller, sintetizza così la sua posizione: «Concordo apertamente sull’insufficienza dei modelli classici di analisi del rapporto tra fede e scienza. Il modello fideistico, da una parte e il modello neoscolastico, dall’altra». Quale può essere un modello soddisfacente alternativo ai due precedenti? «In accordo con la concezione espressa da Heller, ritengo che un modello epistemologico adeguato debba essere capace di interpretare le istanze di apertura presenti nella scienza e non debba avvallare un’immagine dualistica della realtà che si giustapponga a quella della scienza. In conformità a tale modello il sapere scientifico verrebbe per sua natura ad interagire con un sapere razionale di carattere metascientifico, entro il cui orizzonte sarebbero collocabili anche i contenuti di una fede teologica matura.

Entro il contesto di un simile modello troverebbero, infatti, probabile risposta le istanze di una fede ragionevole, in quanto ogni forma di sapere presuppone qualche forma di fede e, d’altro lato, una fede teologica vissuta e pensata in coesione con l’intero corpus delle proprie credenze razionali, anche scientifiche, sarebbe per ciò stesso ragionevole e quindi giustificata in misura adeguata».