John Polkinghorne, l’Osservatore Romano, 4 Maggio 2012
Pubblichiamo stralci di un articolo (nella traduzione di Serena Spelta e Lorenzo Fazzini) che appare nel numero in uscita della rivista «Vita e Pensiero» dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.Scienza e religione riguardano entrambe l’incontro con la realtà, ma tale incontro avviene su piani differenti, che coinvolgono diversi livelli di esperienza. La scienza esplora una dimensione impersonale della realtà, un regno nel quale l’esperienza può essere manipolata e replicata a piacimento da colui che va a investigare la realtà. La teologia, che è una riflessione di tipo intellettuale sulla religione, ha a che fare con due piani piuttosto diversi di realtà, quello dell’incontro interpersonale a livello umano, e quello dell’incontro trans-personale con la realtà sacra di Dio. In questi campi, il controllo empirico lascia il posto alla fede.
Io credo che la Bibbia non sia un testo scritto sotto dettatura divina nel quale vengono esposte sotto forma di proposizioni logiche tutte le risposte che seguono alla disamina delle questioni della vita, ma sia piuttosto un “quaderno degli appunti” su cui lavorare, nel quale vengono registrati gli atti fondanti dell’auto-manifestazione di Dio nella storia, atti che sono in grado di mediare una ricchezza di esperienza spirituale verso coloro che si aprono alla volontà e alla presenza di Dio.
Scienza e teologia non riguardano solo differenti livelli di incontro con la realtà, ma si focalizzano anche nell’indirizzarsi verso diversi tipi di domande riguardo alla realtà. La ragione per cui scienza e religione sono amiche e non nemiche consiste nel fatto che entrambe sono impegnate nella grande ricerca della verità da parte dell’uomo, raggiungibile attraverso convinzioni fondate. Di conseguenza, si completano l’una con l’altra, piuttosto che essere in conflitto. Ciascuna è competente nel rivolgersi alle questioni che le sono proprie senza bisogno dell’assistenza dell’altra.
Il continuo e necessario dialogo tra scienza e teologia nasce dal fatto che le loro rispettive intuizioni devono essere viste come consonanti le une con le altre, capaci, combinandosi insieme, di fornire una comprensione più estesa e profonda di quanto ciascuna, presa da sola, riuscirebbe a offrire.
Scienza e teologia hanno entrambe bisogno di muoversi all’interno di ciò che si potrebbe chiamare “razionalità aperta”. L’essenza della ragione sta nel conformare il pensiero alla natura effettiva di ciò nel quale consiste quello su cui si sta cercando di riflettere.
Se la scienza ci insegna qualcosa, è che la realtà è spesso sorprendente, manifesta proprietà la cui previsione va al di là delle nostre umane capacità. Qualunque filosofo nel 1899 avrebbe potuto “provare ” l’impossibilità del dualismo onda/particella. Come si poteva supporre che ci fosse qualcosa che si comportava a tratti come un’onda in espansione e in oscillazione, e a tratti come un minuscolo proiettile? Ciononostante si scoprì che la luce si comportava così, e sotto la pressione di questo fatto strano e innegabile i fisici furono alla fine condotti alla scoperta della teoria del campo quantistico.
Uno degli incoraggiamenti più forti ad assumere una visione realistica delle conquiste della scienza è questo suo confronto con l’ostinata insubordinazione della natura, che così spesso si oppone alle nostre aspettative iniziali. Gli scienziati incontrano davvero una realtà indipendente, che si staglia contro di loro nella sua caratteristica peculiarità.
Così la scienza ha reso evidente che qui non c’è alcuna razionalità universale, applicabile in maniera problematica a tutte le entità. La logica aristotelica si applica al mondo delle cose di tutti i giorni, ma deve cedere il passo alla logica quantistica nel regno della realtà subatomica. Similmente non esiste un’epistemologia universale. Gli enti possono essere conosciuti solo nella misura in cui si accordano con la propria natura.
Qualunque tentativo di rigettare il principio di indeterminazione di Heisenberg, pretendendo di conoscere il mondo dei quanti con una chiarezza di stampo newtoniano, è destinato al fallimento. Di conseguenza la domanda spontanea che si dovrebbe fare lo scienziato non è: «È ragionevole?», come se pensassimo di conoscere in anticipo la forma della ragione da acquisire. Lo scienziato si dovrebbe invece chiedere: «Cosa ti fa pensare che potrebbe essere così?», una domanda più aperta e più impegnativa. Essa non cerca di specificare in anticipo la forma che deve assumere una risposta ragionevole, bensì, se emerge qualcosa di sorprendente, un’evidenza fondata dovrà essere offerta come giustificazione.
Credo che la teologia abbia anch’essa bisogno di operare con una razionalità aperta, che faccia uso di quella strategia nella ricerca della verità che mi piace chiamare pensiero “dal basso verso l’alto”: partire da un’esperienza ponderata con accuratezza per giungere a convinzioni ben motivate. Questo contrasta con una strategia “dall’alto verso il basso”, la quale ritiene sia possibile partire da principi generali chiari e certi, da cui far discendere la disamina dei particolari. Il problema connesso a questo secondo approccio è che troppo spesso le idee chiare e certe si sono rivelate essere, sotto la pressione dell’effettivo confronto con la realtà, non così chiare né così certe come si pensava.
La presenza di umanità e divinità nella persona di Cristo è un dualismo più profondo e più complicato del dualismo onda/particella nel caso della luce, ma credo che sia ben motivato dalle esperienze fondative e dalle riflessioni registrate dai testimoni del Nuovo Testamento e dall’esperienza continuativa di culto della Chiesa. La teologia dunque giustamente occupa un posto come elemento essenziale nella grande ricerca da parte dell’umanità della comprensione della verità delle cose raggiunta tramite una valutazione scrupolosa dell’esperienza.
(C) L’Osservatore Romano