LE OSSERVAZIONI – Per capire e vedere i primi momenti della nascita dell’Universo, appena dopo il Big Bang, il grande scoppio da cui tutto ha avuto origine, alla fine degli anni Ottanta (1989) la Nasa lanciava il satellite Cobe. Il suo scopo era raccogliere le anomalie del fondo di radiazione cosmica le quali avrebbero mostrato i semi dai quali si sarebbero poi sviluppate le galassie. Cobe (Cosmic Background Explorer) misurava variazioni minime delle microonde che permeano l’universo la cui esistenza era stata individuata accidentalmente ancora nel 1964 dagli astronomi americani Penzias e Wilson. Il risultato fu straordinario tanto che George Smoot e John Mather i due protagonisti delle osservazioni con Cobe (il primo come astrofisico, il secondo come coordinatore del progetto) ricevettero nel 2006 il premio Nobel per la Fisica. Nel 2001 il primo affresco celeste a radioonde era perfezionato da un altro satellite della Nasa battezzato Wmap-Wilkinson. Ma intanto l’Esa europea aveva messo in cantiere un veicolo spaziale ben più potente capace con i suoi strumenti di compiere un balzo significativo rispetto ai due predecessori americani e cercare risposte più precise sulle origini dell’universo. Gli scienziati italiani partecipavano all’impresa attraverso l’Agenzia spaziale ASI. Così nasceva il satellite Planck di cui è project scientist Jan Tauber, e che ora offre la sua prima dettagliata mappa cosmica. A bordo ci sono due strumenti fondamentali per le osservazioni uno dei quali, il Low Frequency Instrument (LFI) è diretto da Reno Mandolesi alla guida dell’Inaf-Iasf di Bologna. «Mai si era realizzato un quadro del cosmo con nove frequenze diverse, da 30 Ghz a 857 Ghz, raccogliendo indizi e aspetti che prima erano mostrati sono come piccole tessere del grande puzzle celeste – spiega Mandolesi – . I rilevatori di Planck ci mostrano ora in dettaglio regioni importanti come la nebulosa di Orione dove nascono stelle in continuazione, estesi ammassi galattici, evidenzia i particolari della vicina galassia di Andromeda cara alla fantascienza oppure le nubi di Magellano: insomma scrutiamo un insieme di panorami mai scandagliati con queste frequenze. Così abbiamo visto, ad esempio, come dal piano della nostra isola stellare Via Lattea si estendano polveri ben oltre quanto immaginavamo».
GLI OBIETTIVI – Al di là di queste zoomate, però, il satellite Planck punta verso obiettivi e scoperte che potrebbero cambiare l’astronomia delle origini e decifrare meglio la natura che ci circonda. «Vogliamo – aggiunge Mandolesi – capire se il campo di energia che ha creato dopo il Big Bang l’inflazione, cioè quell’espansione durante la quale sarebbero nate le particelle atomiche elementari tra cui il famoso bosone di Higgs, cioè la cosiddetta particella di Dio, da cui dipende la massa delle altre particelle e dunque delle cose. Nell’ipotesi che il campo di energia sia lo stesso, Planck potrà definire con grande accuratezza la massa del bosone a cui i fisici del CERN danno la caccia utilizzando il nuovo super acceleratore LHC. In secondo luogo misureremo con una accuratezza molto superiore a WMAP il livello della radiazione del fondo cosmico, soprattutto nella sua componente polarizzata, e ciò consentirà di vedere in dettaglio ciò che finora era solo una fotografia offuscata. Di sicuro, ciò permetterà scoperte inaspettate addentrandoci bene nelle profondità. Infine preciseremo uno dei grandi misteri cosmici, cioè l’esistenza dell’energia oscura che costituisce il 73% dell’Universo.
Non riusciremo a identificarne la natura ma saremo in grado di valutare la sua presenza e i suoi effetti di accelerazione come mai era stato possibile prima». Se il lontano Cobe aveva portato, pur con la sua semplicità, a scoperte da Nobel, la straordinaria potenza di Planck non sarà certo da meno.