Alfio Di Marco, La Sicilia, 18 giugno 2010
«Le cose tutte quante hanno ordine tra loro e questo è forma che l’universo a Dio fa simigliante… »: così Dante Alighieri in una terzina del Primo canto del «Paradiso». Siamo agli inizi del 1300, quando la visione che l’uomo ha dell’Universo è quella della creazione per uno scopo che discende dalla volontà divina. Dante, quasi folgorato da una forza che di sicuro neanche lui comprese, tracciò 700 anni fa un’immagine che oggi, con sorpresa, ritroviamo nella più avanzata frontiera della cosmologia. Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Sono domande che accompagnano la nostra esistenza e alla quale cerchiamo di dare una risposta attraverso l’uso della scienza.
«Ma la scienza – spiega il fisico Marco Bersanelli – è solo uno strumento con il quale l’uomo cerca di capire tutto ciò che gli sta intorno. Uno strumento che, dunque, da solo non è sufficiente a dare certe risposte se non accompagnato dalla consapevolezza che siamo un elemento infinitamente piccolo dell’Universo che ha la peculiarità d’esserne cosciente».
Docente di Astrofisica all’Università degli Studi di Milano, Bersanelli è uno dei “padri” del progetto Planck Surveyor, il satellite frutto d’una collaborazione internazionale messo in orbita lo scorso anno con l’obiettivo di studiare la radiazione cosmica di fondo, cioè di andare a caccia della luce fossile del Big Bang che 14 miliardi di anni or sono diede il «la» alla formazione dell’Universo.
Ieri Bersanelli ha parlato di questo straordinario viaggio spazio-temporale nell’ambito del corso di Alta formazione al Camplus d’Aragona, in via Ventimiglia a Catania. «All’uomo – spiega lo scienziato – è stato riservato il privilegio della comprensione di quella straordinaria opera che è il creato. Un’opera che ha un linguaggio preciso, quello della matematica. Lo aveva capito Galileo già nel 1609: “Dio ha scritto il libro della Natura nella forma del linguaggio matematico”. L’uomo moderno oggi aggiunge le capacità della tecnologia per avvicinarsi di più alla comprensione di ciò che è comunque solo una piccolissima parte di quello che possiamo toccare e soprattutto vedere».
Già. Vediamo soltanto il 4% dell’energia che permea l’Universo. Il resto, per il 23% è materia oscura che non sappiamo di cosa sia fatta, il restante 70% è quella che si definisce energia oscura. E ne sappiamo ancora meno…
«Le conoscenze di cui oggi l’uomo dispone – continua Bersanelli – ci dicono che la gran parte della materia che compone l’Universo ha una forma che noi ancora non conosciamo. Ce ne rendiamo conto osservando l’azione gravitazionale esercitata da questa materia. Che però non vediamo attraverso la luce o il suo assorbimento: quindi, più che oscura dovremmo chiamarla cristallina, meglio ancora trasparente. Se fosse oscura l’avremmo già vista. Ne percepiamo gli effetti gravitazionali come avviene nella rotazione delle galassie. Possiamo misurarne perfettamente la rotazione e ci rendiamo conto che lungo la loro periferia esistono grandi riserve di materia completamente trasparente. Gli stessi studi sul fondo di microonde ci indicano che questa materia non può essere costituita semplicemente da quel tipo di particelle che noi conosciamo, ma devono essere diverse. Altrimenti non riusciremmo a spiegarci la statistica con cui l’intensità della luce primordiale si presenta a noi. Una delle possibilità è che si tratti di particelle cosiddette “supersimmetriche” e che potremmo avere l’opportunità di evidenziare in maniera diretta con gli esperimenti del Cern. Questo ci porterebbe a un punto di contatto tra l’infinitamente grande e gli esperimenti sull’infinitamente piccolo. La luce cosmica arriva tutta da un unico punto, quello primordiale. La materia che ci circonda, noi stessi, tutto è fatto di polvere di quelle stelle che hanno avuto origine al momento della formazione dell’Universo che da quel momento ha preso a espandersi sempre più velocemente».
Torniamo indietro di 14 miliardi di anni e ci ritroviamo al cospetto di una massa grande come a un’arancia. Ma questa massa dove sta?
«Dobbiamo pensare a questa “arancia” non come a un oggetto che occupa uno spazio vuoto infinito, preesistente, che la circonda. E’ un’immagine scorretta che abbiamo dell’Universo e della sua espansione. Di solito si parla d’una “arancia” come oggetto che si trova in un punto dello spazio e che a un certo punto “esplode”, come si dice erroneamente, proiettando gli schizzi di materia in tutte le direzioni. Nulla di più sbagliato. Se osserviamo oggi l’Universo in espansione e lo riportiamo a 14 miliardi di anni fa, questo si riduce davvero alle dimensioni di un’arancia. Ma lo spazio nella sua interezza va visto in analogia con la superficie della sfera e non con la sfera stessa. Quindi, se io porto la superficie di una palla a diventare sempre più piccola, rimane il fatto che ogni punto della superficie è equivalente a qualunque altro suo punto. Ergo: non esiste un centro dell’espansione dell’Universo, come non esiste un luogo nello spazio in cui si trova quell’Universo primordiale. Quello è tutto lo spazio: che è più piccolo, più contratto di quanto lo sia oggi». «E l’uniformità dell’Universo ci dice che ogni punto su grande scala è equivalente a qualunque altro. Ciò vuol dire che la nostra visione dell’Universo ci mostra una serie di sfere intorno a noi in modo completamente isotropo (indipendente dalla direzione, ndr), che, guarda caso, ci riporta all’iconografia medievale».
Ma il satellite Planck sta andando a caccia del “tocco” di Dio?
«Io credo che il tocco di Dio sia in ogni istante. Non è soltanto quello che è accaduto 14 miliardi di anni fa. La particella di Dio? Sono tutte le particelle. Chiaro che andare a scavare nell’origine cosmica è come scendere nella visibilità di un momento drammatico e stupendo della storia dell’Universo che è il suo inizio. Anche se la parola inizio è molto impegnativa: noi possiamo sempre parlare di un tempo finito, sia se ci riferiamo a miliardi di anni luce o a frazioni di secondo. E’ sempre un tempo finito. Quando parliamo di inizio ci riferiamo necessariamente a qualcosa che sfugge alla dinamica scientifica. La scienza ci può parlare di un cambiamento, di un passaggio da uno stato all’altro. Ma il venire in essere del primo Universo o di questo istante è un inizio che ha un disavanzo infinito dal non essere. C’è molta confusione quando si attribuisce al divino soltanto certi aspetti del mondo naturale. Diversamente, ritengo che la creazione sia soprattutto questa dipendenza radicale della creatura – sia essa un fiore o l’Universo intero – dal mistero che la fa».
In tutto questo, la coscienza dell’uomo come entra in sintonia con il momento della creazione?
«Rendendoci conto – conclude Bersanelli – che non ci facciamo da noi. E che se ogni creatura potesse esserne cosciente e pensare dovrebbe dire così di sé. Scientificamente possiamo solo descrivere e cogliere il segreto dell’ordine di un Universo già fatto. La coscienza dell’uomo si rapporta alla creazione sorprendendo l’esistente, riuscendo a sorprendersi del fatto che le cose sono e che sono fatte. La scienza ci dà solo un contributo per provare a comprendere quanto di meraviglioso sia l’Universo del quale noi siamo parte cosciente».