Patrizia Feletig, Repubblica, 8 marzo 2010
«Abbiamo fatto un madornale errore confondendo il nucleare civile con quello militare. Ora questo sbaglio costa al pianeta il fatto che 6 kilowattora su 10 siano generati da gas o carbone con le conseguenze climatiche che sappiamo». A fare il sorprendente mea culpa è Patrick Moore, uno dei fondatori di Greenpeace. Laurea in ecologia e un burrascoso passato di hippy, per quindici anni ha seduto nel politburo dell’organizzazione, finché i rapporti si sono incrinati inizialmente per una divergenza di idee sullo sfruttamento delle foreste. Ma la vera rottura è arrivata quando Moore ha firmato un articolo sul Washington Post intitolato Going Nuclear in cui sosteneva che la fissione è superiore ad ogni altra tecnologia energetica per contenere le emissioni di CO2. Conferma oggi: «Possiamo considerarlo quasi un miracolo: estrarre un minerale e ottenere energia».
Com’è avvenuta quest’evoluzione? «A differenza del resto del movimento, sono uno scienziato che non può accontentarsi di un pensiero che riposa su dogmi preconfezionati invece di approfondire, rimettere in discussione, considerare l’intervento di nuove variabili. Il loro è popambientalismo». Moore rincara la dose: «Greenpeace, intrappolata nelle sue contraddizioni, diventa il maggior impedimento al contenimento delle emissioni di gas da fonti fossili».
Non sono meglio le rinnovabili? «Una tecnologia dev’essere pulita, sostenibile e conveniente. Bruciare legno è sostenibile ma non è pulito. Il vento non assicura continuità: per ogni impianto eolico ci vuole il backup di una centrale a gas. Il solare è economicamente indifendibile. Solo l’idroelettrico può essere un competitor del nucleare, ma sconta il fattore geografico. Non tutti i paesi sono come Svizzera o Canada». Moore ritiene superato il problema delle scorie: «Dobbiamo considerare il combustibile esausto come una risorsa energetica. Con gli avanzamenti della tecnologia nucleare, fra 30 anni sarà possibile ricavare altra energia dalle barre già irradiate nei reattori termici alzando il tasso di sfruttamento al 99%. Ciò significa aumentare la disponibilità di uranio e ridurre al minimo i rifiuti inutilizzabili. Il residuo fissile avrà a quel punto un tempo di decadimento di 300 anni».
Né infine è un problema la salute: «Non ci sono evidenze di danni mentre una ricerca del 2004 della Columbia University ha dimostrato che gli abitanti in prossimità di una centrale vivono più a lungo del resto della popolazione. È tra le industrie più sotto controllo».