L’evoluzione simbiontica

Benedetta Cappellinimc2

Esiste oggi un atteggiamento ideologico piuttosto diffuso secondo il quale esisterebbe una e una sola teoria capace di spiegare il fenomeno dell’evoluzione: quella di stretta osservanza darwinista.   Essa sarebbe dunque «la» teoria dell’evoluzione, e chiunque parli di «teorie» non sarebbe altro che un oscurantista (generalmente mosso da pregiudizi religiosi) che non conosce le cose di cui parla. La grande biologa Lynn Margulis ci dimostra come questo non sia vero. E come non sia necessario essere cattolici per avere dei dubbi sull’ortodossia darwinista.

Le pubblicazioni di Lynn Margulis spaziano su una amplissima gamma di argomenti (numerosi contributi sulla biologia cellulare e sull’evoluzione dei microrganismi), ma la Margulis è famosa per la teoria della simbiogenesi che s!da un presupposto centrale del neodarwinismo. Come dichiara nel suo sito, la Margulis ritiene che «le variazioni ereditarie, signi!cative nell’evoluzione, non vengono principalmente da mutazioni casuali.   Piuttosto, nuovi tessuti, organi e anche nuove specie derivano primariamente da un contatto fisico continuato tra appartenenti a specie diverse. La fusione dei genomi di organismi simbionti, seguita dalla selezione naturale, porta a un aumento della complessità individuale».  Questa teoria, elaborata già alla fine del XIX secolo con il nome di «teoria endosimbiotica seriale» viene riscoperta dalla Margulis nel 1967, durante il suo incarico presso il dipartimento di Biologia dell’Università di Boston, e riproposta dopo aver raccolto una quantità enorme di dati sperimentali a sostegno.  Le cellule eucariotiche (provviste di nucleo) derivano quindi dall’associazione simbiotica – in oceani o pozze d’acqua dell’Era Precambriana – di diverse cellule procariotiche (organismi senza nucleo) con particolari funzioni (produzione di energia o attivazione della fotosintesi) con altre cellule. Insieme a James E. Lovelock ha proposto la cosiddetta «ipotesi di Gaia», tuttora oggetto di discussione nella comunità scientifica, che considera la Terra, con le complesse interazioni che avvengono alla super!cie tra esseri viventi, sedimenti, atmosfera e idrosfera, come un organismo capace di autoregolazione.   Insieme a Karlene Schwartz ha proposto un sistema di classificazione tassonomica che prevede la presenza di un gruppo sistematico, il regno dei prototisti (comprendente i protisti e tutte le alghe), al posto di quello dei protisti (comprendente protozoi, alghe unicellulari e funghi unicellulari). Il suo lavoro in questo campo ha portato alla terza edizione di Five Kingdoms: An illustrated guide to the phyla of life on Earth (1998). Come chiarisce lei stessa nel suo sito, questo schema di classisficazione evolutiva è nato dai contributi di numerosi colleghi, ma le basi logiche su cui si fonda sono sintetizzate nel suo libro Symbiosis in Cell Evolution: Microbial communities in the Archean and Proterozoic eons (second edition, 1993), in cui sono de!niti l’origine batterica sia dei cloroplasti che dei mitocondri. Attualmente lavora sulla possibile origine delle ciglia dalle spirochete.

Per cominciare può dirci qual è oggi l’importanza del darwinismo e in cosa consiste la sua teoria dell’evoluzione per simbiosi?
Il darwinismo ha tre componenti.  La prima è la tendenza di tutte le popolazioni di esseri viventi a crescere il più possibile, finché l’ambiente le può sostenere.  Così ci sono sempre più organismi che possono dare discendenti che formano la generazione successiva.  Il fatto che il tasso di crescita non sia sostenibile indefinitamente significa che il secondo elemento, la selezione naturale, si veri!ca sempre. Due persone possono avere fino a 32 figli che passano alla generazione successiva: chiaramente è impossibile che questo avvenga sempre. Questo significa che sulla selezione naturale non possono esserci dubbi. Il problema è il terzo fattore, cioè da dove viene la novità evolutiva. È stato detto, anche in questo convegno, che la mutazione casuale è la fonte della novità evolutiva. Ma io non lo credo.   Non lo credo perché non c’è un solo esempio nella letteratura, né in campo aperto né in laboratorio.  Non esiste evidenza in favore dell’accumulazione di mutazioni casuali. Al contrario, abbiamo esempi dell’origine di novità evolutiva attraverso la simbiogenesi. Che cos’è la simbiogenesi? Prima spieghiamo che cos’è la simbiosi. La simbiosi è la relazione tra due individui di diverse specie, che però vivono sempre insieme, in contatto fisico.   Questo vuol dire una relazione permanente, o solo relativa a una parte, del ciclo vitale degli organismi coinvolti, però sempre in contatto fisico. Questo è il primo passo. La simbiogenesi invece è l’origine dei tessuti o degli organuli di una cellula o della struttura morfologica o di un comportamento nuovo o di un nuovo metabolismo, qualunque cosa che possa essere messa in relazione con la simbiosi.  Per esempio alcune alghe fotosintetiche vivono con dei protisti marini traslucidi che mangiano l’alga, ma non la digeriscono, e dopo un po’ di tempo la relazione diventa permanente. Questa è simbiogenesi. Altro esempio. Convoluta roscoffensis è un verme che vive in grandi gruppi sulla spiaggia di alcune isole della Gran Bretagna, nel Jersey.   Ed è capace di operare la fotosintesi, anche se è animale a tutti gli effetti, perché vive in simbiosi con un’alga. Però abbiamo anche Convoluta paradoxa, che è quasi uguale, però invece di avere dentro un’alga simbiotica con cloroplasti verdi ha una diatomea e non vive in gruppi, ma è solitario.  E nello stesso ambiente abbiamo anche Convoluta convoluta.  Tre specie diverse dello stesso genere.  Convoluta paradoxa è di colore giallomarrone, mentre Convoluta convoluta, che manca totalmente di simbionti fotosintetici, è traslucido. Un alto esempio fantastico è quello di Kwang W. Jeon, un ricercatore di origine coreana che vive negli Stati Uniti.  Lui ha coltivato amebe per anni e 15 anni fa ha ricevuto un ceppo di amebe con dei puntini, che ha scoperto essere batteri: 400.000 batteri per ameba, e quasi tutte morte.  Questo vuol dire selezione naturale molto forte!  Lui però come esperto di amebe ha selezionato le amebe sane e dopo 5 anni invece di avere 400.000 batteri per ciascuna ne avevano solo 40.000, ed erano cambiate totalmente.    Se si comparano le amebe senza questi batteri con quelle con 40.000 batteri per ciascuna e si fa una lista della caratteristiche sono due specie diverse. Dunque per me questo è l’unico caso in cui si sia visto un cambio di specie in soli 5 anni, da Ameba proteus ad Ameba discoideis ad Ameba echis. Oppure c’è una pianta simile all’ananas, la Cycadea, che contiene, al suo interno, cianobatteri che fabbricano azoto.  È possibile dire che l’origine del taxon di tutto questo gruppo di piante ha qualcosa a che vedere con la produzione di questi cianobatteri, perché così queste piante possono vivere in un suolo privo di azoto. Quindi abbiamo una vasta letteratura in merito, anche se è uno studio difficile, perché occorre essere esperti di almeno due organismi differenti. Altro esempio: i licheni. Abbiamo 80.000 tipi di licheni e oggi tutti noi siamo schwendeneristi. Che vuol dire? Simon Schwendener nel 1867 ha scritto una grande monografia in cui ha detto che tutti i licheni sono fatti di due organismi differenti:  funghi e cianobatteri o funghi e alghe (cioè sempre un fungo e un organismo fotosintetico). E tutti allora hanno detto: «Impossibile! Non possono esistere due organismi in uno». Però oggi tutto il mondo sa che i licheni non sono piante, ma un esempio perfetto di simbiogenesi. Dunque io dico a questa gente, a questi neodarwinisti anglofoni, soprattutto nordamericani e inglesi, che attraverso la mutazione casuale è impossibile spiegare l’origine delle caratteristiche nuove nell’evoluzione.  Sì, senz’altro la mutazione esiste, però non c’è l’accumulazione delle mutazioni. La mutazione modifica, cambia un po’, però non è sufficiente per fare il passo da una specie all’altra.

Abbiamo visto, anche in questi giorni, che c’è tutta una parte della biologia che studia la variabilità fenotipica e l’ereditabilità dei caratteri acquisiti.   Lei che cosa pensa al riguardo?
Quello che dico io non riguarda l’acquisizione di singole caratteristiche, ma di tutto il genoma.  È la cosa che non hanno detto.  A me sembra che sia fantastica la relazione di Scott Gilbert [sulla evo-devo e l’evoluzione epigenetica].   E anche quella [sulla morfogenesi] di Stuart Newman. Ma la cosa che manca in tutti e due è che una caratteristica importantissima che occorre comprendere è che tutti gli eucarioti possono aprire la membrana e mangiare, però mangiare un intero genoma in una sola volta, tutto il genoma.    Dunque è facile per la cellula eucariotica inglobare un altro essere vivente nella membrana e invece di digerirlo vivono tutti e due per sempre insieme contenti.   Questa è una facoltà che è molto importante per l’evoluzione degli animali, perché nel momento che abbiamo questa capacità di inglobare altri esseri viventi, però diversi, è possibile, come ha detto un mio amico, acquisire un genoma inghiottendolo, è possibile cambiare l’eredità solamente mangiando.  Questo però solo in una cellula eucariotica, mai in una cellula batterica: i batteri possono trasferire solo un gene o due o al massimo un gruppo di geni alla volta, invece gli eucarioti possono acquisire tutta l’eredità genetica di un altro essere vivente.   E questo è un processo tanto familiare che non ne parliamo nemmeno. Per esempio, la fecondazione: che cos’è la fecondazione se non il fatto che l’uovo apre la membrana, incorpora una cellula diversa, chiude la membrana e poi comincia lo sviluppo del nuovo essere vivente?  Per questo dico che è un processo così familiare che non ne parliamo nemmeno.  Questo infatti è lo stesso processo della nutrizione negli eucarioti.

E nel caso degli organismi superiori? Lei pensa che anche qui l’evoluzione possa spiegarsi con fenomeni di simbiosi?
Sì. Anche qui ci sono moltissimi casi. Per esempio, una mucca non potrebbe nemmeno digerire quello che mangia senza la collaborazione dei batteri che vivono nel suo stomaco.   Pensi che ce ne sono oltre duecento specie: una grande famiglia felice!

D’accordo.  Ma per quanto riguarda la mutazione degli organismi in se stessi (per esempio la crescita delle dimensioni del cervello, o cose simili)?  Pensa che anche questi casi possano essere spiegati attraverso la simbiosi?
No, in questi casi penso che possano esserci altre spiegazioni, come per esempio quelle epigenetiche o i fenomeni di auto-organizzazione di cui si è parlato durante questo convegno.   In ogni caso però la spiegazione non sta nelle mutazioni casuali.

Cosa pensa del rapporto tra scienza e fede?
Ah, penso che ciascuno possa credere quello che vuole.

Ma secondo lei ha senso dire che chi crede nell’evoluzione non può credere in Dio?
No, no.  Non si può credere che Dio ha creato la Terra 6000 anni fa, ovviamente. Questa è una cosa da pazzi. Ma credo che sia possibile credere nel Dio di Einstein, per esempio, il Dio che ha dato origine all’Universo e che non interviene in esso per proteggere i suoi migliori amici.

Il Dio di Spinoza?
Sì, anche. Spinoza diceva che Dio è la natura. Per me Dio è il Sole. E nel momento che abbiamo detto che Dio è in forma di una persona umana abbiamo perso la posizione corretta: infatti il Sole dà l’energia e la materia che servono per la vita. Penso che la religione giochi un ruolo importante perché unisce la gente in gruppi, e per esempio in un gruppo di 25 persone possiamo mangiarci un mammuth, mentre da soli non riusciremmo.    Abbiamo bisogno di gruppi organizzati per progredire.

Quando lei parla si sente che ha una grandissima passione per quello che studia.  Secondo lei qual è la cosa più importante per un insegnante di scienze? 

È conoscere la vita!  La vita, non il computer! La vita, non i libri!  Va bene, anche i libri, però innanzitutto la vita!  Questo vuol dire andare fuori, conoscere gli altri esseri viventi con cui condividiamo il pianeta: ci sono
molti altri organismi, non dobbiamo pensare che ci sia solo l’uomo.

(*) Professore presso il Dipartimento di Geoscienze all’Università del Massachusetts, ad Amherst.  Membro della National Academy of Sciences dal 1983, nel 1999 ha ricevuto da William J. Clinton la Presidential Medal of Science.  È stata faculty mentor alla Boston University per 22 anni.

© Pubblicato sul n° 36 di Emmeciquadro