Così lanceremo Planck, il satellite che rivelerà le origini dell’Universo

Benedetta CappelliniSenza categoria

Il satellite Planck è ormai giunto alla base di lancio dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) di Kourou (Guyana Francese) e si sta sottoponendo agli ultimi controlli e messe a punto durante il lungo conto alla rovescia che lo porterà al lancio in orbita a metà aprile. La missione Planck è una missione scientifica progettata da anni allo scopo di studiare la radiazione cosmica di fondo e quindi di indagare l’universo neonato, analizzando nei dettagli le preziose tracce che il grandioso big bang primordiale ci ha lasciato. È una missione nella quale il ruolo dell’Italia è rilevante, dato che uno dei due sofisticati strumenti a bordo del satellite è sotto la diretta responsabilità di due astrofisici italiani: Nazzareno Mandolesi, dell’Inaf-Iasf di Bologna e Marco Bersanelli dell’università degli studi di Milano. A loro abbiamo chiesto di introdurci più da vicino in questa straordinaria avventura che potrebbe aprirci nuovi scenari nella comprensione della storia del nostro universo.Mandolesi fa subito notare che Planck è la prima missione europea dedicata allo studio del fondo cosmico di microonde (Cosmic Microwave Background, CMB) ed è la più importante missione di cosmologia dell’Esa. Il CMB, spiegano i due scienziati, è la prima luce dell’universo, rilasciata nello spazio circa 14 miliardi di anni fa e che ha viaggiato pressoché indisturbata per tutto questo tempo: gli strumenti oggi disponibili ci danno l’opportunità di osservarla e quindi di ricavare un’immagine di come era l’universo ai suoi inizi. L’esistenza di questa radiazione è stata scoperta da Penzias e Wilson nel 1965 e ha costituito la prova fondamentale del fatto che tutto l’universo ha iniziato la sua storia da una fase di alta temperatura e di alta densità, da cui proviene questo residuo luminoso.Perché è così importante studiarlo? Perché, osserva Bersanelli, «non solo ci dimostra che l’universo è nato da questo stato di radiazione e materia ma ci permette di conoscere anche qualcosa di importante sulla sua storia: le caratteristiche fini di questa luce fossile che oggi possiamo misurare nascondono dei segreti relativi agli ingredienti che formano l’universo e alla dinamica della sua espansione».Planck però non è il primo satellite che va a scrutare il fondo cosmico di microonde: possiamo considerarla una missione di terza generazione, dopo le missioni della Nasa COBE (lanciato nel 1989) e WMAP (lanciato nel 2001), e come tale rappresenta quanto di meglio oggi la tecnologia spaziale alle onde millimetriche possa offrire. Mandolesi descrive così l’assetto strumentale del satellite: «c’è un telescopio da 1,5 metri di diametro nel cui piano focale sono posizionati due strumenti: LFI (Low Frequency Instrument), con 22 radiometri operanti tra 30 e 70 GHz, e HFI (High Frequency Instrument) con 48 bolometri (strumento per la rilevazione termica dell’energia elettromagnetica) operanti tra 100 e 857 GHz; in totale nove diversi canali di frequenza. La grande copertura di frequenza, una decade maggiore rispetto al satellite WMAP, la sensibilità fino a dieci volte migliore e la più spinta risoluzione angolare rendono Planck superiore alle precedenti missioni sia in termini di sensibilità che di capacità di separare il minuscolo segnale cosmico dalle emissioni astrofisiche (galattiche ed extragalattiche) e dal rumore strumentale».In effetti, Planck è una macchina estremamente sofisticata ed è il risultato dello sforzo di centinaia di scienziati sparsi per il mondo, con una forte componente italiana. Il team italiano è responsabile dello strumento LFI che misura le lunghezze d’onda più grandi o, più correttamente, le basse frequenze. «Il nostro strumento – dice Bersanelli – è basato su dei radiometri e cioè sostanzialmente su dei ricevitori radio, per certi versi non molto differenti da quelli che abbiamo in casa, solo molto più sensibili e stabili. Questa della stabilità è una caratteristica fondamentale, che ci permette di confrontare l’intensità della luce istante per istante con una sorgente interna raffreddata a bassissima temperatura». Il fisico milanese insiste anche sulle differenze rispetto alle missioni precedenti: «Una è la sensibilità molto superiore, che otteniamo raffreddando i detector a temperature molto vicine allo zero assoluto: parliamo di 250 gradi sottozero, il che comporta uno sforzo tecnologico e innovativo rilevante. L’altra caratteristica è che Planck potrà osservare la luce fossile in un intervallo di lunghezze d’onda molto più ampio di quanto fatto finora: in pratica, lunghezze d’onda che vanno da un terzo di millimetro fino a un centimetro. Questo è fondamentale per distinguere la luce che viene dal fondo dell’universo da quella che viene emessa dalla nostra o da altre galassie nelle vicinanze, cioè in qualunque regione che non sia il fondo dell’universo».Le aspettative per questa missione sono grandi, e non solo tra gli astrofisici ma un po’ in tutta la comunità scientifica. Sono in gioco le grandi domande della cosmologia: sull’età dell’universo, sul ritmo della sua espansione, sulla materia oscura e sull’energia oscura. Mandolesi pensa di poter raccogliere dati per migliorare la precisione, peraltro già buona, della stima di 13,8 miliardi di anni che attualmente caratterizza la nostra comune anagrafe cosmica. Quanto all’espansione, ritiene che proseguirà, ma «il come dipende da cos’è l’energia oscura. E questo è uno dei grandi misteri del nostro universo. Per quanto ne sappiamo è una componente della densità di energia complessiva dell’universo responsabile della sua espansione accelerata; Planck ci aiuterà a comprendere la sua equazione di stato e a discriminare fra i vari modelli proposti. Un altro mistero è quello della materia oscura. Planck contribuirà alla comprensione delle sue proprietà fisiche e statistiche rilevanti per la cosmologia. I nostri dati però, da soli, non sveleranno in modo univoco la sua natura particellare; ma ci si potrebbe riuscire insieme ai progressi attesi nella fisica fondamentale, in particolare con gli esperimenti nel nuovo acceleratore LHC del Cern di Ginevra».Anche per Bersanelli «il contributo che ci si aspetta da Planck è l’alta precisione con cui potremo fissare alcuni parametri dai quali dipendono le risposte a queste grandi domande. La quantità di materia oscura e anche di energia oscura dipende da parametri che possono essere misurati con grande precisione grazie alle nostre osservazioni. E una volta che avremo questi parametri precisi potremo dedurre direttamente l’età dell’universo grazie alla teoria della relatività di Einstein. Circa il futuro dell’espansione cosmica, la domanda è destinata a rimanere aperta per parecchio tempo, finché non si potrà svelare pienamente la natura dell’energia oscura. Planck potrà sicuramente dare un contributo, ma poi bisognerà procedere con nuove ricerche».In questi giorni l’attenzione dei nostri astrofisici è tutta concentrata sul lancio del satellite, previsto per il 16 aprile con un vettore Ariane 5, che lo porterà nello spazio insieme al satellite Herschel per osservazioni all’infrarosso. Planck avrà un periodo di trasferimento nell’orbita finale che si trova a un milione e mezzo di chilometri dalla Terra e per tre mesi ci sarà la fase di verifica: «poi inizieremo le osservazioni e in circa sei mesi avremo osservato un intero cielo; ma per avere le prime osservazioni analizzabili e per tirare le prime conclusioni bisognerà aspettare almeno un annetto».