Il professor Adolf Goetzberger è il fondatore del Fraunhofer Institute for Solar Energy Systems ISE, uno dei fiori all’occhiello della ricerca avanzata tedesca. Recentemente l’istituto ha segnato il record europeo di efficienza per le Celle Solari, sfiorando il 40%. Ilsussidiario.net, che ha aperto un ampio dibattito sul tema dell’energia in Italia, ha intervistato il Prof. Goetzberger per farsi raccontare a tutto campo la storia di uno scienziato capace di fondare con 18 ricercatori un istituto che oggi ne conta 800 ed è vanto della ricerca di uno dei maggiori paesi industrializzati del mondo, cercando di capire se il futuro energetico del pianeta sarà del nucleare e quale risposta efficace dare all’italico rebus di come connettere ricerca e produzione industriale.
Professor Goetzberger, lei ha da poco compiuto 80 anni, qual è l’insegnamento più importante che ha tratto dalla vita come uomo e scienziato che pensa valga la pena di trasemttere alle giovani generazioni?
A ottant’anni è giunto davvero il momento di guardarsi indietro e di pensare qual è la esperienza più importante della propria vita. Ho avuto senza dubbio successo nelle mie attività scientifiche e tecniche e, a mio parere, una chiave per avere successo è di avere una visione del futuro diversa dal pensiero comune del tempo. Una volta deciso il proprio obiettivo, ci si deve attenere a esso anche quando sorgono ostacoli e, mantenendo sempre presente l’obiettivo, occorre essere flessibili nei modi in cui raggiungerlo.
Lei ha passato molti anni negli Stati Uniti prima di ritornare in Germania. Quali sono secondo lei le differenze più grandi nel modo di fare ricerca negli Usa rispetto all’Europa? E qual è il ruolo delle università in questi due diversi contesti?
Quando mi trasferii negli Stati Uniti, nel 1958, le differenze nella ricerca scientifica erano enormi. In Europa si stava ancora cercando di recuperare dopo la Seconda guerra mondiale e le risorse e le possibilità erano molto limitate, mentre negli Stati Uniti ebbi l’opportunità di sviluppare tutte le mie capacità. Da allora molto è cambiato. Le condizioni non sono più così diverse, anche perché parecchi scienziati, come ho fatto io, sono ritornati in Europa e hanno trapiantato le loro esperienze. Tuttavia, si potrebbe dire che le opportunità per i giovani scienziati di progredire siano ancora un po’ migliori negli Stati Uniti. Qui le grandi università sono tuttora molto meglio attrezzate e con fondi superiori della media delle università europee, ma occorre anche tener presente che in America vi sono molte università più piccole che non sono così ben sistemate.
Secondo lei il modo di fare ricerca è cambiato in questi ultimi decenni?
Sì, vi sono stati cambiamenti nel modo di far ricerca. Molti di questi hanno a che fare con le possibilità estremamente più ampie di calcolo e comunicazione, che sono anche una conseguenza delle nostre prime ricerche sui semiconduttori. Mentre prima la maggior parte dei problemi veniva indagata attraverso gli esperimenti, oggi molte risposte possono essere trovate più rapidamente con la simulazione. Anche la comunicazione è più rapida ed efficiente: gli scienziati possono rimanere costantemente in contatto indipendentemente da dove risiedono e le informazioni viaggiano molto celermente e quindi anche i progressi sono più rapidi. Dall’altra parte, a causa di queste accelerazioni, le pubblicazioni tendono oggi a essere scritte con meno cura.
Ci racconta come e perché ha fondato l’ISE nel 1981?
Alla fine degli anni ’70, arrivai alla conclusione che era tempo di cambiare direzione per me personalmente. Avevo visto le conclusioni del Club di Roma e, sebbene le loro cupe previsioni sull’esaurimento delle risorse non si siano realizzate così presto, rimane valido l’assunto di base che il nostro pianeta ha risorse finite. Proprio in quel periodo nel mio istituto, l’Institute for Applied Solid State Physics, avevamo scoperto alcuni effetti potenzialmente utili per la conversione dell’energia solare. Mettendo insieme le cose, è stato logico per me (per me, ma non per la maggioranza degli altri) fondare un nuovo istituto per iniziare ricerche in un campo che si mostrava molto promettente per il futuro.
Come sa, in Italia abbiamo una forte dipendenza dai combustibili fossili per la produzione dell’energia. Sono ormai in molti a ritenere che l’energia nucleare –di cui un referendum 20 anni fa ha sancito lo stop nel nostro Paese – sia una via d’uscita per questa dipendenza, altri invece ritengono che un paese soleggiato come l’Italia debba puntare di più al solare e alle energie alternative. Lei che opinione ha dell’energia nucleare? Pensa che l’energia solare possa essere parte non marginale della soluzione ai problemi della nostra dipendenza energetica dal petrolio?
Penso che non vi sia realmente concorrenza tra solare e nucleare. L’energia nucleare è una fonte potenziale a basso costo per l’elettricità di carico di base, mentre l’energia solare fornisce elettricità per i periodi di punta, benché sia interrompibile. L’energia nucleare comporta una serie di problemi ben noti, ma preferisco rimanere fuori da questo dibattito e concentrarmi sugli aspetti positivi dell’energia solare.
L’Italia è un paese molto ben soleggiato e non vi è dubbio che l’energia solare potrebbe fornire una parte rilevante del fabbisogno energetico. Se un paese nordico come la Germania ha già installato molti impianti per l’energia solare e ne sta pianificando ancor di più, per l’Italia dovrebbe essere molto più facile. La Spagna, con un clima molto simile, ha messo in cantiere un vasto programma solare. Questi paesi hanno ora industrie importanti nel settore dell’energia rinnovabile, che non solo servono il mercato interno, ma esportano in tutto il mondo. L’Italia è molto indietro sotto questo aspetto.
Più in generale, qual’è la sua opinione sul futuro dell’approvigionamento energetico e – quindi – il suo impatto sul clima?
Sono pessimista. Gli Stati non arriveranno a controllare effettivamente i gas che influenzano il clima, perché gli interessi nazionali lo impediranno. Così la maggior parte del mondo continuerà a dipendere dai combustibili fossili, finché questi si esauriranno. L’effetto serra è probabilmente inevitabile.
Un’ultima domanda sulla sua esperienza nel fare ricerca. In un’intervista di qualche anno fa, lei ha detto: «Ogni problema di ordine pratico sottende un problema di carattere scientifico». Questo sembra essere “idealmente” l’anello di congiunzione tra ricerca e imprenditoria, che soprattutto in Italia è un problema molto sentito. Può andare più a fondo di questo pensiero?
Ho imparato dal mio primo mentore, William Shockley (premio Nobel per la Fisica ndr), in California: lui credeva fortemente in questa relazione e io l’ho trovata sempre confermata. Si tratta di una buona ricetta per colmare la separazione tra scienza e pratica. Nella tecnologia dell’energia solare, si devono far confluire molte discipline scientifiche e tecniche, così non abbiamo avuto problemi sotto questo profilo. Abbiamo anche notato che gli studenti sono molto attratti da questa combinazione. Devo dire che la Fraunhofer Society, per la quale ho lavorato la maggior parte della mia vita professionale, è particolarmente attrezzata per superare la divisione tra scienza e pratica, con un modello di successo che è ora applicato in molti paesi.