Il comparto delle energie rinnovabili si sta finalmente muovendo anche in Italia e il settore eolico è uno dei più dinamici. C’è la possibilità in questo modo di creare nuove interessanti occasioni di lavoro e di sviluppo tecnologico e si comincia a mettere concretamente mano a quel processo di diversificazioni delle fonti energetiche e di attenuazione della dipendenza dalle fonte energetiche fossili, del quale il nostro paese, e l’intera Europa, hanno forte necessità.
E’ di qualche giorno fa la notizia che l’ENEL ha raggiunto un accordo con il comune sardo di Portoscuso (nel distretto del Sulcis, a sud ovest dell’isola, dove già esiste un suo importante impianto termoelettrico) per la costruzione di un complesso di 39 aerogeneratori di grossa taglia (2,3 MW ciascuno, prodotti da Siemens) per una potenza complessiva di quasi 90 MW.
L’iniziativa sarda si inquadra nel piano di incremento della produzione da fonti rinnovabili che l’ENEL sta portando avanti in questi ultimi anni, e per lo sviluppo del quale si è recentemente riorganizzata al suo interno, facendo convergere tutte le esistenti iniziative in campo eolico, solare, geotermico e mini-idro, condotte sia in Italia che all’estero, in un’unica Divisione Energie Rinnovabili.
Forse sono definitivamente passati i tempi (anni ’80-’90) in cui l’ex-monopolista elettrico impiegava senza convinzione i suoi (allora ricchi) budget di ricerca per installare in Sardegna generatori eolici dimostrativi che sembravano fatti apposta per dimostrare esattamente il contrario, cioè che l’energia eolica non era conveniente. Sono stati anni in cui l’Italia, oltre che nel campo nucleare, ha sprecato con l’energia eolica un’altra ricca occasione di far nascere una nuova industria nazionale ad alta tecnologia che avrebbe oggi trovato sbocchi in tutto il mondo. Il risultato delle poco lungimiranti politiche energetiche e industriali di allora è che l’unica seria fabbrica nazionale di generatori eolici è oggi la IWT di Taranto, che è peraltro una emanazione della società danese VESTAS, e che i generatori di Portoscuso li andremo a comprare dai tedeschi.
Comunque, lasciando perdere i rimpianti, è pur tuttavia un fatto positivo che il comparto delle energie rinnovabili si stia finalmente muovendo anche in Italia e che il settore eolico sia uno dei più dinamici. Si creano in questo modo nuove interessanti occasioni di lavoro e di sviluppo tecnologico e si comincia a mettere concretamente mano a quel processo di diversificazioni delle fonti energetiche e di attenuazione della dipendenza dalle fonte energetiche fossili, del quale il nostro paese, e l’intera Europa, hanno forte necessità. Certamente si tratta di un cambiamento complesso, costoso, che tocca notevoli interessi e che suscita di conseguenza entusiasmi in alcuni comparti industriali e resistenze e perplessità in altri. E’ un processo di cambiamento che è forse più facilmente accettabile in periodi in cui l’economia “tira”, mentre appare più problematico in momenti di crisi (anche se si tratta di un’occasione di mettere in moto risorse di ampiezza tale da costituire un notevole stimolo all’economia anche in situazioni di stagnazione o recessione). Forse non a caso proprio in questi giorni il governo italiano ha preso posizione nei confronti delle Commissione Europea, manifestando perplessità sulla raggiungibilità e sui costi degli obbiettivi europei al 2020 di contenimento dei consumi di energia e contenimento delle emissioni di gas serra. Ma al di là del quadro economico attuale, certo meno ottimistico di quanto era solo due o tre anni fa, nella posizione italiana (condivisa peraltro anche da altri paesi) si intravede il conflitto fra i paesi (ad esempio Germania, Spagna, Danimarca) che hanno investito molto nel campo delle energie rinnovabili e che si aspettano quindi grandi ritorni industriali dalla loro espansione e quelli che sono un po’ in ritardo in questa direzione e temono quindi di dover subire solo i costi di questo grande cambiamento, senza intravederne i vantaggi. Un discorso complesso, sul quale avremo modo di ritornare. Per il momento vorremmo approfittare dell’occasione per ricordare che lo sviluppo del settore delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica è stato, e viene tuttora fortemente stimolato, in Italia come nel resto d’Europa, da una serie di provvedimenti di legge entrati in vigore a varie riprese già a partire dal 1999. Tale complesso quadro legislativo, è stato sviluppato in ottemperanza a varie direttive europee, ed in Italia ha ricevuto gli ultimi aggiustamenti nelle leggi finanziarie del 2007- 2008. In particolare per quanto riguarda aziende produttrici di energia elettrica esiste da qualche anno l’obbligo di generare una quota parte (ancora abbastanza modesta, attualmente poco più del 3%, ma che aumenta ogni anno), dell’energia che viene immessa nel sistema elettrico nazionale con Impianti Alimentati da Fonti energetiche Rinnovabili (sinteticamente definiti con la sigla IAFR). Quest’obbligo può essere assolto sia producendo in proprio l’energia da fonti rinnovabili, sia acquistando le relative quote da altri produttori o dal GSE (il Gestore dei Servizi Elettrici) che è l’ente pubblico delegato, fra le varie cose, a regolare e sorvegliare l’ottemperanza a tali disposizioni. Si è così creato un mercato dei cosiddetti Certificati Verdi (CV), che sono una sorta di “titoli di credito energetici” con i quali le aziende possono dimostrare di aver ottemperato agli obblighi di legge. E’ chiaro che le aziende sono stimolate a installare impianti “verdi”, in quanto essi hanno ovviamente un costo, ma per l’energia prodotta le aziende ricevono un incentivo, mentre se non fanno investimenti sono costrette ad acquistare dei certificati verdi senza ricevere di ritorno alcun beneficio. Un certificato verde viene rilasciato per ogni MWh (cioè 1000 kWh) di energia elettrica prodotta da fonte rinnovabile, e ad esso è stato riconosciuto dallo Stato, tramite il GSE, un valore base, che comunque oscilla in base alla legge della domanda e dell’offerta. In alternativa in alcuni casi le aziende elettriche possono scegliere di farsi remunerare ad una tariffa incentivata l’energia prodotta da fonte rinnovabile. In ogni caso i fondi per questi incentivi alla produzione provengono da una piccola quota di prelievo dalle bollette elettriche e ricadono quindi a carico di tutti gli utenti. Aggiungiamo ad ulteriore informazione, che il valore unitario del CV viene in realtà corretto tramite un coefficiente che può essere maggiore o minore dell’unità, in funzione della tipologia di impianto utilizzato per la produzione dell’energia elettrica. Per esempio tale coefficiente correttivo vale è 1,1 per gli impianti eolici offshore (realizzati cioè in mare aperto), è 0,9 per gli impianti geotermici, è 1,8 per la produzione di biogas da attività agricole/forestali, eccetera. E’ chiaro che in tal modo il legislatore incentiva in misura un po’ diversa i vari tipi di impianto, in maniera da favorire l’installazione anche di quelli che pur essendo particolarmente convenienti dal punto di vista energetico, hanno costi elevati, o presentano altre difficoltà di realizzazione. Ad esempio é proprio di questi giorni la presentazione di un emendamento alla manovra finanziaria da parte dall’on. Vignali del PdL per elevare il coefficiente per gli impianti eolici offshore dal 1,1 a 1,6. Si tratta di una proposta volta chiaramente a dare alle aziende qualche strumento in più per superare quelle forti resistenze locali che fino a questo momento hanno accompagnato le proposte di realizzare impianti offshore in regioni quali il Molise, la Puglia, la Sicilia.
In effetti nel nostro paese la sindrome NYMBY non riguarda solo gli impianti nucleari o gli inceneritori di rifiuti, ma spesso anche quelli a fonti rinnovabili, ai quali, solo a parole, tutti sono favorevoli. Si deve quindi ricorrere a incentivi di varia natura, da parte dello Stato o delle aziende, per convincere le comunità locali ad accettare l’insediamento degli impianti sul loro territorio.
Non a caso nel suddetto accordo dell’ENEL con il comune di Portoscuso sono previste anche altre iniziative locali nel campo delle energie rinnovabili, quali la realizzazione di impianti fotovoltaici e solari termici sugli edifici comunali (sono molto probabilmente le contropartite che il comune ha ottenuto per il rilascio della concessione).
Da segnalare comunque, per concludere, che in particolare nel caso degli impianti eolici offshore il governo sembra voglia avere la possibilità di usare non solo la “carota”, ma anche il “bastone” in quanto vuole avocare a sé la decisione sulle procedure di VIA (valutazioni di impatto ambientale) per questi impianti (suscitando una levata di scudi da parte delle regioni interessate).