Più stato o più mercato nel mondo dell’energia?

Benedetta CappelliniArticoli

Riportiamo di seguito due opinioni a confronto sulla controversia fra Governo Italiano e Unione Europea sul “pacchetto 20-20-20” che impegna gli stati a una trasformazione radicale dei propri sistemi energetici: Gianni Silvestrini e Carlo Stagnaro.

Per comprendere quali sono i reali motivi della controversia che si è aperta da qualche giorno fra il governo italiano(in particolare il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo) e l’Unione Europea sul “pacchetto 20-20-20” che impegna gli stati a una sostanziale trasformazione dei propri sistemi energetici, ci pare utile mettere a confronto le opinioni di due noti commentatori che sono comparse in questi giorni sulla vicenda.
Scrive Gianni Silvestrini, in un editoriale intitolato “La pessima figura dell’Italia sul clima”, comparso lunedì 20 ottobre sul sito del Kyoto Club:
“Le posizioni di attacco del governo italiano agli impegni europei sul clima meritano una attenta riflessione. Le motivazioni possono essere lette come la volontà di raccogliere il malessere del mondo industriale che sulla partita del clima si è mosso tardi e ora si trova in difficoltà. Pare piuttosto curioso, peraltro, il ruolo del Ministro dell’Ambiente, più realista del re nel farsi portavoce degli interessi dei comparti più arretrati della nostra industria. Ma non basta. Ascoltando alcune dichiarazioni di esponenti governativi si ha la sensazione che l’attuale crisi finanziaria abbia rappresentato un’insperata occasione per attaccare gli impegni internazionali sul clima vissuti finora con malcelata sopportazione. Questo atteggiamento evidenzia un desolante vuoto culturale che contrasta in maniera stridente con le posizioni delle altre forze del centrodestra europee in Germania, Gran Bretagna e Francia. Il tentativo è politicamente molto insidioso. Non fare approvare dal Consiglio d’Europa entro dicembre il pacchetto energia-clima vuol dire impedire al Parlamento europeo di approvarlo prima del suo scioglimento nella prossima primavera e quindi indebolire ruolo propulsivo dell’Europa all’appuntamento mondiale del dicembre 2009 a Copenaghen nei confronti di Cina, India, Brasile. Fortunatamente risulta difficile all’Italia far passare questa posizione che vede quasi tutti i governi europei, il Parlamento Europeo e la Commissione Europea d’accordo nel mantenere gli obbiettivi al 2020. Ed è malinconico vedere la mappa dell’Europa con tutti i paesi (inclusa Grecia e Portogallo) impegnati sul clima e l’Italia, sola contraria con i paesi dell’Est. E anche la posizione di questi andrebbe meglio analizzata. Il principale alleato in questa battaglia di retroguardia secondo i nostri rappresentanti sarebbe infatti la Polonia. Ma si legge nel comunicato finale messo in linea sul sito della Conferenza di Poznan: «Il ministro dell’ambiente Nowicki ha sottolineato che la crisi finanziaria non deve essere una scusa per non prendere azioni di intervento rapido» e poi: «Unire gli sforzi contro la crisi finanziaria e il cambiamento climatico può portare benefici a tutto il mondo». Insomma, esattamente il contrario di quello che afferma la Prestigiacomo.”

Scrive invece Carlo Stagnaro, direttore studi e ricerche dell’Istituto Bruno Leoni  (un organismo che significativamente ha come slogan “idee per il libero mercato”), in un intervento comparso nello stesso
giorno sull’informatissimo giornale on-line “Quotidiano Energia”:

“La posizione del Governo italiano sul pacchetto clima dell’Unione Europea ha destato scandalo tra i sostenitori del 20-20-20, ma è una reazione giustificata? La politica ambientale europea impone costi altissimi al sistema energetico del Vecchio Continente, che vanno ben oltre il mero dato finanziario. La combinazione tra limiti ai consumi, riduzione delle emissioni e promozione delle rinnovabili richiede, in pratica, la convergenza parallela di controlli dell’offerta, della domanda e dei prezzi. Presuppone inoltre un adeguamento delle reti elettriche che sono oggi progettate per servire poche, grandi centrali, mentre un incremento significativo di fonti come sole e vento vedrebbe una generazione, al tempo stesso, più diffusa e meno prevedibile (o più intermittente). Tutto ciò, secondo gli strateghi di Bruxelles, dovrebbe accadere in dodici anni, un battito di ciglia dal punti di vista dei tempi degli investimenti energetici, che usualmente si ripagano in un orizzonte assai più lungo. Esternando il suo disappunto per questa situazione, il Governo italiano ha senza dubbio interpretato l’interesse nazionale di un paese che, per le sue caratteristiche, dovrebbe sostenere costi particolarmente alti. Ma si è anche fatto, nella pratica, portavoce di un malessere diffuso e solo in parte emerso. Berlusconi si è messo, forse inconsapevolmente, alla testa di un plotone di cui fanno parte non solo la Polonia e gli altri paesi dell’Est, ma anche -seppure in forme meno appariscenti- Madrid e Berlino, e forse anche Londra, o almeno una fetta delle rispettive classi dirigenti. C’è un tema che non si è mai posto all’attenzione dell’opinione pubblica, ma che è intimamente legato a ciò di cui si dibatte. La politica europea implica, necessariamente, un ritorno pesante dello Stato nel settore energetico: se non come attore direttamente, almeno come vincolo esterno particolarmente invasivo. Questo contraddice il tentativo della stessa UE di pro muovere le liberalizzazioni, in quanto sottrae al mercato la possibilità di dettare gli investimenti energetici, e mette nelle mani degli apparati gran parte delle decisioni rilevanti. È paradossale, ma in questo momento chi si batte contro l’eco-interventismo, senza saperlo gioca nel campo “mercatista”; quindi, l’interesse italiano coincide largamente con l’interesse diffuso dei consumatori europei. Qui si fa il mercato, o si muore di troppo Stato.”
Il giorno precedente, domenica 20 ottobre, sul sito dell’Istituto Bruno Leoni, il pensiero di Stagnaro era stato espresso in maniera ancora più esplicita in un commento intitolato “Clima, Italia tenga duro, no a politica dirigistica”, che così recitava:
“Lunedì il governo italiano incontrerà il commissario europeo all’Ambiente, Stavros Dimas, per chiarire la sua posizione. Bisogna augurarsi che l’Italia tenga duro, e chiarisca che non può esserci alcuna opportunità in una politica dirigista e priva di costrutto. E’ vero, come ha detto Dimas, che la politica europea offre anche delle opportunità, ma non a tutti: solo a quelle imprese che sono riuscite a convincere i governi a sussidiare le loro attività. A pagarne il conto saranno tutte le altre imprese, i consumatori, e in ultima analisi la competitività delle nostre economie”. 
I due interventi sopra riportati ci sembra siano un buon esempio del conflitto e del dilemma, “più stato o più mercato”, che lacera da molti anni non solo il sistema energetico, ma più ampiamente tutto il nostro paese.
Le loro posizioni sono piuttosto esplicite, ma per il lettore meno avvezzo ai temi in questione, può essere utile qualche sottolineatura di quanto contenuto fra le righe di queste dueposizioni contrapposte.
Silvestrini, da buon rappresentante di una associazione che fa dell’ambientalismo, oltre che dell’energie rinnovabili, uno dei suoi cavalli di battaglia, insiste sul tasto del clima, facendo intendere che l’Italia si starebbe allineando/alleando con i paesi più insensibili alle problematiche ambientali.
Il punto più importante del suo discorso ci sembra peraltro il fatto che, secondo lui, chi sostiene simili posizioni oltre a essere un nemico dell’ambiente, non fa altro che raccogliere “
il malessere del mondo industriale che sulla partita del clima si è mosso tardi e ora si trova in difficoltà” di fronte alla possibilità, già in qualche modo in atto, che le forti spinte politiche della UE facciano  decollare una trasformazione epocale del sistema energetico europeo, nel quale prenda potentemente piede il comparto delle energie rinnovabili. Se le industrie e il sistema energetico italiano non è pronto per questa trasformazione, se questa rivoluzione costerà un’esagerazione e finirà come sempre per pesare sulle tasche dei consumatori, peggio per loro, questo è il prezzo da pagare per la salvezza del pianeta. (nda: che poi questo coincida conil bene della  lobby delle imprese che si occupano di energie rinnovabili, che è stata tanto accorta da investire pesantemente in questo settore ed ora vuole cogliere il frutto dei suoi sforzi, è un particolare secondario).
Stagnaro ha capito bene qual’è la vera posta in gioco, ed è anche ben cosciente che l’industria italiana è rimasta indietro in campo energetico. Bisogna pertanto cercare di riguadagnareil tempo perduto, in modo da evitare che su
di noiricadano solamente i costi, e non i vantaggi, che la trasformazione del sistemapotrà comportare. Egli non sembra negare la necessità di tale trasformazione, ma da buon liberista sostiene che sarebbe meglio dare più spazio alle dinamiche spontanee del mercato, cioè  lasciar crescere le rinnovabili, non solo a forza di incentivi statali, ma al ritmo che è consentito dalgraduale miglioramento della loro convenienza economica. Per questo sottolinea fortemente che è in atto un tentativo di imporre in Europa una politica dirigistica in campo energetico, che approfitta dei timori sui possibili cambiamenti climaticiper far passare una trasformazione del sistema energetico europeo che favorirebbe fortemente solo una parte delle imprese europee, quelle chesi sono già attrezzate per sostenere un forte sviluppo delle energie rinnovabili. Questa politica è secondo Stagnaro in contraddizione con l’altra forte spinta della politica europea, che da vent’anni a questa parte ha sconvolto il Vecchio Continente, col tentativo di liberalizzare il mercato dell’energia, in particolare nei fondamentali settori dell’elettricità e del gas (nda: che poi tale processo di liberalizzazione sia stato a vantaggio dei consumatori finali ed abbia fatto diminuire i prezzi dell’energia ci sembra sia tutto da dimostrare).