L’eterno conflitto fra tecnologia e finanza

Benedetta CappelliniArticoli

Diciamocelo chiaro, “il sogno americano” di un mondo nel quale la buona volontà e la voglia di lavorare, unita ad una tenace fede nel progresso e nella tecnologia, sono capaci di creare libertà e benessere diffuso per tutti, hanno un perenne contraltare in quel vero incubo che sono le crisi finanziarie, nelle quali periodicamente gli Stati Uniti precipitano, facendo un gran male a se stessi, ma coinvolgendovi sempre più, con l’andare del tempo, un’economia mondiale globalizzata, nella quale, come per il clima, sembra quasi  si possa dire che “basta un battito d’ali (forse non di farfalla, ma di avvoltoio) a Wall Street, per provocare un uragano a Francoforte”.
    Anche senza riandare alla grande crisi del ’29, che ebbe altre cause scatenanti, basta ricordare che in quest’ultimo decennio, non certo in periodi di recessione, ma di grande espansione e sviluppo dell’economia mondiale, i pescecani di Wall Street  ci hanno già regalato due pesanti crisi finanziarie, quella del 2001,  e quella attuale. La prima fu scatenata da una pesante  bolla speculativa sulla veloce crescita del settore informatico e delle nuove tecnologie; quella attuale  nasce dalla speculazione sui mutui fondiari subprime, ma  ha sullo sfondo anche le pesanti tensioni sul prezzo del petrolio e delle materie prime, in buona parte amplificate dalle speculazioni finanziarie sui prezzi stessi.
    Non abbiamo titoli per proporre analisi o ricette correttive, ma non possiamo fare a meno di osservare che sarebbe l’ora di dire basta a questo gioco al massacro della finanza che pretendendo di amplificare senza sforzo, con puri giochetti contabili-speculativi, la ricchezza creata dalla fatica e dal lavoro di miliardi di persone, finisce per provocare disastri che si risolvono a danno di tutti.
    Basta dunque con lo strapotere delle finanza. Gli unici “amplificatori” accettabili della ricchezza sono il lavoro, l’ingegno  e la creatività tecnologica. È necessario tornare rapidamente, come ha giustamente osservato il ministro Tremonti, ad una economia della manifattura. E se i politici non saranno sufficientemente decisi in questa direzione, siano anche i tecnologi e gli scienziati ad opporsi a che la finanza, invece di bene amministrare, rovini  i loro sforzi ed il loro lavoro a beneficio del comune benessere.
    E forse non è male in questa occasione, ricordare due pensieri del grande (e pur discutibile) americano Henry Ford, che così scriveva nel 1926 nel suo libro My Life and Work:
    “Il capitale che non crea costantemente nuovi e migliori posti di lavoro è più inutile della sabbia. Il capitale che non crea costantemente migliori condizioni di lavoro e una più giusta ricompensa del lavoro quotidiano non svolge il suo ufficio più alto.”
    “Tanto le smisurate ambizioni del capitale speculativo, quanto le irragionevoli richieste della manodopera irresponsabile, sono dovute all’ignoranza della base economica della vita.”
    “Il denaro messo in un’impresa… cessa di essere denaro.. e diventa un motore della produzione. Qualsiasi reddito (del denaro) dovrebbe arrivare dopo che ha prodotto qualche cosa, non prima…
Il luogo in cui viene finanziata un’impresa industriale è l’officina e non la banca…un uomo che opera nell’industria… se diventa troppo esperto di questioni finanziarie finirà col pensare che potrà prendere a prestito il denaro, anziché guadagnarselo…”