Ci sono persone che in ogni epoca rimpiangono il passato, si lamentano del presente e temono i cambiamenti che il futuro porterà. Non è tanto questione di condizioni, è proprio un tipo umano fatto così. Oggettivare in una minaccia esteriore, reale e drammatica, la paura soggettiva dell’incertezza e del cambiamento: questo l’esorcismo che si pratica. Così, dopo il totalitarismo politico, la guerra nucleare e la stagione del terrorismo islamico ecco il cambiamento climatico.
Noti -catastrofistici- pronostici di inizio ‘900 prevedevano che le città del XX secolo sarebbero state letteralmente seppellite dallo sterco di cavallo se lo sviluppo di quel tipo di mezzo di trasporto fosse continuato senza sosta. Probabilmente chi aveva fatto quelle previsioni non aveva commesso errori di calcolo, aveva però isolato un solo aspetto del problema da un contesto più generale. La soluzione non venne dalla limitazione all’uso dei cavalli, ma dal superamento di una “tecnologia” divenuta obsoleta tramite altre tecnologie che la “pressione sociale”, in qualche modo espressa anche dalle Cassandre di allora, contribuì a far nascere. Ma, ironia della sorte, l’avvento della locomozione “horse free”, allora salutata come una vera liberazione, avrebbe presto dato luogo a nuovi incubi.
Oggi gli scienziati che si occupano del cambiamento climatico registrano dalle loro osservazioni e dalle loro analisi tre fatti: c’è nel passato del nostro pianeta una stretta correlazione tra temperatura media e concentrazione di biossido di carbonio, quale che ne sia la fonte; e il tasso di immissione di questo gas in atmosfera è oggi molto elevato rispetto al passato storicamente conosciuto. Inoltre la temperatura media del nostro pianeta è, negli ultimi decenni, in aumento. Buona parte di questi scienziati -non tutti- sono portati a pensare dalle loro analisi che le attività umane giochino un ruolo importante nel cambiamento in corso. Tutti, scienziati o no, sanno che il clima è cambiato molte volte sulla Terra, ben prima che l’uomo imparasse ad accendere il fuoco.
Il passo tra queste osservazioni e la previsione del clima del futuro prossimo venturo è tutt’altro che breve. I meccanismi che rendono il nostro pianeta abitabile e persino accogliente in gran parte della sua superficie sono molteplici e interagiscono tra loro in modo complicato. La scienza è solo all’inizio del suo cammino di comprensione in questo campo e, se è in grado di identificare molti di tali meccanismi, il peso delle loro influenze reciproche è largamente materia di ipotesi. Le previsioni del clima futuro (o l’analisi del clima del passato) sono, a tutt’oggi, una faccenda da laboratorio di calcolo: si lancia, si vede, si aggiusta, si ripete, si cambia… Nel frattempo, così vuole la prassi della scienza moderna e dei suoi finanziamenti, si pubblicano risultati ad ogni progresso compiuto. Risultati validi, nella maggioranza dei casi, ma non necessariamente definitivi o comprensivi di tutti i fattori. Ci sono indicazioni, non certezze, che il fattore delle attività umane, tra gli altri fattori, possa contribuire al cambiamento del clima. Non ci sono certezze che esso sia determinante. Non vi è alcuna certezza che il cambiamento in atto sia una minaccia senza precedenti nella storia del nostro pianeta.
Questo non implica che non vi siano motivi di preoccupazione. Un cambiamento del clima planetario avrebbe conseguenze importanti, quale che ne sia la causa. E, per la verità, se c’è qualcosa di certo è proprio che il clima cambia periodicamente sulla Terra, indipendentemente dalla volontà e forse anche dalle azioni dei suoi abitanti. Certo, ridurre le emissioni non può far male. Governare l’influenza dell’uomo sull’ambiente, anziché lasciare le cose al caso è un obiettivo da perseguire. Eliminare gli sprechi, specie se questo può liberare nuove risorse è giusto e doveroso. D’altra parte non si può nemmeno considerare il problema della limitazione delle emissione di gas serra senza tenere conto dell’altro grande problema collegato, quello dell’approvvigionamento energetico di cui l’uomo ha bisogno quasi come del pane. Si tratta di quella quota più o meno modesta di energia che consente a ciascuno di vivere con dignità (non si pensi alle luci di Las Vegas o agli yacht degli sceicchi arabi) e che pure corrisponde ad una parte importante delle emissioni di gas serra.
Un problema così complesso e così profondamente legato allo stile di vita dell’uomo moderno può essere adeguatamente affrontato in un clima di allarme nel quale soluzioni affrettate rischiano di essere peggiori del male che intendono evitare?
Non può essere affrontato che tenendo conto di tutti i fattori in gioco. Incluso il limite della nostra conoscenza e della nostra capacità di azione. Prevedendo il prevedibile, ma consci che ad un certo punto ci si troverà di fronte all’imprevedibile.
L’essere umano naturalmente si protende sulla realtà: cerca di conoscerla e di manipolarla secondo uno scopo. In questa dinamica di conoscenza e di azione, egli cerca di conformare alla realtà stessa l’immagine ideale che lo stimola dal di dentro, attraverso la realizzazione di un progetto che gli garantisca un benessere maggiore. La storia dell’uomo è costellata di tentativi in questo senso, realizzazioni positive e risultati aberranti. L’aberrazione nasce quando l’uomo si crede onnipotente, misura di tutto, indipendente dalla realtà che lo precede e lo circonda.
Ma l’uomo inizia ad affermare veramente se stesso accettando di esistere: accettando una realtà che non si è dato da sé. Il proprio limite, di comprensione ancora prima che di azione, è il segno drammatico di questa dipendenza originale dell’uomo. La dimenticanza del limite, la fede incontrastata nelle “magnifiche sorti e progressive” non rendono l’uomo più protagonista nel reale, bensì lo impoveriscono irrimediabilmente, costringendolo a vivere nell’illusione del dominio della realtà confidando che “un giorno”, “finalmente” il “progresso” ci libererà dalla dipendenza dalla realtà.
La realtà, nella sua dimensione sorprendente di bellezza gratuita e maestosa, esercita un richiamo originale su di noi. Abbiamo bisogno della bellezza della realtà, per vivere, per conoscere, per iniziare ad amare noi stessi e il nostro destino. Il nostro pianeta ne è uno dei segni più grandi e meravigliosi.
Accusare l’uomo di essere un virus o credere che sia il dominatore incontrastato del mondo non aiuta a vivere meglio: senza senso del limite non c’è protagonista della storia.
Spunti da un dialogo tra i membri della redazione del sito web di Euresis.