La ritirata dei ghiacciai alpini preoccupa molto Sua Maestà

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Roma. Accademia dei Lincei. Uno stimato scienziato sta tenendo una lezione dal titolo “Sull’attuale regresso dei ghiacciai sulle alpi”. L’analisi è seria, i dati su cui si basa accurati e precisi: negli ultimi vent’anni le giornate di neve nei dodici mesi sono diminuite quasi improvvisamente. Nella prima decade del secolo le giornate nevose sono state duecentoquarantatré, con una media di ventisei giorni di nevicate all’anno. Prendendo in considerazione un periodo lungo il doppio si osserva come le giornate nevose siano state centosessantasei. Otto all’anno. Il clima sta cambiando, i ghiacciai si ritirano.
Occorre però una precisazione. La lezione “sull’attuale regresso dei ghiacciai sulle alpi” con annesse e connesse citazioni di dati sulla mancanza di nevicate sulle cime è del 1881, la decade con molte precipitazioni è quella che va dal 1797 al 1806 e i vent’anni “asciutti” sono il periodo dal 1857 al 1876. Ne parla un articolo apparso su Internet in questi giorni a firma di Fabio Malaspina, che racconta di questa strana lezione su un argomento oggi tanto di moda. Lo scienziato che parlava a quella seduta dei Lincei era l’abate Antonio Stoppani. Tra il pubblico, Re Umberto e Margherita di Savoia, appassionati (e probabilmente preoccupati, date le notizie) conoscitori delle montagne. Al termine della relazione i sovrani si avvicinarono al geologo e gli fecero i complimenti. Con un po’ di apprensione, Re Umberto domandò a Stoppani: “Cosa possiamo fare? Che succederà?”.
Antonio Stoppani è considerato il padre della geologia italiana. Grande studioso, si impegnò nella didattica e nella divulgazione scientifica per tutta la vita. Tra i suoi scritti, quello di maggior successo fu “Il Bel Paese”, pubblicato nel 1873. Parlando delle bellezze d’Italia, Stoppani si sofferma sulla inesorabile ritirata dei ghiacciai: “È falso che alle Alpi italiane manchi questo stupendo ornamento. Tutt’altro: i ghiacciai ci sono, e come sono belli! Soltanto sono meno sviluppati”. Lo scienziato descrive poi la scomparsa del ghiacciaio di Forno auspicando però che nel giro di qualche anno “esso avrà riparato le sue rovine”. Ma gli anni in cui Stoppani scriveva erano quelli della fine della cosiddetta “piccola era glaciale”, per cui “il ghiacciajo del Forno andò sempre più peggiorando e per- La ritirata dei ghiacciai alpini preoccupa molto Sua Maestà dendo terreno in questi ultimi anni, che segnano un periodo di regresso universale dei ghiacciai alpini”, come scrive in una nota il geologo.
Ma poco più di un secolo prima, nel 1742, Pierre Martel annotava, parlando del Monte Bianco, che “gli abitanti di queste zone dicono che le valli di ghiaccio erano un tempo abitate, e che c’era un gran numero di case; ma una fata che dominava su di loro, irritata per qualche lamentela, li maledì. Perciò da allora, il loro paese è sempre rimasto coperto di ghiaccio”. Superstizione popolare a parte, l’osservazione è chiara: una volta c’erano le case, ora il ghiaccio. Nessun allarmismo. Centocinquant’anni dopo ci sono di nuovo le case. Nessun catastrofismo. Tra il 1960 e il 1980 poi, l’auspicio di Stoppani sui ghiacciai che “riparano le loro rovine” si avvererà con un nuovo aumento delle nevi perenni. Tutto normale. L’abate Stoppani osservava la realtà e studiava quanto successo nella storia e raccontato da secoli di testimonianze. Ecco perché al preoccupato Re Umberto che voleva sapere cosa si potesse fare per impedire lo scioglimento dei ghiacci potè rispondere: “Non si preoccupi, lasci fare alla provvidenza”.