Quando il presidente degli Stati Uniti, George Bush, bloccò i finanziamenti federali ai progetti di ricerca che prevedevano la distruzione di embrioni umani, ci furono violente polemiche. Eppure Bush non aveva vietato gli studi sulle staminali embrionali (che sono andati avanti con fondi privati, o di singoli Stati) ma solo esercitato il diritto del governo a privilegiare alcuni indirizzi di ricerca ad altri. Da quel momento, infatti, si sono moltiplicati i tentativi di trovare nuove strade, eticamente accettabili, per ottenere cellule staminali senza sacrificare gli embrioni. Il blocco dei fondi non è stata l’unica molla, perché già da alcuni anni i ricercatori erano impantanati in mille difficoltà. La prima è il reperimento degli ovociti, necessari alla creazione di embrioni in laboratorio; le donne, a cui si chiede di donarli, sono restie a sottoporsi a trattamenti pesanti e rischiosi per puro ‘spirito di servizio’ nei confronti della scienza. Ma anche per i centri che hanno avuto centinaia o migliaia di ovociti a disposizione, la clonazione terapeutica è rimasta un miraggio, il Santo Graal della ricerca: nessuna staminale embrionale umana è mai stata prodotta con la tecnica della clonazione. Inoltre proprio la virtù principale di queste cellule, la totipotenza, le rende difficili da controllare e propense a generare tumori.
Tutto questo era già noto quando, appena insediato il governo Prodi, il ministro Fabio Mussi ha tolto la firma dell’Italia dalla cosiddetta minoranza di blocco, che impediva che fondi comuni europei fossero destinati alla ricerca sugli embrioni. I fatti, a distanza di poco più di un anno, dimostrano che Bush ha avuto ragione, e Mussi torto. Ieri sono stati resi pubblici due studi convergenti, uno americano e l’altro giapponese, che rivoluzionano il campo delle staminali, aprendo prospettive di ricerca totalmente nuove. Si tratta, in entrambi i casi, di riprogrammare cellule adulte per trasformarle in cellule staminali ‘pluripotenti indotte’, simili, ma non identiche a quelle embrionali. Gli esperimenti sono agli inizi, ma sono bastati a Ian Wilmut – lo scienziato che ha determinato il successo della tecnica di trasferimento del nucleo, clonando la pecora Dolly – per annunciare al mondo l’abbandono della clonazione, ritenuta ormai una tecnica deludente e obsoleta.
Il danno, però, è fatto. In Europa il gesto di Mussi ha permesso che venissero finanziati, con i soldi di tutti, progetti di ricerca sulle cellule staminali embrionali. Ma oggi lo sterminio di embrioni rischia di essere una forma di accanimento ideologico privo di serie giustificazioni scientifiche e tantomeno umanitarie, visto che le terapie promesse si sono rivelate illusorie. Come rimediare? Facciamo una proposta: una moratoria europea, che permetta di sospendere per 5 anni la distruzione di embrioni umani. Nel frattempo, i laboratori possono usare le linee cellulari esistenti, senza dover interrompere gli studi già intrapresi e finanziati dall’ultimo programma quadro. Ma basta con la catena di smontaggio degli embrioni, con la creazione di esseri umani destinati ad essere vivisezionati entro il quattordicesimo giorno. Diamo tempo alle nuove tecniche di svilupparsi e dimostrare la propria validità, e cominciamo a utilizzare anche nel campo dell’umano quel principio di precauzione così spesso invocato dagli ambientalisti.
Il presidente del Consiglio Romano Prodi, insieme al suo governo, si è meritoriamente adoperato per la moratoria sulla pena di morte nel mondo, mettendo in gioco il peso dell’Italia. Gli chiediamo di farlo anche per sospendere, nella civile e democratica Europa, l’inutile condanna a morte degli embrioni umani.