Un caffé con… gli scienziati

Benedetta CappelliniArticoli

Venerdì, 24 agosto 2007, ore 13.45, Padiglione C1 (Le foto dell’incontro)
Relatori: George Smoot, Premio Nobel per la fisica 2006; 
Marco Bersanelli, Docente di Astrofisica all’Università degli Studi di Milano.

Moderatore: Bernhard Scholz, Responsabile Dipartimento Formazione Fondazione per la Sussidiarietà.
Bernhard Scholz: Sono veramente contento di potervi presentare George Smoot, premio Nobel 2006 per la fisica. Alla sua destra Marco Bersanelli, docente di astrofisica a Milano. Sono poche lo occasioni così ottimali per sentire carriere professionali importanti e poter confrontarsi con i loro criteri di scelta. Perché questo è il tema: come mai una persona è arrivata dove è arrivata! Nella vita non c’è niente di scontato e noi vogliamo aiutarci a comprendere quali sono i talenti che bisogna avere, quali sono le preferenze che uno deve dare, quali sono i criteri che deve utilizzare, quali sono le scelte da fare per poter esprimere al massimo ciò che ci è stato dato. In questi incontri Caffé con…, non presento io le persone, ma sono loro che si presentano in prima persona.

George Smoot: Buongiorno Rimini! È un piacere essere qui e avere l’opportunità di parlare con voi. Questa domanda – come sei diventato uno scienziato? – mi è stata fatta molte volte quest’anno. Ho dovuto pensarci, ho voluto anche scriverlo in una mia biografia. Per prima cosa devo riconoscere l’importanza della mia famiglia, per avermi introdotto e fatto capire l’importanza dell’educazione: è stato molto importante il modo in cui i miei genitori mi spiegavano le cose. Quando sono andato in università, il desiderio di imparare come fosse fatto il mondo era già molto importante per me. Volevo capire in che modo il mondo si fosse sviluppato e il motivo per cui fosse fatto in questo modo. Comprendere e conoscere ti permette di fare delle cose nella vita, di trattare la vita in un modo che non potresti se non le conoscessi. Ho pensato a molte possibilità di carriera, compresa quella di diventare medico e guarire le persone. Molte possibilità erano aperte, ma seguendo certi corsi era chiara la preferenza. Mi interessavano soprattutto i corsi in fisica e astronomia: erano difficili ma erano molto affascinanti e mi soddisfacevano molto. 

    Io ho incominciato la mia carriera guardando il mondo microscopico, cioè le particelle elementari e in quel tempo c’erano molte più possibilità di fare scoperte in questo campo. Ho pensato che fosse importante andare in un posto dove queste scoperte venivano fatte, in cui ci fosse la possibilità di coinvolgersi. Non mi ero dimenticato del mio interesse sulla astronomia e sull’universo, ma è come se per un periodo lo avessi messo da parte. Poi finalmente mi sono trovato in un posto dove questi studi sulle particelle elementari e sul livello macroscopico dell’universo erano studiati insieme. Quindi guardando le possibilità di carriera disponibili, ho cercato qualche cosa che mi permettesse in qualche modo di tener vive entrambi le cose. È importante porsi nuove domande, cercare di vedere dove queste trovano risposta e, in questo modo, costruire un proprio cammino. È molto importante quindi essere interessati a quello che si fa e imparare a farlo, avere una passione per la scienza e un modo per farla.


Marco Bersanelli: A me è successo che fin da ragazzino, fin da quando avevo 12, 13 anni, ho incominciato ad avvertire un fascino forte – non ben elaborato ma evidente – per la grandezza dell’universo ed era talmente forte che quasi non mi lasciava dormire la sera. Anche io sono stato aiutato molto dal modo con cui i miei genitori mi hanno introdotto a guardare le cose. Ad esempio, mi ricordo quando andavamo a cercare i funghi nel bosco, come mio padre mi faceva vedere certi fiorellini, che magari sono quasi invisibili, ma se ti chini e li guardi da vicino sono bellissimi. Così ho scelto poi di fare il liceo scientifico e poi all’università ho scelto fisica, anche se ero un po’ incerto: ero molto attratto anche dalla filosofia e anche dalla bellezza della letteratura. Lasciando questo interesse potenziale per gli aspetti umanistici mi sembrava quasi di dover rinunciare a qualche cosa. In realtà, nel tempo, mi sono accorto che andando avanti con serietà lungo la propria strada – che poi ho scelto essere quella scientifica – si riscopre in un modo imprevisto quella stessa passione anche per la letteratura, per l’arte, per tutto ciò che è bello, che è vero. 
    Finita l’università, ho avuto l’occasione grande di andare in California con una borsa di studio, con pochi soldi, molti pochi soldi. Ho sposato mia moglie e subito dopo siamo partiti. Non avevo un lavoro preciso, se non la possibilità di andare in un gruppo dove capivo che le cose si facevano veramente e – forse ho pescato un jolly, come si dice quando si gioca a carte – sono finito nel gruppo di George. George realmente è stato per me la possibilità di avere un maestro da guardare, per come è lui stesso coinvolto in quello che fa, nella passione che mette nella sua ricerca e poi per come ha saputo valorizzare, apprezzare, rischiare sulla mia persona. Io mi ricordo quando sono arrivato a Berkley nel 1986, fresco di laurea e con un inglese da scuola superiore. George, appena arrivai, mi chiese di preparare una piccola relazione da presentare pubblicamente a tutto il suo gruppo di astrofisica per la settimana dopo. Mi ricordo che ero molto impaurito, ero molto teso per questo, tuttavia percepivo che qualcuno si aspettava qualche cosa di importante da me, che ero guardato come qualcuno che poteva portare – anche se inesperto – una piccola ma reale responsabilità. Forse quella è stata la prima volta che, seriamente, realmente, ho capito che avrei potuto rischiare la mia vita su una carriera così. È importante incontrare le persone giuste e ne ho incontrato tante altre che mi hanno dato molto. Insieme a George poi siamo andati in Antartide, abbiamo continuato a collaborare, insieme anche a tante altre persone in Italia: Giorgio Sironi, con cui mi ero laureato, e Reno Mandolesi più recentemente. Adesso realizziamo insieme un grande progetto, Planck, di cui anche George ha parlato. È interessante vedere come questi progetti nascono da rapporti umani e il nostro stesso interesse viene continuamente alimentato e resuscitato da un rapporto con persone che lo condividono.


Scholz: Questo grande interesse per la scienza è innato o è una cosa che dipende dall’educazione? Faccio la domanda anche da un altro punto di vista: perché così tanti giovani oggi non studiano più materie scientifiche? Dipende dall’educazione? Dipende dalla difficoltà di queste materie che sono veramente non facili? Da che cosa dipende?


Smoot: Io credo che le persone giovani siano interessate a studiare la scienza, siano interessate a studiare qualunque cosa, ma spesso le persone che insegnano loro scienza, soprattutto verso l’inizio, non hanno avuto un allenamento nella scienza e non sono a loro agio nel raccontare la scienza. C’è stato così tanto progresso nella scienza negli ultimi anni che spesso uno può sentirsi indietro come insegnante. In realtà, la scienza è veramente qualche cosa di molto interessante e non finisce mai di darti l’opportunità di veder cose nuove, anche nella tua vita quotidiana. È importante per una società moderna e per le persone avere questa apertura verso la scienza e incoraggiare i giovani ad imparare la matematica e la fisica, anche perchè almeno una piccola percentuale delle persone che guardano alla scienza così saranno di fatto quelle che potranno introdurre grandi novità nella società per il bene comune e per la nostra vita. Come potrebbe vivere l’Italia ad esempio senza i telefonini cellulari? Se vi guardate intorno, la maggior parte delle cose, anche qui in Italia, che vi circondano e che sono utili alla nostra vita vengono da grandi intuizioni che sono state poi sviluppate per essere al servizio di tutti. Quindi non è sufficiente – o comunque non è soltanto importante – avere delle buone idee, bisogna anche riuscire a metterle in pratica, a renderle utili per la società. Molto spesso, da molti punti di vista, la ricerca scientifica è come il nucleo, la sorgente di novità che poi si estendono a tutta quanta la società.


Bersanelli: Forse una delle ragioni per cui può esser più difficile oggi avvicinarsi alla scienze fisiche è una minor opportunità per i giovanissimi di osservare la natura, di essere affascinati da aspetti naturali, che anche soltanto pochi decenni fa – parlo della mia infanzia – potevano essere più comuni. Oggi c’è più una opportunità di osservazione virtuale della realtà, tutto è molto più mediato; è molto più difficile oggi di quando ero ragazzino io vedere un cielo stellato per chi vive in una città come Milano. Non che allora fosse molto diverso, ma c’è una tendenza oggi a sopperire questo contatto con la realtà con qualcosa di virtuale. Questo non allena a stupirsi delle cose e – quindi – a farsi domande. Non dico che sia l’unico problema, ma credo che sia una componente che noi dobbiamo guardare. Un rapporto diretto con la realtà e la possibilità di essere introdotti a osservarla, lasciandosi stupire da quello che vediamo, lasciandosi attrarre e incuriosire da quello che vediamo. Per questo è interessante che entrambi abbiamo ricordato i nostri genitori quando noi eravamo bambini piccoli.


Domanda: Sono stata ieri all’incontro e avete parlato dell’accelerazione, dell’espansione dell’universo: può spiegarci in termini semplici?


Smoot: L’accelerazione dell’universo è semplice da spiegare, è molto difficile da comprendere. Immagina di avere una palla nella tua mano. Se la lanci verso l’alto nell’aria  essa compie una parabola. Andando verso l’alto sale sempre meno e poi, improvvisamente, invece di scendere ricomincia andare in su. Perché la palla ad un certo punto ricomincia andare in su? Noi possiamo misurare la dimensione dell’universo in rapporto al tempo e quindi possiamo misurare la traiettoria: effettivamente vediamo questa strana forma che rallenta e poi accelera. Oggi l’universo si sta espandendo più rapidamente di quanto non si sia espanso poco tempo fa, in termini cosmici. Non sappiamo perché ma possiamo fare dei modelli semplicissimi che si adeguano molto bene a quello che vediamo.
L’altra cosa sorprendente è che questo potrebbe prevedere un futuro molto oscuro, perché le galassie che ho mostrato ieri e che noi possiamo vedere oltre la nostra galassia, a causa dell’accelerazione, andranno oltre a quello che noi potremo vedere. L’universo si espanderà così rapidamente che la luce non ce la farà più ad arrivare a noi dalle galassie distanti. Quindi, nel lontano futuro, potremmo essere molto più soli nell’universo, a meno che qualcosa ferma questa accelerazione. Per questo ci interessa molto cosa la stia provocando. Questo è un buon materiale per i filosofi. Comunque ci sono miliardi di anni nel futuro per i filosofi, per pensare a questa cosa!

Domanda: Mi rendo conto che c’è un interesse nei confronti della scienza – ci sono tante riviste per i bambini, per i ragazzi – però ho la sensazione che a volte questa cosa si limiti semplicemente a spiegare dei meccanismi, per cui, sebbene si capisca come funzionino le cose, poi, rispetto alla realtà, questa cosa non genera un interesse reale e una intelligenza. Educare alla curiosità significa semplicemente capire i meccanismi che regolano la natura?

Smoot: Non sono d’accordo. Credo che quando tu comprendi come è fatto un arcobaleno, l’arcobaleno sia ancora bello. Ci sono altre cose che cominci a cercare in quell’arcobaleno: l’ordine dei colori, il secondo arcobaleno doppio, e – adesso che la gente può andare in aeroplano – si può vedere un arcobaleno completo, circolare. Il fatto che tu lo comprenda non significa che non sia più bello. È come sapere di più di un dipinto che ti fa apprezzare di più questo dipinto.
Domanda: Vincere il premio Nobel ha cambiato qualche cosa nella sua vita?
Smoot: Ha fatto un certo numero di differenze, ad esempio esser invitato qui. Mi è capitato di portare delle principesse a cena, vado a molte conferenze pubbliche, per musei e biblioteche e all’università. Impegna un sacco di tempo ma mi permette di parlare a persone giovani e penso che sia molto importante incoraggiare i giovani a guardare la scienza, ad andare alla scienza e cercare di lasciare l’educazione e l’apprezzamento della scienza in uno stato possibilmente migliore di quello che è stato dato a me. È una cosa che diceva prima Marco, ma che anche io voglio sottolineare. Tu hai nella tua vita dei maestri, dai genitori a chi ti introduce nella tesi e oltre. Uno può tracciare la propria genealogia scientifica in termini di rapporti umani, dal proprio relatore di tesi e così via fino a Fermi e Galileo. Per tutti noi il riferimento a Galileo è molto importante, perché è stato chi per la prima volta ha cominciato a usare in modo veramente serio questo metodo scientifico. Molta gente cerca di vedere se c’è un’eredità genealogica con qualche livello di nobiltà: per noi è più importante la genealogia di Galileo in questo caso.
Domanda: Io in matematica ho sempre avuto delle difficoltà (ho scopertodi essere in buona compagnia visto le polemiche che ci sono in Italia sulla poca istruzione scientifica, soprattutto in matematica). Che meno per meno dia più per me è un mistero o che un debito moltiplicato per un altro debito mi dia un credito è una cosa che mi sconvolge. Io ho sempre avuto degli insegnanti che in matematica non sono mai stati in grado di insegnare a me come a tanti altri che hanno questa difficoltà. C’è la possibilità anche per me, magari attraverso altre discipline – umanistiche per esempio – di comprendere le stesse cose?

Smoot: Commenterò citando Galileo, secondo il quale il linguaggio in cui la natura è scritta è la matematica. Questo non significa che se tu non riesci a fare la matematica non puoi comprendere il mondo, vuol dire che devi affrontarlo in una maniera differente. Una persona che conosco abbastanza bene, Steven Hawking, che è molto bravo in matematica, a causa della sua malattia non può scrivere, quindi fa tutto nella sua mente. Per lui la matematica è qualcosa che avviene nella sua mente. Molti altri invece sono più come me, che prima hanno una visione mentale di un problema e poi dopo arrivano alla matematica. Quindi è possibile, ma ci vuole più lavoro per visualizzare.
Domanda: Bersanelli all’inizio ha detto che gli è stata data l’opportunità di scrivere una breve relazione anche se non sapeva bene l’inglese. Volevo chiederle come mai ha dato questa opportunità a Bersanelli? Cosa ha visto in questa persona (dato che oggi la tendenza è prendere a lavorare con sè persone con sempre più esperienza)?

Smoot: Quando tu assumi o prendi a lavorare qualcuno con te, punti più sul suo talento che sulle cose che sa. Quando tu prendi a lavorare con te qualcuno in qualcosa di fondamentale, in cui c’è bisogno di scoprire cose nuove, bisogna condividere questa responsabilità. Invece, se devi assumere qualcuno per rifarti il bagno, c’è bisogno di qualcuno che ha esperienza e che è veloce. Quando vuoi scoprire il fondo dell’universo cerchi qualcuno che ha curiosità, voglia di lavorare duro e che apprezza quello che fa!
Domanda: Recentemente ho letto il libro di uno scienziato, Francis Collins, che, studiando il genoma, ha fatto questa affermazione: “È più difficile credere che la legge del genoma sia affidata al caso piuttosto che a una legge di una mente superiore”. Questo è possibile affermarlo anche guardando l’universo?

Smoot: Quando guardiamo la distribuzione delle galassie e delle stelle nell’universo, vediamo che essa è rappresentata piuttosto bene da una legge random, cioé esse sono distribuite in modo apparentemente casuale, come delle monete lanciate in uno spazio. Quando guardiamo porzioni dell’universo, all’interno di esse la materia, la realtà fisica è distribuita come qualcosa che può essere descritta come un processo stocastico. Se si vuole affrontare una questione di un progetto nell’universo, questo deve essere visto da un’angolatura ancora più ampia, cioè che cosa lo tiene insieme? Come mai ci sono le leggi che ci sono? E così via. Noi vediamo un universo che contiene miliardi e miliardi di galassie, ciascuna con delle stelle, ciascuna con centinaia di miliardi di stelle, e con pianeti, il nostro caso potrebbe essere uno di tanti. 

Bersanelli: Questa è una questione naturalmente molto importante. Se noi guardiamo al modo con cui noi facciamo scienza e troviamo risposte alle domande che scientificamente possiamo porci, noi non abbiamo bisogno di fare ipotesi particolari su una direzione in cui l’universo si trova. D’altra parte, quando noi guardiamo l’universo dal nostro punto di vista di esseri umani, non più semplicemente di scienziati che cercano nel piccolo passo di cogliere il segreto di come stanno le cose, ma lo guardiamo come persone nella nostra interezza, quindi con un desiderio di verità e di senso, noi possiamo godere ancora di più di vedere il panorama dell’universo come qualcosa che in qualche modo ha reso possibile la nostra presenza. Noi non possiamo certo pretendere che con la scienza noi possiamo dimostrare scientificamente una finalità, ma, d’altra parte, non c’è nessuna contraddizione tra la nostra esperienza di una finalità e quello che noi conosciamo attraverso la scienza.

Domanda: Io sono maestra elementare e, come tale, sento la responsabilità di essere una delle prime persone che introduce altre persone alla conoscenza della matematica o anche della fisica. Allora volevo chiedervi se avete esperienza o ricordi, anche dei vostri primi maestri, esempi positivi che vi hanno aiutato nella conoscenza e nella curiosità che avevate rispetto anche a queste materie. C’è un atteggiamento che i vostri maestri hanno avuto nei vostri riguardi, che hanno favorito il vostro percorso?

Smoot: Ricordo sicuramente alcuni insegnanti dei miei primi anni di scuola, però sono ricordi di una curiosità che mi hanno aperto su tutto, non particolarmente sulla scienza, anche perché la scienza non era una materia a parte, era parte degli social studies, quindi parlavamo del governo, dell’ambiente, della scienza.

Bersanelli: Io posso solo dire, come ho già detto prima, che quando avevo 12, 13 anni, forse non alle elementari ma alla scuola media, c’è stata una insegnante in particolare che ha come soffiato sul fuoco. Credo che per un insegnante sia molto importante capire che quello che voi state facendo è quello di far venire fuori le persone, non di mettere dentro qualcosa che non hanno, ma di farglielo scoprire in sé.

Domanda: Volevo chiederle se, secondo lei, è possibile in tutto l’universo, quindi miliardi di galassie come ha detto, che ci sia della vita, un’altra qualsiasi forma di vita?

Smoot: Credo che sia altamente possibile che ci siano altre forme di vita nell’universo. Noi vediamo miliardi di galassie, ci sono un centinaio di miliardi di stelle in ogni galassia, sappiamo che molte stelle hanno pianeti intorno a loro, oggi conosciamo circa 200 stelle che hanno pianeti, oltre al sole. È possibile che circa la metà delle stelle abbia qualche pianeta. C’è un tremendo numero di pianeti dove la vita potrebbe sorgere. Se guardiamo sulla Terra, ci sono molti posti in cui la vita potrebbe esistere, ad esempio nei posti freddi come l’Antartide, nelle faglie nel fondo degli oceani che sono molto bollenti e anche all’interno delle rocce. È possibile che si scopra che anche su Marte c’è stata vita in qualche momento. Credo che la vita sia quasi sicuramente presente. La questione è: vita di che tipo? Intelligente? E quindi la vita sta facendo qualche cosa di buono anche oggi? Quindi noi vogliamo che la società sia abbastanza salutare, tale per cui un domani si possa eventualmente fare una conversazione. Io penso che questo potrebbe essere possibile.

Bersanelli: È un dato di fatto quello che George ha raccontato: negli ultimi decenni, insieme a questa enorme espansione dell’orizzonte dell’universo conosciuto, per cui noi conosciamo tutti i posti in cui la vita potrebbe esistere ed è un numero straordinario, ci siamo anche resi conto di quanto è peculiare il nostro pianeta, non solo come punto in cui la vita è nata, perché la vita a livello elementare potrebbe essere qualcosa anche di molto diffuso. È molto interessante rendersi conto di quale straordinaria combinazione di fattori ha reso possibile l’evoluzione biologica. L’evoluzione biologica ha impiegato tre miliardi e mezzo di anni ad arrivare al punto di oggi e tutti i fattori che hanno sostenuto questo cammino della vita sono qualcosa di veramente impressionante. Quindi è veramente difficile, almeno questa è la mia sensazione, oggi avere un punto di vista di sicurezza in un senso e nell’altro. Credo che sia una delle questioni più appassionanti e più aperte che noi abbiamo oggi.
Domanda: Ho letto su una rivista che ci sono due ipotesi sulla fine dell’universo. La prima era quella che l’universo continuerà ad espandersi, mentre la seconda è quella che l’universo a un certo punto comincerà a restringersi finché non ne rimarrà più nulla. Quale è vera?

Smoot: Per molto tempo si è pensato che ci fossero soltanto due possibilità, un universo che dura per sempre o un universo che ricollassa su se stesso. Oggi c’è una terza possibilità: se l’universo continua ad accelerare, come si diceva prima, si stirerà radicalmente in un tempo finito, che è qualcosa di strano. Uno pensa che una cosa che diventa sempre più grande diventerà semplicemente più grande, ma è possibile che questa accelerazione si congeli a un certo punto e l’universo si contragga improvvisamente. È una situazione strana, in cui potremmo avere la fine del tempo come qualcosa che si contrae su se stesso o qualcosa che si espande infinitamente. A un certo punto della storia si pensava che l’universo potesse essere di un tipo particolare, un caso limite in cui stava proprio sulla frontiera di questa espansione per sempre. In questo senso la cosmologia tende a somigliare un po’ all’economia, è una scienza della previsione. In ogni caso avremmo comunque moltissimo tempo, miliardi di anni.
Domanda: Riguardo questa ipotesi di tanti universi, volevo sapere a che punto erano le cose, se c’era stato qualcosa passo in avanti rispetto a quello che lessi un po’ di anni fa.

Smoot: Ci sono state diverse versione di questa idea di molti universi, di tutti i tipi, compresa quella in cui a ogni scelta che tu puoi fare nella tua vita, scegliendo A invece di B, si crea sia l’universo A sia l’universo B, e quindi si crea un’infinità di universi a ogni possibile scelta. Quindi puoi decidere qual è il cammino migliore ma hai il problema di che cosa succede di tutti gli altri universi che non sono quelli buoni. Cosa ce ne facciamo? Se abbiamo un universo in cui la meccanica quantistica fa tutte queste decisioni, è lo stesso.
C’è un’altra possibilità: all’inizio ci potrebbero essere tanti universi come frutti su una pianta, quindi, in questo caso, non sarebbero universi completamente indipendenti, avrebbero un’unica origine ancora più grande, ma potrebbero essere leggermente diversi, proprio come le arance su una pianta non sono identiche, ci potrebbero essere variazioni da una parte all’altra dell’universo a seconda di dove guardiamo. Ma come puoi vedere dall’interno della stessa arancia come è fatta un’altra arancia? Ci dovrebbe essere un modo per comunicare con l’altra arancia. Di sicuro adesso non abbiamo nessun modo di immaginare come ma magari qualcuno di voi un domani potrebbe avere questa idea.

Domanda: Bersanelli lei andando in America sapeva che rischiava comunque molto della sua vita, rischiava praticamente quasi tutto. Cosa l’ha spinta ad andare così lontano e a rischiare così tanto?

Bersanelli: L’occasione è capitata e sono partito insieme a mia moglie, che avevo appena sposato, non sono partito da solo. Quello che ci ha spinto a partire era forse una confidenza, una fiducia, una ultima fiducia nella positività della vita, della nostra vita, perché, è vero, c’erano tante incertezze, di sicuro non avevo la più pallida idea che sarei andato a lavorare con il futuro premio Nobel per la fisica e che mi avrebbe insegnato così tanto. Non avrei potuto essere sicuro di fare la strada che ho fatto nel mondo della scienza, per esempio, però, anche i timori dell’incertezza erano superati da qualche cosa di positivo e di presente che vivevo con mia moglie e con altri amici, che mi dava l’evidenza che la vita è un bene e che le cose che capitano, capitano perché indicano una strada. Questo mi ha sicuramente sostenuto e per questo sono grato a tutte le persone che hanno reso questo possibile.

Domanda: Io studio biologia, sono al quarto anno. Prima si parlava di talento: guardando me, tutto questo talento non lo vedo. Passione: sì, abbastanza, anche se adesso è sovrastata spesso dalla fatica del tipo di studi. Non è da quando avevo 8 anni che volevo fare la biologa! C’è speranza? E, se c’è, in cosa sta? Su cosa puntare?

Smoot: Prima di tutto devi guardare te stessa, lavorare su te stessa, per credere che tu puoi fare qualcosa. È importante, oltre alla passione e l’interesse, coltivare la confidenza di quello che tu puoi fare, una tua confidenza di quello che è alla tua portata, e allora dopo, con questa confidenza, tu puoi affrontare il rischio, perché il rischio c’è sempre. Il rischio ti può portare a soddisfare o a non soddisfare l’idea che tu hai, ma è una strada che devi prendere tu, credendo in te stessa. Devi credere che tu lo puoi fare.

Bersanelli: Mia moglie ha studiato matematica per due anni e dopo ha smesso. Prima di tutto perché si è resa conto che la matematica non è il suo mestiere, e poi perché ci siamo conosciuti, ci siamo sposati, siamo andati in America. Ha fatto quindi una strada completamente diversa da quella che aveva immaginato iscrivendosi a matematica, ma non è che per questo la sua vita sia meno compiuta. Questo interesse, questa confidenza e questo rischio non dobbiamo fissarli rispetto a un’immagine, un progetto. La felicità della nostra vita potrebbe non essere dove adesso ce la immaginiamo, quindi dobbiamo anche essere aperti a quello che è la risposta della realtà su di noi. Non credo che mia moglie oggi sia meno felice perché non ha compiuto gli studi in matematica: è stata una strada diversa.

Scholz: Noi non sappiamo qual è il futuro dell’universo, ma di una cosa siamo certi, che tanti di voi hanno la possibilità di studiarlo e tutti i presenti hanno un talento da scoprire. Bisogna avere il coraggio di scoprire il proprio talento e scommettere su questo talento, non può essere una cosa che succede senza passione, senza impegno. Le cose non capitano così per caso, bisogna avere il coraggio di scoprirle. Poi penso che tanti insegnanti e tanti genitori hanno avuto l’occasione di essere stimolati nel loro impegno a far incontrare ai ragazzi la realtà, perché neanche lo stupore nasce per caso, siamo predisposti a essere stupiti, ma bisogna anche esservi portati. L’ultima considerazione: seguiamo i maestri che abbiamo. Oggi ne abbiamo incontrati due grandissimi. Chi avesse mancanza di coraggio, oggi gli è stato dato.

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