“…A che tante facelle?”

Benedetta CappelliniArticoli

Relatori:
Marco Bersanelli, Docente di Astrofisica all’Università degli Studi di Milano;
Francesco Bertola, Docente di Astronomia all’Università degli Studi di Padova;
Davide Maino, Curatore della mostra.
Moderatore:
Elio Sindoni, Docente di Fisica Generale all’Università degli Studi di Milano Bicocca.

 Elio Sindoni: Buongiorno. “A che tante facelle?”: la domanda di Leopardi è stata scelta come titolo della mostra scientifica che Euresis ormai da un decennio prepara per il Meeting di Rimini. Euresis è un’associazione che ha come scopo la promozione e lo sviluppo della cultura e del lavoro scientifico, a essa aderiscono professori, ricercatori universitari, ricercatori impegnati nelle industrie, dirigenti industriali, insegnanti. Abbiamo invitato a presentare questa mostra il professor Marco Bersanelli, professore ordinario di Astrofisica presso l’Università degli studi di Milano e presidente di Euresis. Bersanelli è da molti anni impegnato in un importante esperimento, il satellite Planck, che verrà lanciato nel 2008 e che svelerà molti dei misteri che ancora avvolgono i primi istanti di vita del nostro universo. Bersanelli darà una chiave di lettura di questa mostra parlando soprattutto di cosa ci ha spinto a realizzarla.
Interverrà poi il professor Francesco Bertola, professore ordinario di Astrofisica presso l’Università di Padova e accademico dei Lincei. Bertola è stato il principale ispiratore di questa mostra, poiché, oltre ad essere uno dei maggiori esperti sulla struttura dell’evoluzione delle galassie, ha studiato a fondo la mitologia, la storia e le rappresentazioni più antiche della Via Lattea, pubblicando anche il bellissimo volume “Via Lactea”. Il professor Bertola ci introdurrà appunto a questo mondo fantastico delle rappresentazioni mitologiche della Via Lattea.
Alcuni flash sulla composizione e sulla fisica delle galassie e, in particolare, della Via Lattea, saranno poi presentati dal dottor Davide Maino, ricercatore di Astrofisica presso l’Università di Milano, che collabora con Bersanelli sul progetto Planck e che è stato anche il principale curatore della mostra.
Infine vi condurrò io attraverso un breve giro simulato della mostra, soffermandomi su alcuni punti di particolare interesse. Prima di dare la parola ai relatori vorrei anche annunciare che questa mostra andrà poi in moltissime città italiane nella forma completa, ma verrà fatta anche una forma ridotta in una quindicina di poster ad uso delle scuole, per fare in modo che le scuole possano appenderle nelle aule e fare un lavoro di qualche mese con gli studenti. Vorrei ricordare che abbiamo pensato anche ai bambini, quindi sabato mattina ci sarà una presentazione della mostra e del catalogo ai bambini. La parola a Marco.

Marco Bersanelli: Come ha detto Elio Sindoni, il titolo di questa mostra sulla Via Lattea, che è una mostra prevalentemente scientifica, usa le famose, splendide parole di Leopardi: “E quando miro in cielo arder le stelle;/ dico fra me pensando:/ a che tante facelle?/ Che fa l’aria infinita, e quel profondo/ infinito seren? Che vuol dir questa/ solitudine immensa? ed io che sono?”. Perché tante stelle, a che scopo, che ci stanno a fare? Questa immensità dell’universo che oggi, attraverso la scienza, scopriamo essere un’immensità realmente abissale: la galassia, la nostra galassia è una realtà composta da qualcosa come duecento miliardi di stelle. Una vastità che supera la nostra immaginazione. Notate che Leopardi era anche un astronomo, si occupava di astronomia in modo serio. Certo non aveva tutta la profondità di visuale che, ad esempio, il telescopio spaziale Hubble ci dà oggi sull’universo, ma era consapevole in termini fisici della grandezza del mondo, quando scriveva questa parole.
Ma la domanda – a che? A che scopo? A che tante facelle? A che tante luci, tanto spazio? – è una domanda che riguarda lo scopo, il significato. “Che fa l’aria infinita, e quel profondo/ infinito seren?”: la profondità dell’Universo. “Ed io, che sono?”: qual è lo scopo del mio esistere in questo Universo? Sono domande che non riguardano il metodo scientifico, sono domande che riguardano il soggetto che si rivolge alla realtà anche usando, oggi, il metodo scientifico. Sono domande che si attaccano proprio alla radice della nostra esistenza. Dunque, l’ambizione di questa mostra scientifica, “A che tante facelle?”, non è quella di mostrare che la scienza risponde alla domanda di Leopardi. Piuttosto, quello che noi vogliamo far vedere, che abbiamo voluto scoprire noi stessi, più chiaramente, facendo la mostra, è che l’indagine scientifica non è nemica della domanda di Leopardi, non è in alternativa, non si oppone a quella esigenza di significato. Normalmente, invece, si pensa proprio questo: si pensa che l’indagine scientifica è come se mettesse un limite, un argine alla nostra necessità di un significato ultimo. Come se, avendo spiegato scientificamente un certo fenomeno, non avessimo più bisogno del significato di quel pezzo di realtà.
Ecco, lo scopo della mostra è far vedere che è vero il contrario. La sfida, se volete, è che arrivando all’ultimo pannello, avendo percorso tutto quanto l’umana conoscenza è stata capace di ottenere a riguardo di questo oggetto straordinario che è la nostra galassia, alla fine del percorso, che è prevalentemente scientifico, la domanda di Leopardi rimane, anzi è come se potesse essere sentita con più vigore, con più forza, in modo quasi più inevitabile, arricchiti dalla conoscenza scientifica che abbiamo ottenuto di questo mondo nel quale viviamo, che è la nostra galassia. Dunque, storia e arte come prima parte della mostra. Spero che tutti voi abbiate potuto vedere ed apprezzare lo spettacolo dell’arco della Via Lattea: per apprezzare la forza di questa realtà occorre osservarla con molta attenzione, essendo nella situazione giusta, uno spettacolo che a noi normalmente è negato: ma nell’antichità, nella preistoria, proviamo a immaginarci che tipo di forza doveva avere l’incombere di questa volta stellata e di questa misteriosa scia luminosa che è la Via Lattea! Così come un bambino di fronte al cielo stellato, facilmente gli antichi si saranno immediatamente posti una domanda simile a quella di Leopardi: “A che, che ci sta a fare, che cos’è? Che nesso ha? Una cosa così grande e bella non può non avere un nesso profondo con la vita umana, con l’esistenza”. E così, le civiltà di ogni parte del mondo hanno costruito miti, leggende, usando dell’ingegno, della fantasia, del gusto estetico, dell’osservazione delle cose secondo i canoni che erano loro possibili. Hanno costruito miti e leggende sempre avendo in qualche modo il presentimento di un nesso misterioso e profondo con l’esistenza umana. Un nesso tra la nostra esistenza e la vastità dell’universo.
Fra qualche minuto il professor Bertola ci guiderà in questa ricerca splendida che lui ha fatto e che dà un’idea della varietà e della vastità di rappresentazioni che la Via Lattea ha suscitato, dagli aborigeni australiani alla civiltà ebraica, all’Europa orientale: la via delle anime, il fiume di fuoco e, nella nostra tradizione europea, la via del latte, da cui il nome, galassia. Latte che è evidentemente legato alla vita dell’uomo. E queste raffigurazioni medievali che, in qualche modo, già prevedono e intuiscono che la Via Lattea sia fatta di stelle. Ci sono già nel Trecento rappresentazioni che ci fanno capire che qualcuno ebbe questa intuizione. Così l’arte, la pittura, la poesia si sono ispirate profondamente alla Via Lattea. Poi, nel 1600, interviene un nuovo modo di conoscenza, potentissimo, rivoluzionario, si può, si deve dire: la scienza moderna ha cominciato a svelarci la natura fisica della nostra galassia. Oggi sappiamo così che quella tenue luce è dovuta al bagliore della galassia nella quale siamo immersi. Una struttura colossale. 100.000 anni luce di scala, fatta da centinaia di miliardi di stelle e che contiene realtà ben più strane delle stelle, che ci sono ormai abbastanza familiari anche da un punto di vista fisico. Contiene materia oscura, ci sono zone dove ci sono esplosioni violente. Nel perno della galassia, oggi sappiamo che c’è un buco nero super-massiccio, che contiene una massa di qualcosa come qualche centinaio di milioni di masse solari: e oggi lo possiamo osservare con grande precisione. Quindi, quella luce argentea, che ha ispirato la fantasia degli antichi, oggi diciamo è dovuta al piano di una galassia a spirale barrata di tipo SBB. Questo è quello che scientificamente possiamo dire, in sintesi. Non c’è nessun fiume di latte, non c’è nessuna via delle anime.
Allora, queste nuove scoperte che la scienza ha portato avanti, hanno rotto l’incanto? C’è ancora posto per la meraviglia? C’è ancora posto per lo stupore di fronte a questa grande realtà? E la domanda di senso, è stata svuotata dal fatto che abbiamo capito un po’ la fisica di questo fenomeno? Abbiamo perso la speranza di un nesso tra noi e questa immensità di spazio e di materia che è il nostro ambiente galattico? Forse che aver capito qualcosa di come funziona, per esempio, l’udito, toglie l’evidenza dell’importanza del significato di cosa significa ascoltare? O il fatto che sappiamo che la musica ci raggiunge attraverso vibrazioni acustiche, toglie qualcosa alla bellezza della musica? Stiamo parlando, quindi, di un modo di conoscenza della realtà che la scienza ci consente di ottenere, che non deve essere messo in contrapposizione con quell’esigenza di significato che è un’evidenza in sé.
Inaspettatamente – è un altro aspetto che la mostra cerca di sottolineare, proprio dal progredire della conoscenza scientifica – oggi si rivela come questa struttura complessa che è la Via Lattea, ha un nesso che via via si scopre sempre più profondo con la nostra esistenza, proprio da un punto di vista fisico. Un legame forse più intimo di quanto anche gli antichi miti avessero di fatto immaginato. Davide poi ci mostrerà qualche esempio di questo. Abbiamo scoperto che la struttura, l’evoluzione, la composizione della nostra galassia giocano un ruolo decisivo per realizzare le condizioni in cui il nostro sistema solare, il nostro pianeta e la vita sul nostro pianeta, ha potuto svilupparsi. E anche i fenomeni apparentemente più estranei, la presenza del buco nero o la materia oscura, scopriamo che sono fondamentali per costituire fisicamente la stabilità della nostra galassia, quindi la possibilità di stelle durature come il nostro sole. Scopriamo così che questo mondo apparentemente estraneo, inutilmente vasto è, invece, la culla, la periferia del nostro ambiente terrestre. Siamo un po’ come nei panni di un contadino che cerca di far crescere le sue viti per produrre del buon vino in una zona di montagna, e sa bene che deve costruire delle terrazze, deve far crescere le viti in una zona quieta, al riparo da eccessive esposizioni del sole o del vento. Ma sa anche, il contadino, che le regioni più distanti, per esempio le cime, i ghiacciai, dove non potrebbe far crescere la sua uva, sono anche loro necessarie per far crescere le viti, per fare del buon vino, perché gli danno l’acqua, gli danno il clima.
Ecco, noi via via che con la scienza capiamo qualcosa di più dell’universo, ci rendiamo conto dei nessi, dell’ordine, quindi di una bellezza che fa sì che le cose siano sempre meno estranee. Questa è, se volete, l’ambizione della mostra: farci familiarizzare con la realtà vasta in cui siamo stati posti e renderci conto dell’unità della realtà fisica, dell’ordine e quindi della bellezza che l’accompagna. Il rigore metodologico è fondamentale. La scienza deve stare all’interno delle sue possibilità, se no diventa ideologica, ma proprio perché la scienza ha un ambito limitato, essa non può resistere a lungo se non riconoscendo che la sua origine, l’origine della nostra curiosità che ci fa fare scienza, sta al di fuori della scienza, sta in un contraccolpo affettivo, sta nel rendersi conto che c’è una bellezza nella realtà, che c’è una utilità possibile nella realtà.
Se la conoscenza scientifica, come qualunque conoscenza, non arriva a renderci amiche le cose, cioè a scoprire il nesso che ci lega con le cose, non sarà mai vera conoscenza. Le scoperte scientifiche rinnovano, soprattutto nei loro estremi, la vertigine che l’essere umano prova di fronte all’universo, alla realtà, come abbiamo visto anche nell’incontro con Steve Beckwith e Ed Nelson, l’altro giorno. La scienza, però, se è usata per quello che è veramente, non è mai nemica della domanda di Leopardi. La scienza non parla mai direttamente dello scopo, non è nelle sue corde, non è nelle sue possibilità. Caso mai ci dà dei nuovi indizi, sottopone alla nostra ragione dei nuovi indizi. Ci mostra la grandezza e l’ordine come grande indizio per un senso ultimo delle cose. Ci dà un nuovo linguaggio in cui riaffiora, più potente e inevitabile, la stessa grande domanda di Leopardi.

Sindoni: Grazie Marco, Francesco, a te.

Francesco Bertola: Il percorso che è stato stabilito nella mostra va dai tempi antichi, quando l’uomo aveva solo una percezione visiva, diretta del fenomeno celeste della Via Lattea, ai tempi moderni quando, come è appena stato ricordato, con il nascere della scienza, con il nascere del metodo scientifico, l’uomo arriva a una situazione che a un certo momento non ha più la percezione diretta del fenomeno, ma l’ha solo attraverso complicati strumenti che oggi sono sofisticatissimi, posti sulla terra ma anche nello spazio. Adesso vi parlerò della parte antica, la parte anteriore al 1600: per fissare una data, potremmo dire 1609, quando per la prima volta Galileo punta il suo telescopio verso il cielo. Lì nasce la scienza moderna, questo contatto con il cielo attraverso strumenti. Prima, invece, la percezione era più immediata, per cui anche gli elementi che entrano in queste rappresentazioni adesso sarebbero inconcepibili con la visione scientifica. Qui abbiamo elementi mitologici, elementi religiosi, elementi filosofici che entrano in queste rappresentazioni e che mostrano come, appunto, sia stata vivacissima la fantasia dell’uomo.
La Via Lattea: già i greci, vedendo questa striscia luminosa di colore biancastro nel cielo, le attribuiscono un’associazione con il latte. Tanto è vero che, per esempio, Aristotele chiama semplicemente la Via Lattea “il latte”, to gala. Poi, successivamente da latte si è passati a “lattiginosità” e cioè galaxias, in greco, da cui tuttora, in italiano, abbiamo il termine galassia. In ambito latino, invece, abbiamo la “via lattea”. Diventa una via, questa striscia, una via formata di latte, e questo latte in cielo è subito divinizzato, viene interpretato come qualcosa con delle proprietà divine, che può trasmettere, per esempio, l’immortalità, nel mito di Giunone che allatta Ercole per renderlo immortale; e proprio dal seno di Giunone sgorga quel latte che andrà a formare la via lattea. Questo è il mito greco. Ma questa associazione di elementi astrali con il latte la troviamo anche, per esempio, in Egitto, nelle statue di Iside che allatta Horus. Iside ha un mantello dove ci sono tantissime stelle e la luna. Se poi veniamo al mondo cristiano, di nuovo questa sacralità del latte è esaltata ed è sempre associata, appunto, a queste figure astrali.

Vengono proiettate delle immagini

Ecco, questa è una Madonna, la cosiddetta Madonna dell’umiltà, è stato tutto un genere iconografico che si è imposto nel Trecento, dove abbiamo la Vergine seduta su un cuscino, di solito su un tappeto erboso, che in una postura umile allatta il bambino. Ma poi vediamo, nello sfondo, le stelle, e ai piedi della Vergine c’è la luna. E poi, dietro la Vergine, c’è tutta una raggiera che indica il sole. Per cui abbiamo la lattazione, questo fenomeno così importante nella vita dell’uomo, che viene qui esaltato. Naturalmente nella tradizione cristiana questa rappresentazione viene dall’Apocalisse dove, quando si parla della famosa donna, si dice: “Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle”.
La donna poi sta per partorire, per cui di nuovo, anche qui, è associata a un bambino. Nella tradizione cristiana, la Vergine, addirittura, non solo allatta il bambino ma può allattare anche altre persone, anche i santi.
Ecco, questo è un famoso quadro in cui si mostra come Bernardo di Chiaravalle preghi la Madonna e Le chieda: “Mostrami che sei mia madre”. La Madonna gli spruzza nella bocca un getto di latte, vuol dire che gli trasmette sapienza, conoscenza, e significa che con quella lattazione anche il Santo diventa fratello di Cristo. Ecco, qui c’è un famosissimo quadro, “La fuga in Egitto” di Adam Elsheimer, che riunisce un po’ tutti questi elementi di cui ho parlato. Abbiamo la Sacra Famiglia: il bambino è in braccio alla Vergine, per cui possiamo pensare che stia per essere allattato. Abbiamo qui la luna che si specchia in un lago, e la luna è il simbolo della Vergine. Poi, in alto, abbiamo la costellazione del Leone, dove una delle stelle principali è la stella Regolo e regolo vuol dire piccolo re. Per cui, abbiamo in cielo con la luna, con la stella Regolo, l’immagine, la trasposizione della Vergine e di Gesù. Poi, però, per la prima volta nella storia della rappresentazione, abbiamo la Via Lattea disegnata con precisione. La Via Lattea che attraversa il cielo: luna, stelle, latte sono qui unite insieme, e la Via Lattea dà un significato più pregnante ancora.
Spesso la Via Lattea è stata chiamata un cammino nel cielo, una strada. Ecco, qui ho messo quest’immagine di Ildegarda di Bingen, anche perché so che al Meeting se ne è parlato spesso, c’è stata anche una mostra in passato dedicata a questa santa medievale, questa donna eccezionale. Qui Ildegarda mostra la Via Lattea come un ponte di nubi fra un’estremità e l’altra dell’orizzonte. Sicuramente è influenzata dalla concezione aristotelica della Via Lattea, per cui questo oggetto era un fenomeno dell’atmosfera. Ora, questa idea di Aristotele, nonostante la sua grande autorità, tutto sommato non è mai stata presa troppo sul serio, anche perché, ancora a partire da Democrito, attraverso il Medioevo, praticamente quasi tutti dicevano che la Via Lattea era formata di piccole stelle, anche se non si erano viste. Perché il primo a vederle fu Galileo nel 1609. Ecco, qui abbiamo questa bellissima immagine del ponte di nubi. Ecco un’altra grande tradizione, quella che chiama la Via Lattea la Via di San Giacomo. Ho letto alcuni libri dell’800, già anche in Italia veniva chiamata comunemente con questo nome. La storia è che abbiamo Carlo Magno cui appare in sogno San Giacomo e gli dice: “Segui la Via Lattea, segui la via delle stelle per raggiungere la tomba dove sono sepolto. Libera la strada dagli invasori, affinché i pellegrini possano raggiungere la tomba”. Quella tomba è ancora là, oggi questa strada si chiama il Cammino di Compostela.
Ecco, cambiando completamente ambiente, qui c’è una grande fascia del mondo – tutto il Nord Africa, la Persia, ci si spinge fino in Armenia, poi la Bulgaria, e così via – in cui la Via Lattea (il concetto di lattea non c’è più) è la Via della Paglia, la Via della Paglia rubata. Molto probabilmente in queste civiltà la paglia era un prodotto di uso comune molto importante. Anche la paglia luccica, è chiara, per cui l’area in cui si parla di Via della Paglia è ancora più vasta dell’area in cui si dice Via Lattea, anche se Via Lattea è il termine scientifico, oggi, Milkway, comunemente accettato da tutti. Ecco, qui abbiamo un dio che è andato col suo carro a rubare la paglia a un dio vicino, e poi percorre il cielo e in questa corsa la paglia cade dal carro e lascia una scia. Qui c’è un fiume: tutti i popoli asiatici concepiscono la Via Lattea come un fiume nel cielo. Ma è interessantissima questa illustrazione della Divina Commedia in cui Dante non parla della Via Lattea, Dante dice solo: “e vidi lume in forma di rivera fulvido di fulgore, intra due rive dipinte di mirabil primavera”. Ma l’illustratore del ‘400, in questo famoso Dante che è alla Biblioteca Vaticana, illustra questi versi mettendo Dante e Beatrice sulla volta celeste, sulla sfera delle stelle fisse, vediamo che c’è anche lo Zodiaco che poi viene a incontrarsi con la Via Lattea. E da questo fuoco vediamo che Dante beve, prende forza, sapienza. La cosa è interessante perché la Via Lattea come fiume di fuoco è invece tipico della cultura ebraica. Ci sono dei passi nel Talmud in cui chiaramente viene descritta la Via Lattea e viene chiamata “fiume di fuoco”. Ed ecco che, passando da un’estremità all’altra del mondo – questo è un dipinto su scorza di eucalipto degli aborigeni australiani – di nuovo vediamo un fiume, si possono vedere due barche e due personaggi nelle barche. La leggenda dice che a un certo momento questi annegano. Ed è di nuovo una rappresentazione della Via Lattea come fiume. In India, la Via Lattea è il Gange celeste. È la trasposizione in cielo del più grande fiume che c’è nel territorio: prima c’è stata la Via Lattea celeste, poi, a un certo momento, questa Via Lattea scende sulla terra e il dio Shiva, che qui vediamo accanto alla moglie Barvati, offre la sua chioma per attutire l’impatto dell’acqua, dal cielo alla terra. Una volta sulla terra, l’acqua darà origine al Gange terrestre.
Ed ecco una delle più interessanti concezioni della Via Lattea, concepita come il luogo delle anime. C’è tutta una letteratura greca, ancora prima di Platone, per cui nella Via Lattea le anime dei morti vanno a soggiornare. È espresso molto bene in questa miniatura che è proprio qui a Rimini, alla Biblioteca Malatestiana, e che rappresenta il sogno di Scipione così come è raccontato da Cicerone. Abbiamo sul letto Scipione l’Emiliano, il quale appunto vede, nella Via Lattea disegnata con tante stelle, i suoi antenati: Scipione l’Africano e tanti suoi. Questa è la concezione che più mi ha sorpreso: nasce in Grecia, viene descritta ampiamente, però in qualsiasi parte del mondo si trova sempre qualche accenno a questo fatto, che le anime vanno sulla Via Lattea. Il discorso è interessante: c’è stato un incontro di culture che ha prodotto questo o è la natura stessa della sensibilità umana che, di fronte a questo fenomeno, reagisce sempre allo stesso modo?
Ecco, qui abbiamo un’illustrazione medioevale dove vediamo gli angeli che accompagnano le anime lungo la Via Lattea. E qui andiamo in Micronesia, e di nuovo in questo disegno la Via Lattea è rappresentata come una scala che porta al cielo, con le anime che la percorrono. Ed ecco, qui, scendiamo nelle culture meso-americane. Questa è un’illustrazione del codice che è il grande monumento scritto della civiltà Inca: vediamo Madre Scorpione, che è la dea che sta in fondo alla Via Lattea per accogliere le anime che vi arrivano e poi mandarle nella Via Lattea stessa. Fa un certo effetto che in parti così distanti del mondo si arrivi ad una concezione analoga. E qui lo stesso, siamo di nuovo in Australia: la Via Lattea è concepita come questo fiume, che vediamo rappresentato da questi pesci che vanno verso l’alto, ma poi a un certo momento vediamo delle ossa umane, le ossa di persone che sono morte e che brillano in cielo e ci fanno vedere la Via Lattea.
Adesso, una serie di immagini di come si è trasformato il mito classico della Via Lattea, illustrato in questo bellissimo quadro dello Zucchi, che è a Villa Medici, a Roma. Vediamo in alto a destra Giunone, Giove e il piccolo Ercole che Giunone sta allattando. Dice la leggenda che quando il bambino, sazio, si staccò dal seno di Giunone, partirono due spruzzi di latte: uno andò verso il cielo a formare la Via Lattea, uno andò verso la terra per far crescere i gigli. Molto bello, molto poetico. Allora, soffermiamoci su queste due figure, di Giove e di Giunone, e vediamo come nel tempo questa raffigurazione subisce modifiche, si trasforma completamente. Qui abbiamo un antico manoscritto dell’alto Medioevo con Giove e Giunone: Giunone, con il seno scoperto, tiene in mano il cerchio della Via Lattea, questo cerchio bianco. Poi i disegnatori si copiavano l’un l’altro, ma senza capire profondamente il significato delle immagini. Ecco una tarda rappresentazione, dove Giove e Giunone sono diventate due donne che hanno questo cerchio in mano. Un’interpretazione che resta ancora molto misteriosa è quella data da Michele Scoto, che era astrologo alla corte di Federico II, il quale chiama la Via Lattea, per la prima volta, il Demone Meridiano. Ecco, questa è un’immagine da Scoto, vediamo sempre le due persone. “Demone Meridiano” deriva dal salmo 90 della Bibbia. Dice Scoto: “La Via Lattea è un insieme di spiriti sapienti” (ecco che si ritorna alla Via Lattea come luogo delle anime e degli spiriti) “che devono essere temuti”. Non è chiaro perché devono essere temuti, ma insomma, è quello che nel Medioevo dice Michele Scoto.
Ed ecco che della Via Lattea restano sempre le due figure che originariamente erano Giunone e Giove: qui diventano una specie di angelo e un fraticello, il fraticello è legato perché, secondo i Padri della Chiesa, il Demone Meridiano era quello che provocava l’accidia a mezzogiorno negli anacoreti, per cui era qualcosa di molto popolare all’epoca. E poi, sempre i disegnatori, visto che il nome è Demone Meridiano, perché non rappresentarlo con demoni veri e propri? Ed ecco questa bellissima immagine, dove vediamo un demone che ha in mano il cerchio della Via Lattea, e l’altro demone che ha in mano un libro, perché abbiamo appena visto che questi demoni erano sapientissimi.
Ancora una bella immagine che è alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Di nuovo qui abbiamo questi demoni, diremmo noi, con le ali di pipistrello, e tutti hanno in mano un libro, a disegnare demoni sapientissimi. E qua il concetto si evolve: addirittura, in questo manoscritto tedesco, il Demone di Mezzogiorno viene confuso con lo spirito di Mezzanotte, che è la strega. Qui abbiamo sempre il cerchio della Via Lattea, sempre le due figure, che originariamente erano Giove e Giunone e adesso sono diventate due donne di cui una ha la scopa in mano, a indicare che è una strega. Ecco, vedete come la fantasia si è sbizzarrita.
Alcune altre immagini. Questo è il disegno che uno sciamano ha fatto ai primi esploratori che sono andati a visitare questo popolo della Siberia Orientale. Il disegno vuole rappresentare il cielo, l’universo, ma voi vedete il rilievo che viene dato alla Via Lattea, è considerata una cosa molto importante. Ed ecco un’altra bella immagine, il Padre Cielo dei Navaho che sono in Arizona, dove abbiamo questo dio del cielo con tutte le stelle e la luna: la Via Lattea è quel disegno che va da una mano all’altra, attraverso le braccia. Andiamo alla civiltà azteca, anche la civiltà azteca ha la sua dea della Via Lattea: qui la mitologia è molto complessa, è una dea che a un certo momento è stata completamente smembrata, come vediamo, però è nota per essere la dea della Via Lattea. Ecco, adesso, per mostrare come ancora oggi questo fenomeno celeste abbia un grande impatto nell’arte, un quadro dell’800 dove la Via Lattea è sopra Parigi. È molto simbolico, questo disegno, perché la Via Lattea parte dal Pantheon di Parigi. Il Pantheon è il luogo dove sono sepolte le persone illustri, e proprio da lì parte. Ancora un’altra bella interpretazione di questo fenomeno. Ecco Milliere, notte stellata: vediamo verso l’orizzonte tutto l’ammassarsi di nubi chiare e scure che costituiscono la Via Lattea. Ed ecco questo pittore contemporaneo che ci mostra la Via Lattea su una spiaggia deserta. Questo è un famosissimo quadro che dà l’idea dello sbigottimento dell’uomo di fronte all’universo. Vediamo quest’uomo disteso per terra che guarda il cielo, e questo cielo appunto è soltanto la Via Lattea. Ecco, concludo con questa immagine, è una cosa recente, una scala che va verso il cielo, che va verso l’infinito, che va verso la Via Lattea. Mi fa ricordare come nel Medioevo una delle denominazioni della Via Lattea fosse la Scala di Giacobbe: nel suo sogno, descritto nella Genesi, Giacobbe vede una scala percorsa dagli angeli che va verso il cielo.
Bene, vorrei fare una piccola considerazione. Mi è stato detto che molti visitatori della mostra hanno chiesto: “Ma dove si vede la Via Lattea, dov’è, perché io non l’ho mai vista?”. È un fatto molto grave, e ovviamente sappiamo quali sono le cause. La causa è l’inquinamento luminoso. Immaginate come poteva essere la situazione 100 anni fa, 150 anni fa, quando uno usciva dalla porta: se c’era una bella notte chiara di stelle, la prima cosa che vedeva era questo grandioso fenomeno. Adesso questo non si vede più. In città come Milano, se si riescono a contare dieci stelle, di notte, è tanto. Però anche nella campagna, ormai, non esiste più nessun luogo in cui si possa vedere bene. Bisogna fare un’azione di convincimento – non togliere l’illuminazione, non avrebbe senso, è legata al progresso civile -: fare sì che questa illuminazione sia razionale. La razionalità consiste in un fatto banale: mandare la luce dell’illuminazione pubblica dove è utile mandarla, e cioè per terra, dove c’è da illuminare. Non mandarla verso il cielo, come fanno invece molte apparecchiature elettriche. Mandare la luce verso il cielo vuol dire creare un danno irrimediabile, non solo a chi è vicino alla lampada, ma anche a chi sta molto lontano, perché a un certo momento nel cielo si sommano gli effetti di tutte quelle lampade che mandano luce. Per cui, non è solo in centro a Milano che non si vede più il cielo, ma anche andando fuori, in un’altra città, anche andando in aperta campagna il cielo viene disturbato da questa luce inviata verso l’alto. Tra l’altro, la Regione Lombardia è nota per avere una delle migliori e più efficienti leggi che combattono l’inquinamento luminoso, per cui c’è solo da augurarsi che queste leggi vengano veramente applicate per permettere all’uomo di riappropriarsi di quello che è suo. Grazie.

Sindoni: Grazie, Francesco, adesso il dottor Davide Maino farà alcuni flash sulla Via Lattea dal punto di vista scientifico.

Davide Maino: Parto, per introdurre la parte scientifica della mostra, da quest’opera che il professor Bertola ha mostrato, la “Fuga in Egitto”, un’opera del 1609, quindi contemporanea alle osservazioni che Galileo fa. Come già ricordava il professor Bertola, la Via Lattea in questo quadro è resa dall’autore non come una luminosità diffusa ma come una sequenza di piccoli puntini chiari, a significare che la Via Lattea è fatta di stelle. Questo appunto è quasi contemporaneo alla pubblicazione del “Sidereus Nuncius” di Galileo, le osservazioni che egli compie con il telescopio che si era costruito. E per primo, puntandolo verso la Via Lattea, scopre che effettivamente è fatta di stelle. Da Galileo sono passati circa 4 secoli, 4 secoli di sviluppo tecnologico che ha permesso di superare quelli che sono i limiti umani e anche ambientali nella ricerca astronomica. Per cui si sono costruiti telescopi sempre più potenti, come ad esempio quelli rappresentati qui in basso, un insieme di 4 telescopi da 8 metri che si trovano in un sito a Paranà, nel Cile, corredati di rilevatori non più semplicemente formati dall’occhio umano ma in grado di misurare la luce osservata, e anche di scomporla nelle sue componenti. Ma il grosso avanzamento è stato compiuto quando è stato possibile costruire strumenti astronomici da inviare a bordo di satelliti. Questo infatti ha permesso di superare la limitazione imposta dall’assorbimento della nostra atmosfera, come è rappresentato in questo grafico in cui abbiamo la lunghezza d’onda e l’assorbimento della nostra atmosfera. Vediamo, è naturalmente trasparente alla lunghezza d’onda del visibile e alle onde radio, ma assorbe (per fortuna) radiazioni molto pericolose come raggi ultravioletti, raggi X e raggi gamma. Le osservazioni che possono essere compiute in ognuna di queste bande ci forniscono una sfaccettatura particolare di un determinato oggetto celeste, che da sola non può essere esaustiva della sua natura. Quindi, solo combinando insieme le osservazioni a più lunghezze d’onda possiamo avere un’idea, un disegno più chiaro, di quello che è l’oggetto in esame. E questo è particolarmente vero per la nostra galassia, la Via Lattea.
Infatti, diciamo che siamo abituati a riconoscere in queste splendide immagini delle galassie. Questa è M101, una bellissima galassia a spirale, in cui si evidenzia bene una regione centrale molto luminosa, composta principalmente da stelle vecchie, e da cui si dipartono, bellissime, queste braccia a spirale che contengono sia stelle che nubi di polvere, queste nubi scure che vedete, che sono regioni di intensa formazione stellare. Cioè, le stelle stanno effettivamente nascendo in queste regioni. Questa è una bellissima galassia vista di piatto, per cui riusciamo effettivamente a riconoscerne la forma. Altra galassia a spirale è quella rappresentata qui, che invece è vista di taglio, per cui perdiamo un po’ l’informazione della connotazione della forma a spirale, riusciamo a cogliere la presenza della regione centrale della galassia, e intuiamo la natura a spirale dalla presenza di questo oscuramento dovuto alle polveri presenti nella galassia.
Dicevo è importante mettere insieme le informazioni a più lunghezze d’onda per capire come è fatta la nostra galassia. Il problema è che noi siamo dentro la nostra galassia. Questo, da un lato ci mette in una posizione privilegiata, perché riusciamo a conoscerla meglio, più da vicino rispetto alle altre galassie. Dall’altro, però, essendoci dentro, complica un po’, per riuscire a capire la struttura, la morfologia della galassia stessa. Le dimensioni sono tali da non permetterci un viaggio interstellare per uscire dalla galassia, per osservarla da fuori. Quindi, è importante combinare tutti i singoli pezzi di informazione che riusciamo ad avere per ottenere una visione globale. Quella qui rappresentata è una ricostruzione recentissima della nostra galassia, basata principalmente sulle osservazioni del satellite americano Spitzer che opera nell’infrarosso. Abbiamo potuto accedere a queste informazioni costruendo un telescopio che fosse a bordo di un satellite.
Come già Marco diceva prima, giusto per dare un po’ la carta d’identità della nostra casa galattica, le dimensioni sono circa 100.000 anni luce di diametro: la luce, che è la cosa più veloce che esista e viaggia a 300.000 Km/secondo, impiegherebbe 100.000 anni per attraversare completamente la nostra galassia. Ha uno spessore di circa 3.000 anni luce. Vuol dire che è come un disco con un rigonfiamento centrale. Dal rigonfiamento centrale – è evidenza abbastanza recente – presenta una piccola struttura orizzontale, una piccola barra da cui si dipartono poi le braccia a spirale. La popolazione in termini di stelle è di circa 200 miliardi. Dove sta il nostro sole? Si trova in una posizione abbastanza esterna nel panorama della Via Lattea, si trova circa a 28.000 anni luce dal centro, in prossimità di uno dei bracci a spirale della Via Lattea. Come Marco diceva prima, nella mostra viene fatto proprio vedere come la sua evoluzione, la sua struttura e la sua composizione giochino effettivamente un ruolo fondamentale per creare i presupposti per fabbricare un pianeta che sia accogliente nei confronti della vita come il nostro.
Mi soffermerò su due aspetti. Vorrei che però fosse chiara a tutti una domanda: “Cosa c’entra con noi quello che vediamo adesso”? Il primo flash riguarda fondamentalmente la vita delle stelle. È anche il più evidente, come è stato evidente agli occhi di Galileo quando ha puntato il suo telescopio verso la Via Lattea. Fondamentalmente, a parte i pianeti del sistema solare e la galassia di Andromeda – se riusciamo a vederla ad occhio nudo, ma già non riusciamo a vedere la Via Lattea, è un po’ difficile vedere Andromeda – gli oggetti celesti che possiamo osservare sono tutte stelle. Prima di iniziare a descrivere questo grafico che mostra la nascita, la vita e la morte, anche tragica, delle stelle, è importante ricordare che dopo i primi tre minuti di vita, l’universo era composto dal 75% di idrogeno e dal 25% di elio. E poi, pochi altri elementi leggeri, deuterio, litio. Però, se guardiamo a noi, non siamo fatti di elio. Abbiamo bisogno di ossigeno, carbonio, azoto, calcio. Da dove vengono quindi tutti questi elementi? Sono sintetizzati all’interno delle stelle, durante la loro vita e anche nel momento della loro morte.
Partiamo da qui in basso a sinistra, una nube interstellare, una nube che per la prima generazione di stelle è fondamentalmente composta da idrogeno. In questa nube è presente un piccolo bozzolo, con una densità più elevata nelle zone circostanti. Per effetto della sua gravità comincia ad attirare verso di sé sempre più materia. Attirando più materia, diventa ancora più forte la sua attrazione gravitazionale. Quindi, continua ad accrescere sempre di più, diventa sempre più denso, nelle regioni interne diventa anche sempre più caldo, e se la sua massa riesce a superare un limite che è posto intorno al 5% della massa del nostro sole, le temperature nel nucleo di questo bozzolo raggiungono il calore necessario a innescare le reazioni di fusione nucleare. Quindi, l’idrogeno comincia a bruciare e a produrre elio. A questo punto nasce una stella. Una stella vive costantemente in equilibrio tra due forze, tra due azioni contrapposte. Da un lato, la gravità, che tenderebbe a comprimere e collassare su di sé la stella, dall’altro la grande energia emanata dalle reazioni nucleari all’interno del nucleo della stella. Quindi, la stella vive una vita fondamentalmente tranquilla finché ha del combustibile da bruciare. Quando nel nucleo centrale viene a mancare questo combustibile, inizia una fase un po’ travagliata nella vita della stella: la gravità prende il sopravvento perché non ha niente che si contrappone ad essa, le regioni centrali diventano ancora più dense e ancora più calde, fino a quando non si raggiungono le temperature per fondere l’altro combustibile utile che è l’elio. Dalle reazioni dell’elio verrà prodotto anche il carbonio, che ovviamente serve a noi.
A questo punto nasce una stella che si chiama gigante rossa, e questo sarà un po’ il destino del nostro sole. Il destino finale della stella dipende a questo punto unicamente dalla sua massa. Per cui, se abbiamo stelle di piccola massa, abbiamo questo percorso centrale, in cui la stella andrà a spegnersi sempre più lentamente fino a formare una nana bianca, che sarà formata fondamentalmente dalla parte centrale della stella, e tutto il materiale degli strati esterni della stella viene disperso nel mezzo interstellare. E questo è un fatto importante, perché da questo mezzo interstellare potranno nascere nuove stelle, che però avranno a disposizione non più del materiale grezzo come quello originario, ma del materiale già lavorato da una prima generazione di stelle. Quindi, dove sono presenti elementi, come per esempio il carbonio, necessari per noi. Se invece la stella è una stella di grande massa, allora il suo destino sarà purtroppo tragico. Continuerà a passare, in una sequenza continua di reazioni che bruciano elementi sempre più pesanti, ma in maniera sempre meno efficiente, fino a quando il nucleo della stella è composto unicamente di ferro. Questo è un punto di non ritorno per la stella, non c’è più niente che può contrastare a questo punto la forza di gravità che tende a collassare la stella su se stessa. Il risultato è un’esplosione devastante, cioè, non c’è più la stella come c’era prima, viene disperso quasi completamente il materiale della stella nel mezzo interstellare. La stella diventerà o una stella di neutroni, quindi un oggetto molto piccolo, densissimo, compatto, o addirittura, se la massa della stella originaria è superiore a 10 volte la massa del sole, diventerà un buco nero, uscendo dalla nostra visuale.
Anche questo evento così tragico, così drammatico, è comunque fondamentale per noi. Perché in questa fase vengono prodotti anche elementi radioattivi che – ci torneremo dopo – sono importanti per la creazione di un pianeta come la terra. Tra tutte le stelle (200 miliardi) che compongono la Via Lattea, ne conosciamo una abbastanza bene, è il nostro sole, la più vicina. Proviamo a guardarlo un po’ sotto la prospettiva di quali sono le condizioni che una stella deve avere per ospitare la vita. Condizioni ovviamente necessarie ma non sufficienti: innanzitutto, una stabilità. Abbiamo bisogno che la stella sia in grado di irraggiare per lunghi periodi di tempo la stessa quantità di energia. Questo garantisce una stabilità delle condizioni anche climatiche di un eventuale pianeta appartenente al suo sistema planetario. Un’altra condizione è l’età. L’evoluzione biologica ha bisogno di tempi molto lunghi, quindi abbiamo bisogno di una stella con un certo numero di anni. Il sole ha circa 4,5 miliardi di anni, è un numero che ben si commisura con i tempi dell’evoluzione biologica. Quindi sarà difficile riuscire a trovare delle forme di vita su stelle giovani. L’altro aspetto estremamente importante è la composizione chimica: abbiamo bisogno di azoto, di carbonio, di ossigeno, per cui sarà difficile trovare un pianeta che abbia le caratteristiche di ospitare la vita nella prima generazione di stelle, perché questi elementi non sono ancora stati prodotti. Solo nella seconda, o addirittura nella terza generazione di stelle, questo sarà possibile. Diciamo che il sole soddisfa questi requisiti.
L’altro flash è il perno della nostra galassia, della Via Lattea , cioè il buco nero centrale che è presente in essa. Diciamo che è un’evidenza che nelle regioni centrali delle galassie sia presente un buco nero: come è stato possibile stimare la massa di questo gigantesco buco nero nella nostra galassia? Buco nero che non è, in questo caso, l’esito della fine di una stella, ma qualcosa che c’è dall’inizio della Via Lattea e che quindi ha giocato un ruolo fondamentale nella nascita e nell’evoluzione della Via Lattea stessa. Per stimarne la massa, si è andati a misurare (lo vedete in questo grafico in basso a destra) le orbite di alcune stelle che si trovano nella regione centrale della nostra galassia. Qui la stellina indica la posizione del centro della nostra galassia, dove dovrebbe essere posizionato il buco nero; e qui abbiamo diverse stelline che orbitano intorno a questo centro. Conoscendo i tempi di percorrenza delle stelle lungo la loro orbita, è possibile stimare la massa del centro che è responsabile del loro moto. Il risultato è stato una massa strabiliante, due milioni di volte la massa del nostro sole. In particolar modo, la stellina determinante è stata questa più centrale, con l’orbita un po’ più piccola, che riesce ad arrivare lungo la sua orbita a “solo” 17 ore luce dal buco nero centrale. 17 ore luce è circa 3 volte le dimensioni del nostro sistema solare. È riuscita ad arrivare così vicina a una massa così enorme. Però la cosa più interessante è che queste stelle sono in equilibrio con il buco nero centrale, non ci cadono dentro, sono riuscite a trovare nel corso del tempo una stabilità, un’orbita che permette loro di vivere anche intorno a un oggetto così massiccio.
In queste altre due immagini, abbiamo una rappresentazione in banda X e in banda radio della regione centrale della nostra galassia. In questo caso, in banda X, colore rosso, è rappresentata la presenza di un gas molto caldo, come ci si aspetta effettivamente che ci sia in prossimità di buchi neri così massicci. Il buco nero della nostra galassia è un buco nero abbastanza tranquillo, non presenta fenomeni di attività particolarmente rilevanti; non è così però per tutte le galassie. Ad esempio, in questa bellissima immagine è riportato Centauro 6, che è una delle più forti radiosorgenti visibili nel nostro cielo. Questa immagine è la sovrapposizione di immagini prese a più lunghezze d’onda. Abbiamo l’immagine ottica, quella che presenta questa banda scura di assorbimento delle polveri, e poi abbiamo un’immagine X in cui si evidenziano i violentissimi fenomeni di emissione che avvengono proprio e si originano dal buco nero centrale. Vedete questi getti che partono dalle regioni centrali della galassia? A uno sguardo puramente ottico sembra una galassia assolutamente normale; solo corredando le osservazioni in ottico con osservazioni ad altre lunghezze d’onda capiamo effettivamente la natura di questo oggetto. Oppure in quest’altra: abbiamo un’immagine ancora una volta ottica della galassia, e in rosso abbiamo un immagine in banda radio di quello che è il gettito che promana dalle regioni centrali del buco nero. Vedete di quante volte si estende da parte a parte, per 6 volte, le dimensioni della galassia stessa. Quindi immaginiamo la quantità di energia che viene prodotta dal buco nero centrale. Da questo punto di vista, i buchi neri così attivi, così emittenti, sono ovviamente i posti più inospitali dell’universo. Immaginiamo la quantità di particelle altamente energetiche e quindi dannose per la vita.
Con questi due flash possiamo capire un concetto che è stato introdotto abbastanza di recente, il concetto di zona di abitabilità galattica: cercare quali sono le zone nella nostra galassia più adatte ad ospitare la vita così come noi la conosciamo. Un fattore determinante la definizione di questa zona è la cosiddetta metallicità, cioè la presenza di elementi più pesanti dell’elio, quindi carbonio, ossigeno e azoto. Perché sono importanti? Sono importanti perché ad esempio i giganti gassosi come Giove e Saturno, sono sì, gassosi, ma condensano a partire da un nucleo roccioso. Quindi, da un nucleo fatto di metalli. Allora ho bisogno di un certo quantitativo di metalli per permettere la condensazione di questi giganti gassosi che sono estremamente importanti per un pianeta piccolo e centrale come la terra, nel sistema solare. Infatti hanno svolto all’inizio del sistema solare la funzione di spazzini, cioè hanno ripulito il sistema solare da tutti i detriti che erano presenti all’inizio del sistema solare; e ancora oggi fanno da scudo per tutti corpi di taglia cometaria che vorrebbero attraversare il sistema solare anche nelle regioni interne.
In questa immagine in alto a destra è rappresentato l’impatto di una cometa, avvenuto nella atmosfera di Giove. Prima di incontrare Giove, la cometa si è spezzata in diversi frammenti, come vedete, e questi sono i risultati degli impatti su Giove della cometa. Possiamo immaginare gli effetti devastanti che avrebbe avuto questo impatto sulla terra. Un’altra cosa importante è che noi siamo in una posizione abbastanza defilata, siamo a ben 28.000 anni luce dal centro della galassia, quindi una regione in cui la densità di stelle non è elevata, anzi potremmo dire che è abbastanza bassa. La stella più vicina si trova a circa 4 anni luce. Questo è molto importante, perché le comete da cui ci schermano i giganti gassosi prendono origine da una regione chiamata nube di Ort che si estende fino a circa 1/3 della distanza tra noi e questa stella più vicina. Proviamo a spostare il sole con la sua nube di Ort nelle regioni più interne della galassia, dove la densità di stelle è molto maggiore. È molto più probabile, nelle regioni interne, che il passaggio ravvicinato tra il nostro sole e le stelle vicine perturbi le orbite delle comete nella nube di Ort. E quindi più frequentemente potrebbero attraversare le regioni centrali del sistema solare.
Quindi, il nostro isolamento, l’essere così fuori, spostati, decentrati nella galassia, è un primo fatto importante, una prima difesa rispetto alle insidie cosmiche. Un’altra annotazione che rientra dentro la metallicità che dicevo prima, riguarda proprio un’analisi del nostro pianeta, della terra: è la presenza che abbiamo naturalmente di elementi radioattivi sulla superficie della terra. Questi vengono prodotti nelle esplosioni delle Supernovae, quindi abbiamo anche bisogno che una stella finisca, e finisca in maniera tragica, la sua vita. Sono fondamentali perché mantengono il calore della crosta terrestre che gioca un ruolo importante nella tettonica a zolle, e che quindi regola il ciclo dell’anidride carbonica nell’atmosfera. Fondamentale per la vita. Quindi, mettendo insieme tutte queste nozioni, abbiamo rappresentato l’evoluzione di quella che è la zona di abitabilità galattica in funzione del tempo, dal basso verso l’alto. All’inizio la prima generazione di stelle, dicevamo ha solo idrogeno, quindi non abbiamo ancora il quantitativo di metalli sufficiente, e quindi abbiamo una regione colorata in blu che vuol dire bassa metallicità, non ho gli elementi che mi servono per la vita. Le regioni centrali è meglio evitarle, c’è un buco nero super massivo, meglio starne alla larga se magari dovesse risvegliarsi. E poi c’è la densità di stelle che è ancora troppo elevata, potrebbe avere impatti su corpi di taglia cometaria che solcano le regioni interne del sistema solare.
Man mano che le stelle vivono e muoiono, comincia a crearsi una regione verde, una regione verde dove la metallicità comincia a essere adeguata alla vita come la conosciamo, e questa è più o meno la situazione attuale. Abbiamo ancora una metallicità scarsa nelle regioni esterne, ma una bella, evidente fascia verde di abitabilità, che è ancora una fascia abbastanza ampia. Si può ridurre ulteriormente facendo ancora questa considerazione, è un po’ complessa ma spero di riuscire a farvela capire: le bellissime braccia a spirale che si vedono nelle galassie non sono in realtà degli oggetti materiali, cioè, non sono sempre composti dalle stesse stelle e dallo stesso gas. È come se nella galassia si muovesse un’onda a spirale. Quando le stelle e il gas sono sulla cresta dell’onda, sono in braccio a spirale; quando sono giù dalla cresta dell’onda, non sono nelle braccia a spirale. Le braccia a spirale sono una cosa molto bella a vedersi, però è una cosa non molto simpatica perché è un’onda di densità: quando siete sulla cresta dell’onda, la densità delle regioni circostanti è molto elevata, perché l’onda di densità comprime il gas innescando reazioni di formazioni stellari, quindi è bene stare alla larga anche da questo braccio a spirale. E il sole, dicevamo prima, si trova ai bordi di questo braccio a spirale. La cosa interessante è che quest’onda si muove con una certa velocità nella galassia, e quindi è possibile identificare un cerchio a una certa distanza dal centro, per cui le stelle si muovono con la stessa velocità dell’onda a spirale. È il cerchio cosiddetto di co-rotazione. Quindi, rotazione concorde, per cui se una stella si trova al di fuori di un braccio a spirale, ed è in prossimità del cerchio di co-rotazione, ne starà sempre fuori. O comunque, l’attraversamento di questo braccio spirale sarà molto lento e quindi molto meno drammatico. Recenti misure della dinamica delle stelle in prossimità del sole sembrano indicare che effettivamente il sole si trovi in prossimità di questo cerchio di co-rotazione, quindi sembra esserci una indicazione che la posizione del sole sia vantaggiosa anche da questo punto di vista.
Per concludere, guardiamo un po’ più in là della nostra galassia: chi sono i nostri vicini di casa? La nostra galassia, la Via Lattea, si trova in un gruppo abbastanza sparuto di galassie, composto da due galassie satelliti, la nostra, la grande e la piccola nube di Magellano, qualche galassia nana, M33 che è una bellissima galassia a spirale, e poi la famosissima galassia di Andromeda. Anche questo, l’essere in un piccolo gruppo, è veramente importante. Le galassie poi si raggruppano in ammassi dove sono presenti anche centinaia di migliaia di stelle, migliaia di galassie. Perché è importante? Se le stelle possono essere considerate, come si dice, non collisionali – è molto difficile che due stelle si scontrino fra di loro perché le distanze che le separano sono molto, molto maggiori delle dimensioni delle stelle stesse -, non così si può dire delle galassie, perché è vero che sono molto distanti fra di loro, ma le galassie sono anche molto grosse e quindi la gravità che queste generano è molto importante. Per cui, in un ammasso in cui ci sono migliaia di galassie, è molto più probabile, se non un incontro devastante, comunque un passaggio ravvicinato in modo tale che gli effetti gravitazionali di una galassia sull’altra si facciano sentire. Questo, che impatto ha? Banalmente ha l’impatto di perturbare le orbite delle stelle che sono così ben ordinate nella nostra galassia. Pensiamo solo alle stelline che si trovano nella regione centrale: il passaggio ravvicinato con una galassia vicina le perturberebbe, e quindi aumenterebbe la probabilità che questo vadano a cadere nel buco nero centrale, attivandolo. Il fatto di essere invece in un gruppo sparuto, in cui tra l’altro gli elementi più di spicco siamo noi, la Via Lattea e la galassia di Andromeda, ci mette al riparo anche da queste insidie a livello superiore alla nostra galassia.

Sindoni: Grazie, Davide, adesso poche parole per illustrare brevemente cosa vedrete alla mostra. In un planetario si vedranno circa 3.000 stelle, si vedranno i pianeti, si vedrà una supernova che esplode, si vedrà il tramonto. Il percorso della mostra visto dall’alto ha la forma di una galassia dentro la Via Lattea.
Vorrei concludere dicendo che non c’è soltanto la parte artistica o scientifica, ci sono anche dei brani poetici o letterari che parlano della Via Lattea. Ve ne leggo uno. “Una volta, tanti anni fa, sono stato cappellano di una colonia milanese a Celle Ligure. Là ho avuto delle esperienze bellissime. Tutte le sere andavo a piedi da Celle Ligure a Varazze e poi tornavo indietro. A un certo punto c’è un’ansa della costa, un giro della costa con un muricciolo basso, poi c’è la spiaggia e il mare. Bellissimo. Una sera facevo la mia solita passeggiata. Non c’era la luna, ma il cielo era assolutamente limpido, carico di stelle. Proprio sul voltare della strada, improvvisamente ho visto, ed è stata l’unica volta nella mia vita in cui mi è capitato, un ponte sull’acqua tra oro e argento. Ma non era il ponte che di solito il sole o la luna fanno sul mare. Quella notte, il ponte sul mare era fatto dalla Via Lattea. Nessuno mi ha mai detto di averlo visto, forse nessuno lo ha mai veduto, perché occorre guardare in un certo modo per notare il ponte della Via Lattea.
I primi anni in cui facevo scuola a Milano raccontavo sempre questo fatto ai miei studenti e dicevo: io vedo quello che vedete voi, ma voi non vedete quello che vedo io. Infatti, tutte le persone che passeggiavano da Celle Ligure a Varazze quella sera non videro quello che io avevo visto, non si accorsero del ponte della Via Lattea appena accennato sul mare. Quel ponte non era luminoso come quello del sole o della luna, perché tutti lo avrebbero visto, ma non era neppure un riflesso qualsiasi, era realmente un ponte di luce. Allora ho pensato: è proprio vero che esiste il centuplo quaggiù di cui parla Gesù. Chi sa osservare il mare fino a questo punto? Chi sa osservare le cose fino a questo punto? E dicevo ai miei ragazzi: il ponte di luce sul mare con la Via Lattea, nessuno di voi lo ha mai visto, lo ha mai osservato, lo ha mai scoperto, né lo scoprirebbe mai se non facesse attenzione alle cose”. È un pezzo di don Giussani. Se questa mostra avrà successo, è perché ci avrà aiutato a fare più attenzione alle cose. Grazie.

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