ECCE HOMO!

Benedetta CappelliniArticoli

Tracce n. 4 aprile 2003, di Marco Bersanelli

Quando l’uomo è comparso sulla terra? Come? Domande che da sempre hanno affascinato scienziati e filosofi. Contrapponendo varie scuole di pensiero. La mostra «L’alba dell’uomo», inaugurata al Meeting, avvalendosi di una un’ampia documentazione ricostruisce qualche passaggio di questa storia imprevedibile. Sottolineando le domande profonde che sono all’origine di tutto.

Sono migliaia i visitatori che da ottobre a questa parte hanno frequentato la mostra “L’alba dell’uomo” al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano e in numerose città italiane. Realizzata da Euresis e inaugurata alla scorsa edizione del Meeting di Rimini, la mostra racconta una delle storie più affascinanti: l’enigma della comparsa sulla Terra dell’essere umano. La mostra, alla quale hanno collaborato autorevoli scienziati del settore a livello mondiale come Fiorenzo Facchini dell’Università di Bologna e Francisco Ayala dell’Università della California di Irvine, propone la documentazione, i reperti fossili e le metodologie che consentono agli scienziati di ricostruire qualche passaggio di questa prodigiosa vicenda. Ma al tempo stesso mette in primo piano, le domande profonde e inesorabili che il tema risveglia a riguardo della natura dell’uomo e del suo posto nel mondo.
A quando risale la presenza dell’uomo sulla Terra? Di che tipo è “l’argilla” di cui siamo fatti? Quali segni possiamo rintracciare del nostro passato primordiale? Gli studiosi di paleoantropologia riconoscono che molte sono le domande aperte. I nostri lontani progenitori ci hanno lasciato tracce piuttosto tenui. Ma una cosa è certa: la specie umana non esiste da sempre, ha fatto il suo ingresso nel mondo in un certo tempo, relativamente recente, e in un certo ambiente. L’uomo, prima non c’era e adesso c’è: questo è un dato di fatto per ciascuno di noi singolarmente, ma è vero anche per la nostra specie nel suo insieme.
Ma “come” è avvenuto questo ingresso? La grande maggioranza dei biologi considera l’evoluzione delle forme viventi un dato di fatto, quasi come i fisici considerano un dato di fatto la forza di gravità. Ma mentre di quest’ultima, dopo Newton e Einstein, abbiamo interpretazioni fisiche profonde e accuratissime, la dinamica dell’evoluzione biologica è tutt’altro che chiarita e la comunità scientifica da Darwin in poi discute animatamente diverse ipotesi. La storia di una qualunque specie vivente è costellata di passaggi oscuri e incertezze, e le ombre rimangono quando si tratta dell’essere umano. Ma se i dettagli sfuggono, l’insieme dei reperti suggerisce che l’Homo Sapiens, analogamente alle altre forme viventi, sia frutto di un lento e complesso processo evolutivo.

Impostazione ideologica
L’ipotesi che, all’origine della specie umana vi sia un’evoluzione più o meno graduale a partire da forme pre-umane, costituisce motivo di discussione, e spesso anche di confusione e turbamento, in rapporto alla fede nella creazione divina dell’uomo e del mondo. In particolare, nelle scuole si è radicata un’impostazione ideologica “evoluzionista” che usa ipocritamente le evidenze scientifiche sul fenomeno dell’evoluzione nel tentativo di sconfessare o ridicolizzare la fede nel gesto creativo di Dio secondo la tradizione biblica. Purtroppo a questa situazione si contrappongono spesso posizioni altrettanto ideologiche, tipiche di certi movimenti “creazionisti” del mondo protestante americano, irrigidite su un irragionevole dogmatismo: l’evoluzione, dicono, contraddice le sacre scritture, quindi bisogna combattere l’idea stessa di evoluzione.
La realtà invece va guardata per quello che è, anteponendo i fatti alle interpretazioni. In ambito scientifico si tratta di comprendere, fin dove possibile, come il Mistero abbia voluto plasmare la sua creatura – senza tacitamente imporre condizioni su come secondo noi avrebbe dovuto fare. La Chiesa cattolica, già nel 1950 chiariva con Pio XII che non ci sono incompatibilità fondamentali tra la dottrina della fede e una teoria scientifica evolutiva, purché correttamente intesa.

Chi è l’uomo?
Nessun archeologo potrebbe indagare le origini della civiltà etrusca senza avere un’idea ben precisa di chi fossero gli Etruschi. Analogamente, per affrontare il problema della comparsa dell’uomo è inevitabile porsi la domanda: chi è l’uomo? che cosa lo caratterizza e lo distingue dal resto della natura? Senza un’ipotesi adeguata su questo punto cruciale il problema dell’origine dell’uomo non può neppure essere formulato. Di che cosa cerchiamo l’origine, quando cerchiamo l’origine dell’uomo? La risposta a questa domanda non viene dalla biologia o dalla paleoantropologia, ma dalla nostra esperienza presente di che cosa sia un essere umano.
Naturalmente c’è un aspetto corporale che distingue l’uomo dalle altre forme viventi. A livello microscopico le differenze tra le varie specie non sono appariscenti: tra il genoma umano e quello dello scimpanzé, ad esempio, la differenza è circa del 5%. Ma questa piccola frazione presenta caratteristiche singolari, tali da rendere la struttura umana anatomica e funzionale imparagonabile a quella di tutte le altre specie. In particolare, lo straordinario sviluppo della corteccia cerebrale, sia qualitativo che quantitativo, o la capacità di produrre suoni articolati che permettono il linguaggio, sono proprietà uniche nel mondo dei viventi.
Ma è solo questo? L’uomo ha una realtà corporea, con caratteristiche misurabili e analizzabili, la quale come in ogni altra vita animale è soggetta al cambiamento. E si corrompe, inesorabilmente. Ma osservando l’essere umano in azione, emerge con chiarezza che esso è costituito anche da un altro tipo di realtà non misurabile, non mutabile, non sottoposta alla corruzione: quella che corrisponde a capacità umane come l’idea, il giudizio, la decisione. L’esperienza mostra che bontà, intelligenza, pensiero, amore, libertà, coscienza, pur esprimendosi in unità con il corpo, non sono manifestazioni più complesse del dato materiale, ma realtà del tutto irriducibili a esso.

Il marmo di Michelangelo
Nel suo aspetto corporale l’uomo condivide con gli altri viventi il mutamento e la provvisorietà. Ma, come dice un pannello della mostra, «l’essere umano non si riduce alla sua realtà biologica né all’evoluzione che l’ha resa possibile. A essa si accompagna un elemento di natura diversa: ogni singolo uomo è libertà e autocoscienza. L’uomo è il livello della natura in cui la natura diventa cosciente di sé: è questo il tratto distintivo dell’essere umano». Del resto l’esperienza mostra diversi esempi di unità perfetta fra realtà irriducibili. Un notturno di Chopin è impossibile senza il pianoforte, ma è “altro” rispetto allo strumento che ne rende attuali le note. Così c’è qualcosa nell’uomo che supera la sua forma biologica, anche se in un certo senso la sua vita interamente s’appoggia o “coincide” con la sua esistenza biologica: coincide analogamente a come la pietà di Michelangelo “coincide” con il blocco di marmo che la forma.
La menzogna del riduzionismo evoluzionista, moderna forma di materialismo, s’annida nella negazione dell’evidenza che l’uomo è unità di due realtà irriducibili e nell’appiattimento dell’intera natura umana sul piano biologico. Essa ha condotto a un abuso diffuso quanto scientificamente inaccettabile del fenomeno dell’evoluzione. Se l’uomo non è riconducibile alla sua realtà corporale, allora l’evoluzione definisce completamente l’essere umano, il quale è ridotto tragicamente a pura conseguenza dei suoi antecedenti fisici, chimici e biologici, pezzo di materia nella massa dell’universo. L’io umano è abolito, non c’è valore difendibile nella singola persona. La musica è pura illusione e la pietà di Michelangelo non è altro che una pietra. Ma queste devastanti conclusioni vengono dall’irragionevole negazione di un’evidenza così come emerge all’esperienza. È da questa irragionevolezza che la Chiesa ci invita a stare in guardia.

Traguardo preordinato
I paleoantropologi, oltre che di resti fossili, vanno a caccia di reperti (di cui la mostra presenta un’ampia documentazione) che evidenziano una capacità simbolica, cioè la capacità di attribuire a un particolare (un suono, un oggetto) un valore e un significato oltre l’oggetto stesso, e che condurrà all’introduzione del linguaggio, dell’arte, infine della scrittura; e di capacità progettuale, cioè la capacità di agire intenzionalmente e creativamente, di manipolare la realtà secondo un fine, e che può esprimersi nella lavorazione di una selce, nella costruzione di un riparo, nella preparazione del fuoco o degli alimenti.
Un po’ come la Terra non occupa una zona vistosa dello spazio, eppure è qualcosa di straordinario, così l’uomo entra nel mondo con grande discrezione. D’altra parte secondo molti addetti ai lavori, tutta l’evoluzione si svolge come se l’essere umano rappresentasse un traguardo preordinato; il paleontologo Jean Piveteau ha commentato: «L’uomo aveva creduto un tempo di essere il centro del mondo; poi gli sembrò di non avere nessuna misura con la natura, trovandosi sperduto in un angolo dell’universo. La paleontologia gli restituisce, in una nuova forma, una preminenza in cui non credeva più». Da questo punto di vista la comparsa dell’uomo rappresenta a sua volta la punta di un iceberg che s’immerge nelle acque profonde della storia del nostro pianeta e di tutto l’universo. L’uomo è ontologicamente “altro” rispetto a tutto ciò che lo precede e lo circonda, ma in qualche modo è costruito su ciò che lo precede ed è inseparabile da ciò che lo circonda: «Il cosmo intero è come la grande periferia del mio corpo senza soluzione di continuità». L’uomo, dice la Bibbia, non fu creato dal nulla: Dio ha voluto plasmarlo nel tempo, al culmine del suo gesto creativo (nel “sesto giorno”), usando materia già creata, un’argilla già presente. Lo ha reso ciò che è come Egli ha voluto. Quale dimensione cosmica vibra nelle parole del salmo: «Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto/ Intessuto nelle profondità della terra».
I paleoantropologi oggi non sono in grado (né forse mai lo saranno) di identificare con precisione la soglia della comparsa dell’uomo. Ma l’esperienza presente mostra che una discontinuità – abissale – è stata posta silenziosamente su una dimensione diversa da quella materiale. Quando esattamente questo è accaduto per la prima volta? Forse voler rispondere a questa domanda è un po’ come pretendere di definire a quale colpo del martello di Michelangelo quel marmo ha cessato di essere un semplice blocco di pietra e ha incominciato a essere un’opera d’arte.